Le foto della vittima: è lecita la pubblicazione?
6 min letturaMatteo Pascoletti e Bruno Saetta
Pur nel dolore e nello sbigottimento provocato dal tragico attentato di Brindisi, la circolazione dell'immagine della vittima - presa dal profilo Facebook della ragazza - e la diffusione del nome di un'altra ragazza gravemente ferita, data per morta in alcuni momenti della giornata, ci ha spinto a una riflessione su privacy e informazione. Ne abbiamo già parlato in altri casi, e a proposito di altri tragici eventi, ma sentiamo il bisogno di farlo anche stavolta, sperando che ciò non offenda nessuno. Forse è un nostro limite, ma giornalisti che twittano foto della vittima accompagnandole con elegie di 140 caratteri più che a corretta informazione ci fanno pensare a poesia kitsch. Inoltre, pensare che il racconto o la partecipazione emotiva abbiano bisogno della circolazione di immagini o di gallery ottenute semplicemente perché la vittima non ha settato in un certo modo le impostazioni del profilo Facebook significa, tra l'altro, dimostrare di non avere la minima idea di cosa sia il dolore di una madre o di un padre che perdono una figlia. Ma anche questo pensiero, forse, è un nostro limite.
Una premessa è d'obbligo: qualunque valutazione definitiva spetta al Garante per la protezione dei dati personali o in alternativa alla magistratura, semmai qualcuno dovesse richiedere un loro intervento, per cui tutto quanto segue è l'opinione di chi scrive, pur se supportata da, si spera, sufficienti conoscenze giuridiche.
Le norme che stabiliscono i limiti alla pubblicazione dei ritratti e dei volti delle persone, anche in rete, sono la legge 633 del 1941, o legge sul diritto d'autore, e la normativa sulla privacy che prevedono la necessità del consenso della persona ritratta per "usare" la sua immagine, con alcune ipotesi specifiche nelle quali il consenso non è necessario (in occasione di avvenimenti pubblici, in presenza di eventi di cronaca, ecc...). La normativa sulla privacy è ovviamente in considerazione perché il volto è considerato dato personale. Nel caso specifico si tratta di una minore, deceduta a seguito di un attentato dinamitardo, della quale sono state pubblicate immagini non dalla scena del crimine, quanto riprese da altri luoghi online, quindi pubblici, come ad esempio il profilo Facebook.
A parte considerazioni relative al rispetto della persona in sé, che qui non trattiamo, ci chiediamo: è lecita la pubblicazione della foto? Gli elementi da analizzare riguardano la circostanza che le foto erano già pubbliche, e che la pubblicazione è avvenuta in occasione di un evento di cronaca riprovevole e sicuramente di interesse pubblico. È evidente che la copia, la riproduzione, l'utilizzo e la ripubblicazione delle immagini della minore costituiscono trattamento di dati personali. Sulla base della normativa sulla privacy a chi esercita attività giornalistica, genericamente e quindi non solo con riferimento ai giornalisti professionisti, è permesso il trattamento di dati personali anche senza il consenso degli aventi diritti, nel caso in questione i genitori della minore, e con riferimento ai dati sensibili e giudiziari, senza la preventiva autorizzazione del Garante, purché ci si attenga ai limiti dettati dal diritto di cronaca. Questi limiti sono individuati nell’essenzialità della notizia e nell’interesse pubblico, con l’unica eccezione dei dati relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall’interessato o attraverso i suoi comportamenti pubblici. Quindi chi esercita attività giornalistica - e potrebbe essere anche un blogger o un utente di Twitter - può raccogliere e diffondere dati personali anche senza il consenso dell'interessato, purché tali dati siano raccolti e diffusi secondo liceità e correttezza, utilizzandoli per scopi compatibili con quelli per i quali sono stati in precedenza trattati e rispettando i limiti del diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza. Ciò risponde chiaramente alla problematica da noi sollevata, in particolare alle modalità di raccolta del dato personale.
A ulteriore chiarimento citiamo il provvedimento del Garante per la privacy del 19 dicembre 2002, intervenuto in occasione del crollo di una scuola, evento in cui persero la vita molti bambini. In quella occasione un noto giornale raccolse le foto dei minori deceduti da luoghi pubblici, come muri sui quali erano stati apposti per commemorare le vittime o dalle tombe, per poi pubblicarli in prima pagina e nelle pagine interne. Il Garante a riguardo precisò che le immagini erano state raccolte secondo modalità illecite, in violazione dei principi di liceità e correttezza e di compatibilità degli scopi sanciti dal codice della privacy. Un elemento essenziale per stabilire la liceità di un trattamento, come ribadito anche da numerose pronunce giurisprudenziali (Cass. 5525 del 2012), è infatti dato dalla finalità: il trattamento effettuato per uno scopo specifico non contempla finalità differenti. In caso di cambio della finalità occorre sempre e comunque un nuovo consenso dell'interessato che deve essere correttamente informato relativamente alla nuova finalità. Nel caso specifico, quindi, il fatto che le foto fossero pubbliche, presenti già in Rete - come lo erano quelle sulle tombe - non autorizza affatto automaticamente la copia e la riproduzione delle foto per finalità differenti rispetto a quelle originali. La ragazza, o chi per lei, non le aveva certo pubblicate preventivamente perché fossero diffuse in caso di morte. Sempre il provvedimento del Garante citato ci permette di risolvere en passant un altro problema: se la tutela dei diritti di un minore scomparso perda qualsiasi garanzia per effetto della sua morte, problema risolto laddove il Garante ha fermamente rigettato la tesi, specificatamente esposta all'epoca dal noto giornale.
L'altro elemento che è stato richiamato a giustificazione della pubblicazione delle immagini è il diritto di cronaca, cioè il diritto dei cittadini a essere informati, e anche il diritto alla libera manifestazione del pensiero. Il diritto di cronaca si manifesta, e vanifica dunque la perseguibilità in base a 3 presupposti:
- la veridicità della notizia;
- la pertinenza, ovvero se esiste un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti;
- la continenza, ovvero l'informazione deve essere mantenuta nei giusti limiti della più serena obiettività.
Quello che a noi interessa dunque è che deve esistere un interesse pubblico alla conoscenza delle notizia tale da prevalere sull'esigenza di riservatezza o privacy. Questo perché, ribadiamolo, la pubblicazione del volto di un minore è sempre un illecito, se non è applicabile una causa di giustificazione. Di esempi concreti se ne possono fare molti: si va dal coinvolgimento in indagini di politici che incontrano transgender o prostitute, a riprese di reati commessi in casa. Si tratta di situazioni nelle quali il diritto alla privacy della persona (o di chi esercita per essa i suoi diritti) può essere compresso per esigenze di cronaca. Per tutti questi casi la sicura violazione della privacy può non essere considerata trattamento illecito di dati personali, poiché le esigenze di cronaca sono ritenute prevalenti. Questo è il motivo della nostra premessa di partenza: tale bilanciamento è specificamente demandato al Garante o in alternativa alla magistratura.
Comunque, per realizzare un corretto bilanciamento degli interessi in gioco si deve focalizzare l'attenzione su quale sia la notizia: cosa è realmente di interesse pubblico? In questo, orribile caso appare evidente che la notizia è l'attentato dinamitardo e le sue conseguenze nonché le implicazioni politiche. Non è certo notizia il volto della vittima, peraltro minorenne. Per comprendere ciò basta rispondere a una domanda: conoscere il volto quanto aiuta a comprendere la vicenda? Importa per esempio il colore dei capelli, se siano tinti oppure no? Comprendiamo maggiormente il fatto sapendo se la vittima portava gli occhiali oppure no? La conclusione appare ovvia: nessuna informazione ulteriore ci arriva dalla foto, oppure, per dirla col Garante, le esigenze di informazione dell'opinione pubblica “non sarebbero state pregiudicate dalla mancata pubblicazione di immagini”. Inoltre, la pubblicazione delle immagini non è comunque e in ogni caso giustificata dal mero collegamento con un evento di attualità dell'immagine riprodotta, per cui la ripubblicazione e lo sfruttamento delle foto deve senz'altro tenere conto del legittimo interesse al decoro e al riserbo personale dei familiari delle vittime, come ha prontamente ricordato poche ore dopo il fatto il Garante per la privacy con un comunicato.
Di sicuro non si può dire che la pubblicazione dell'immagine fosse giustificata da necessità di giustizia o di polizia, cosa che si realizza, ovviamente, nelle ipotesi di bambini scomparsi dove la conoscenza del volto del minore rapito può eventualmente agevolare le indagini in corso sull'attentato. Ma non è il nostro caso.
Appare evidente, quindi, che la pubblicazione del volto della minore, in chiaro e identificabile, anche se in presenza di generiche manifestazioni di cordoglio, non può ritenersi in alcun modo giustificata da un presunto diritto di cronaca. Ragionamento analogo si può fare certamente per le notizie che hanno presentato il volto della ragazza con enfasi maggiore rispetto alla notizia medesima; c'è da chiedersi se non sia ravvisabile un profilo di illegittimità in tutte le pubblicazioni della foto in assenza di ulteriore e nuovo consenso. Oltretutto il trattamento, e quindi la ripubblicazione, deve rispondere al cosiddetto principio di necessità: si deve minimizzare l’utilizzazione di dati personali e identificativi, così da escludere il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante dati anonimi oppure modalità che permettano di identificare l’interessato solo in caso di necessità. È evidente che non vi era alcuna necessità di conoscere il volto specifico della deceduta, per cui anche tale principio non risulta rispettato.
Le autorità indagheranno sull'accaduto, ma finora abbiamo una certezza: l'attentato di Brindisi è un evento violentissimo, che ha squassato la giornata di ieri, e che probabilmente si imprimerà nella memoria collettiva del Paese. C'è da domandarsi se la scelta di un racconto emotivo non rappresenti un modo per compensare la difficoltà di informare correttamente sull'accaduto - che in alcuni aspetti appare terribilmente inedito. Forse si preferisce il racconto delle emozioni, la loro stimolazione rispetto al racconto dei fatti, semplicemente perché si stanno perdendo la capacità, la possibilità o persino la voglia di farlo.
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