Diritti Digitali Post

Vade retro Fava #noSOPAitalia

21 Gennaio 2012 4 min lettura

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Vade retro Fava #noSOPAitalia

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Bruno Saetta @brunosaetta
valigiablu - riproduzione consigliata

Imagine a world without free knowledge…”. Così titolava il 18 gennaio la pagina inglese di Wikipedia durante la serrata virtuale contro le proposte di legge gemelle SOPA e PIPA che, se approvate, limiterebbero fortemente i diritti civili di molti per la tutela dei diritti economici di poche multinazionali.

Ebbene, pare che qualcuno non resistita all’idea di provare l’ebbrezza di una rete “without free knowledge”. Stiamo parlando dell’Onorevole Fava della Lega Nord che ha presentato un emendamento al disegno di legge recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2011”, emendamento che ha già ottenuto il via libera da parte della Commissione Politiche Comunitarie.

 

Andiamo per ordine, l’attuale normativa (decreto legislativo 9 aprile 2003 n. 70 in attuazione della direttiva 2000/31/CE) che regola la responsabilità degli intermediari della comunicazione, cioè le aziende che forniscono servizi online, dall’accesso alla rete agli spazi web, stabilisce che questi ultimi non sono responsabili per i contenuti illeciti immessi dagli utenti sui loro server, se non ne hanno consapevolezza e se una volta venuti a conoscenza della presenza di tali contenuti illeciti da parte delle “autorità competenti” (da intendersi la magistratura), li rimuovono prontamente.

L’emendamento Fava aggiunge (rif. Pag 170) a tale precetto l’obbligo di rimuovere i contenuti medesimi anche a seguito di comunicazione da parte “di qualunque soggetto interessato”.

E non basta, ulteriori modifiche all’articolo 16 del decreto summenzionato introducono l’obbligo, da parte del fornitore di servizi online, di adempiere ad un generico “dovere di diligenza che è ragionevole attendersi da esso”, al fine di individuare e prevenire taluni tipi di attività illecite. In particolare si prevede espressamente l’adozione di filtri diretti ad impedire l’accesso alle informazioni o ai contenuti illeciti eventualmente presenti sui server del provider, o a contenuti diretti anche solo “ad agevolare la messa in commercio di prodotti o di servizi” i quali, sulla base della norma, si dovrebbero presumere illeciti perché abbinati a parole chiave (keyword) che negli usi normali del commercio indicano abitualmente prodotti non originali.

Ecco, viene da chiedersi quali sarebbero queste parole chiave che indicano prodotti non originali, speriamo non si adotti il suggerimento della Riaa, l’associazione americana che rappresenta l’industria musicale, la quale in un recente rapporto, nel bocciare Google in quanto non farebbe a sufficienza per combattere la pirateria, si lamentava del fatto che, ad esempio, nel digitare la ricerca “Lady Gaga mp3”, viene suggerito il termine “free” (“gratis” per l’italiano). Secondo il rapporto, infatti, “lady gaga mp3 free” e “lady gaga mp3 download” porterebbe a siti illegali (“lead to illegal sites”)!

 

Comunque, questo emendamento fa sì che un fornitore di servizi online abbia l’obbligo di rimuovere contenuti presunti illeciti anche se la comunicazione viene non dalle autorità destinate a stabilire l’illiceità di un contenuto, ma da qualsiasi soggetto interessato, che sicuramente è identificabile nei titolari dei contenuti ma, essendo la dizione fin troppo generica, potrebbe in teoria essere identificato anche in un imprecisato “interessato al rispetto delle norme”, quindi un qualsiasi utente che si trova a visitare il sito.

 

Ebbene, proprio nel momento in cui, dopo la serrata digitale del 18 gennaio, dagli Usa arrivano notizie sull’accantonamento delle proposte gemelle SOPA e PIPA, spunta questo emendamento che appare fin troppo simile nei contenuti. Se approvato, infatti, consentirà sicuramente ai titolari dei diritti, quindi un soggetto privato, di chiedere ed ottenere la rimozione di contenuti online sulla base della sola accusa che quei contenuti sono illeciti. Insomma, niente più giudizi affidati ad un organismo terzo tra le parti in causa, ma la valutazione dell’illiceità verrà demandata ad una delle parti: è la privatizzazione della tutela dei diritti delle multinazionali!

 

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Di sicuro il desiderio dell’Onorevole firmatario dell’emendamento in questione, di volere introdurre in Italia il peggior incubo dell’enciclopedia online Wikipedia, rischia di farci deviare dal percorso programmato dall'Europa, dove proprio pochi giorni fa la Commissione ha pubblicato una serie di documenti dai quali si ricava indubitabilmente che non c’è alcuna intenzione di modificare la direttiva europea sull’ecommerce, da noi trasposta nel decreto legislativo 70 del 2003. Non solo, proprio di recente una sentenza della Corte di Giustizia ha chiarito che un filtraggio generalizzato ed indiscriminato, e quindi un monitoraggio attivo di tutti i dati che transitano sui server di un provider, deve ritenersi incompatibile con la direttiva europea ecommerce, in particolar modo se esso, poiché potrebbe non essere in grado di distinguere tra contenuti leciti ed illeciti, rischia di limitare i diritti dei cittadini.

 

Chissà, forse quando il commissario europeo all’Agenda Digitale, Neelie Kroes, sosteneva che il copyright non deve essere più un ossessione, l’Onorevole Fava era distratto, tutto preso ad immaginare “a world without free knowledge”.

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