Diritto d’autore in Rete: AgCom forza i tempi sull’inutile delibera
5 min letturaBruno Saetta
alle armi di Confindustria Cultura e la strana pubblicazione di un vecchio
parere del costituzionalista Onida, danno per certa la ripresa
del cammino della delibera AgCom, cioè quel regolamento che l'Autorità Garante per le Comunicazione sta
preparando con l'obiettivo di disciplinare il diritto d'autore in
rete.
Il tormentato percorso di tale regolamento ne ha visto
l'espunzione delle norme più repressive, quelle che consentivano il blocco dei
siti esteri, a seguito di un vasto movimento di opinione coagulatosi tramite
quella stessa rete che la delibera si propone di imbrigliare.
Il nuovo testo, decisamente più morbido al punto da essere
definito dai titolari dei diritti “un
pannicello caldo anzi tiepido”, è stato notificato alla Commissione europea
che ha chiesto spiegazioni in merito a numerosi punti della delibera, ma
attualmente è ancora in attesa di risposta. Nonostante ciò nei giorni scorsi si
è appreso dell'intenzione da parte dell'AgCom, ormai dimissionaria, di
approvare il testo nel periodo tra il 21 marzo, data della audizione del
presidente dell'Autorità in Senato, e metà maggio, quando appunto scadrà il
mandato degli attuali membri dell'AgCom.
Impossibile trattenere lo stupore di fronte ad una forzatura
dei tempi, che si assomma ad altre forzature. Innanzitutto di metodo,
visto che una regolamentazione del diritto d'autore in rete viene discussa in
tutto il resto d'Europa nelle opportune sedi, i rispettivi organi legislativi,
mentre noi siamo l'unico paese che delega una normativa capace di incidere
direttamente su beni costituzionali di interesse primario quali la libertà di
espressione, ad una autorità amministrativa che, non essendo democraticamente
eletta, non deve rispondere ai cittadini.
Il problema è poi di legittimazione, perché, nonostante le affermazioni dell'AgCom in
tema, in nessuna norma dell'ordinamento italiano si rinviene la legittimazione
dell'Autorità ad occuparsi di diritti d'autore e ad emanare provvedimenti
inibitori, addirittura contro soggetti terzi rispetto ai diritti in gioco, cioè
i fornitori di servizi online.
Le violazioni del diritto d'autore, generalmente reati,
infatti sono riservate alla competenza della magistratura, al punto che la
stesso AgCom (art. 182 ter L.633/1941) è tenuta a trasmettere gli atti
all'autorità giudiziaria in caso di violazioni. L'eventuale rimozione di un
contenuto presunto illecito, infatti, non bloccherebbe comunque l'azione penale
che nel nostro ordinamento è obbligatoria, anzi potrebbe addirittura
determinare l'inquinamento della prova.
Oltre al problema di metodo esiste anche un problema di
contenuti, riguardante la procedura per la rimozione. La delibera distingue chiaramente due fasi,
laddove la prima è svolta dinanzi al gestore del sito o fornitore di servizi
online, al quale il titolare dei diritti si rivolgerà per la rimozione del
contenuto. Il gestore del sito “ove possibile” notificherà la
richiesta al soggetto che ha immesso il contenuto. Se il gestore non rimuove,
il titolare si può rivolgere all'AgCom.
La fase dinanzi all'AgCom è, quindi, del tutto eventuale,
anzi quasi sicuramente tutte le richieste si concluderanno nella prima fase che
vede contrapposte una delle parti in causa, quindi interessata, e un soggetto,
il gestore o fornitore, che è indifferente alla contesa oppure meramente
interessato a non entrare in conflitto con una multinazionale e a non vedersi
infliggere una pesante multa dall'AgCom, fino a 250.000 euro.
È evidente che l'intera delibera è strutturata con
l'obiettivo di spingere alla collaborazione tra le aziende e ad un accordo che riverbererà, come meri danni
collaterali, i suoi effetti sull'utente spesso nemmeno avvertito della contesa.
È la stessa delibera che spinge i gestori o fornitori ad adottare procedure
finalizzate “alla rimozione di contenuti o programmi diffusi in violazione
del diritto d’autore”, e prevede espressamente che la procedura di notice
and takedown dell'AgCom non si applichi
laddove il gestore del sito o il fornitore del servizio abbia già adottato una
propria procedura avente la medesima finalità.
Si tratta di una evidente privatizzazione della funzione propria della magistratura, ed in
tal senso la delibera AgCom si insinua nella medesima prospettiva di ACTA.
Non c'è altra spiegazione alla evidente discrasia tra la
giustificazione della necessità di una procedura amministrativa di questo tipo,
cioè che non è possibile attendere i tempi biblici della giustizia italiana, e
il fatto che in realtà la procedura amministrativa potrebbe terminare tra i 45
e i 60 giorni, quindi decisamente molto, molto oltre i tempi (anche 48 ore) che
occorrono alla magistratura per oscurare un contenuto online in via cautelare o
d'urgenza.
La realtà è che la procedura dettagliata dall'AgCom è
semplicemente inutile, e non sarà quasi mai applicata, ma con essa si mira a
sottrarre la competenza in materia alla magistratura ed affidarla agli accordi
privati tra multinazionali, senza che i cittadini stiano tra i piedi e senza
che un governo se ne debba occupare. È forse lo scotto
da pagare per attrarre investimenti da parte delle ricche multinazionali
americane?
Il risultato sarà che un editore, una multinazionale, si
lamenterà amichevolmente con un altra multinazionale, chiedendo la rimozione di
un'opera della quale detiene i diritti, riconoscendola a mezzo di software
automatici, in base a stringhe di testo oppure a spezzoni video,
disinteressandosi della possibile esistenza di edizioni licenziate
separatamente (che l'autore potrebbe aver licenziato prima di chiudere il
contratto con l'editore), oppure semplicemente perché il blog sul quale il
contenuto è pubblicato presenta un banner da 20 euro l'anno per cui la sua può
ritenersi attività commerciale. Il contenuto sarà eliminato e se il cittadino,
condannato prima di un giudizio in barba ad ogni principio di “non
colpevolezza” fino a sentenza,
volesse semmai dimostrare di essere innocente, dovrà rivolgersi alla
magistratura a sue spese e con i tempi che conosciamo, laddove, però, la prova,
cioè il contenuto, è probabilmente non più rinvenibile.
La delibera AgCom avrà, inoltre, un impatto negativo
notevole sull'innovazione e la creatività, perché la creatività è spesso la
rielaborazione di contenuti precedenti (pensiamo ai mash up -es. le parodie in
musica-), tutelata quindi dalla corretta applicazione delle utilizzazioni
libere. Quelle stesse utilizzazioni
libere, o fair use all'inglese, pur citate nella delibera la cui
applicazione sarà però demandata ai produttori di contenuti, i quali non le
hanno ovviamente mai viste di buon grado. Perché permettono, infatti, la
pubblicazione di contenuti protetti anche in assenza del consenso del titolare,
per fini sociali ritenuti superiori rispetto alle esigenze puramente economiche
dei titolari medesimi.
L'importanza di tali eccezioni è tale da essere richiamate
nell'articolo 9 della Costituzione, “la Repubblica promuove lo sviluppo
della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, nonché nell’art. 33, “l'arte e la scienza sono libere e
libero ne è l'insegnamento”, e 21, “tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione”,
oltre che essere riconosciute nei principali trattati internazionali.
Chi porrà il limite tra plagio e contaminazione, tra copia e
parodia, tra ispirazione e furto, se non ci sarà più un giudice a contemperare
equamente i diritti delle parti? Con la delibera AgCom le utilizzazioni libere
se saranno applicate sarà solo per la “generosità” delle multinazionali dedite
al profitto, e il diritto di critica, il diritto di cronaca, il diritto di
insegnamento, il diritto di ricerca scientifica, la libertà di esprimere il
proprio pensiero, verranno tutte immancabilmente subordinate ad un mero
interesse economico.
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