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‘Questa è una guerra: siamo sia soldati che giornalisti’ #Grecia2012

19 Giugno 2012 5 min lettura

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‘Questa è una guerra: siamo sia soldati che giornalisti’ #Grecia2012

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Leonardo Bianchi - @captblicero

@valigiablu - riproduzione consigliata

Stiamo morendo, qualcuno ci aiuti, siamo molto preoccupati per quello che potrà succedere nel nuovo anno.
Dimitris Trimis, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti greco

Libertà di stampa

La prima pagina del numero uno di Eleftherotypia (“Libertà di stampa”), uscito il 21 luglio 1975, è affissa su un corridoio del secondo piano del complesso grigio con vetrate blu in via Minoos 10. Il titolo, stampato in caratteri cubitali sopra la foto dei militari della junta, recita: “I 21 cospiratori a processo”. Sebbene sia lunedì, la redazione di questo grande quotidiano, fondato dopo la fine della dittatura da Christos Tegopoulos e secondo per tiratura in Grecia, è semivuota. Alcuni giornalisti sono seduti nei loro uffici, altri migrano di stanza in stanza e le sigarette si spengono e si accendono di continuo. In una sala una decina di persone sta discutendo animatamente. Sembrerebbe una semplice riunione di redazione, ma in realtà non lo è: è il comitato dei lavoratori, e sta decidendo le sorti del loro giornale.

Il 23 dicembre 2011, 140 giornalisti e 480 dipendenti hanno deciso di scioperare a oltranza. “Non abbiamo uno stipendio dal luglio dell’anno scorso”, mi dice la redattrice culturale Ioanna Kleftoyanni. I problemi sono cominciati per una sfortunata convergenza di fattori: la crisi economica, il crollo generalizzato dell’editoria, alcune scelte sbagliate di management e la stretta creditizia delle banche. Kleftoyanni è convinta che ci sia anche una motivazione politica: “Fin dall’inizio della crisi il giornale si è schierato contro le misure del governo e del Fondo Monetario Internazionale. Hanno semplicemente detto alle banche di non farci più credito”. In questi ultimi mesi sono usciti solo tre numeri di Eleftherotypia. Per il primo numero i giornalisti hanno ricevuto un contributo economico dai sindacati di categoria. Gli altri due (l’ultimo è uscito il giorno prima delle elezioni e ha venduto circa 35mila copie) sono stati completamente autofinanziati. Il costo di produzione varia dai 10 ai 12mila euro. In nessuno dei tre c’è la pubblicità.

"Questa è una guerra"

La prospettiva è di pubblicare ogni sabato e, lentamente, tornare a essere un quotidiano. “Stiamo combattendo, vogliamo creare speranza. La mancanza di Eleftherotypia è una perdita per la società, perché aveva una sua linea editoriale indipendente. Gli altri giornali sono tutti piuttosto omologati”, afferma Kleftoyanni. “È un’utopia quello che cerchiamo di realizzare”. Yorgos Tzedakis – giornalista che lavora da 22 anni nel giornale e si occupa principalmente di reportage – è appoggiato alla scrivania dell’ufficio in cui ci troviamo. Finisce di girare una sigaretta e annuisce. “Questa è una guerra. Siamo soli contro tutti”. Accende la sigaretta e tira una boccata. “Siamo sia soldati che giornalisti”.

I due si devono congedare. Mi raggiunge Dimitris Anastasopulos, 44 anni, che scrive di musica e libri. Vive con la moglie, che lavora alla rivista Marieclaire. Non avendo uno stipendio, Anastasopulos cerca di tirare su qualche spicciolo facendo il venditore ambulante di libri di piccole case editrici. “È illegale, ma è un modo di guadagnare i soldi per comprarsi almeno i libri e le sigarette”. A differenza dei suoi colleghi non ripone molte speranze nel futuro: “Qualche tempo fa Notis Mitarakis, che forse diventerà Ministro dell’Economia o comunque sottosegretario, mi ha detto che ‘entro tre anni, la maggior parte dei media greci, incluse le televisioni, chiuderà’”. Dimitris ritiene che, ora come ora, l’unico spazio per un giornalismo indipendente sia Internet: “Ma lì non ci sono soldi, e per il momento non è un modello sostenibile. Sinceramente non so cosa aspettarmi. Non sono molto ottimista”. Pensiero sulle elezioni? “Non credo che con Saramaras le cose andranno meglio. Anzi, è probabile che vadano peggio”.

Raggiungo nel suo ufficio Yannis Bogiopolous, vice-caporedattore del desk politico. Sposato con la corrispondente del Medioriente di Eleftherotypia, fino all’anno scorso Yannis prendeva 2000 euro al mese. Con l’avvento della crisi, la coppia ha deciso che uno dei due doveva licenziarsi. L’ha fatto la moglie. Ora i due vivono con i 600 euro al mese del sussidio di disoccupazione. Bogiopolous mi spiega che lui e i suoi colleghi sono rimasti nell’edificio perché, naturalmente, in questo modo è più facile produrre il giornale. “Su questo versante i proprietari non hanno mai avuto problemi. Piuttosto, vogliono tenersi il titolo, perché ha una reputazione ed è una risorsa”. Questa circostanza crea diverse complicazioni a livello giuridico: “Legalmente, il nome del giornale non ci appartiene”. Alcune possibili soluzioni avanzate in questi mesi sono state quelle di cambiare la testata (“ma il nostro obiettivo è salvare il giornale”, precisa Bogiopolous) oppure costituire una cooperativa – una sorta di ritorno alle origini, visto che negli anni ’70 il giornale era gestito dai giornalisti. “Ma l’opzione della cooperativa la teniamo come ultima spiaggia. Non tutti sono d’accordo”.

Bogiopolous di tanto in tanto controlla la posta elettronica. “Ci hanno detto che abbiamo fatto un ottimo lavoro – dice riferendosi all’ultimo numero – Solo io ho ricevuto migliaia di messaggi di congratulazioni”. Sul volto si nota distintamente la soddisfazione per un prodotto editoriale così coraggioso. “Questo vuol dire che i lettori sono affezionati, che ancora ci sostengono. Eleftherotypia era obiettivo, ospitava le opinioni più diverse – dalla sinistra alla destra. Gli altri giornali hanno legami con lobby finanziarie, armatori, politici. Dietro di noi, invece, c’era solo un gruppo editoriale”. Per Bogiopolous, il futuro del giornale è appeso a un filo: “Sappiamo di essere in grado di fare un bel prodotto. Ma non sono sicuro che con l’attuale situazione legale possiamo farcela”.

Verso una società senza giornali? 

L’ultimo colloquio lo faccio con Kostas Kyriakopulos. È il caporedattore della cronaca e cura anche l’aspetto social del giornale (che, prima di chiudere, aveva il sito d’informazione più visitato in Grecia). Ha una moglie e una bambina di quattro anni. “Non chiedermi come riusciamo a cavarcela. In pratica, ci sosteniamo attraverso una sorta di piano Marshall familiare”, esordisce sorridendo. Mentre parla noto che dietro di lui c’è un foglio A4 in cui si legge: “Google before you tweet is the new think before you speak

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“Il nostro obiettivo è lanciare un messaggio all’opinione pubblica e al mercato. Vogliamo dire che siamo vivi, che restiamo qui e che sappiamo fare bene il nostro mestiere”. Però, avverte, “stiamo davvero facendo gli ultimi sforzi per il giornale. Molti di noi stanno già preparando un piano B per il loro futuro professionale. Aspettiamo che i proprietari facciano qualcosa”. Pausa. “Qualcosa di buono, ecco”. Per Kyriakopulos, a ogni modo, è necessario “cambiare il modello dei media in Grecia. Le persone hanno bisogno di un altro tipo di informazione. Il vecchio modello è finito”. Stiamo andando verso una società senza giornali? “Non riesco a immaginarmi una società senza giornali. Ma riesco a immaginarmi una società senza questo tipo di giornalismo”.

Dentro l’ufficio del giornalista arrivano i più disparati rumori: scarpe che solcano il corridoio, tastiere che battono, telefoni che squillano, l’acceso dibattito del Comitato dei Lavoratori.“Se non altro – conclude Kyriakopulos – abbiamo qualcosa in cui sperare. Molti greci non hanno più nemmeno quello”.

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