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Traslochi

19 Novembre 2011 2 min lettura

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Traslochi

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2 min lettura

Niente da fare, un qualsiasi tipo di trasferimento da un reparto ospedaliero è un vero e proprio trasloco. Sia che si debba tornare a casa sia che si venga trasferiti, servono almeno quattro persone per provvedere agli spostamenti e una serie infinita di sporte e sportine, perché naturalmente sei stata ricoverata d’urgenza, quindi non hai bauli per viaggi intercontinentali sulla Queen Elizabeth. Per fortuna Oncologia è solo 4 piani sopra, nessuna necessità di barelle e ambulanze.

Mi sono lasciata alle spalle un reparto un po’ agitato – tipo Dr House, per capirci, dove finiscono i casi per i quali non si riesce a fare una diagnosi precisa in pronto soccorso, quindi si andava dal poveretto in coma alla donna schizofrenica al caso di epatopatia acuta alla sottoscritta – anche se in una camera a due letti, per ritrovarmi in tutt’altro ambiente, tranquillo e silenzioso già a partire dei corridoi, la stanza a 5 letti di cui 4 occupati da signore anzianotte accoccolate nel letto coperte fino alla testa. Tutte pelate. Mi sembrava di essere capitata in Geriatria e non ero molto contenta, poi guardando fuori dalla grande finestra che occupa un’intera parete mi sono accorta della vista stupenda sulle colline di Bologna. Riconosco Villa Hercolani, il campanile di S.Antonio e degli Alemanni. Il morale si alza e mi accorgo di essere pronta ad affrontare qualsiasi cosa, perché se per un reparto così particolare e difficile era stato scelto proprio l’ultimo piano e quel tipo di orientamento delle stanza, beh, era un fatto che non poteva che essere di ottimo auspicio.
E non mi sbagliavo. Medici competenti, gentili e sinceri, ottimo personale, dotato di estrema empatia, lì il malato non è un numero di letto, ma una persona, con nome e cognome, con necessità differenti e mai sottovalutate.
Gli unici problemi? Certune pazienti.
Alcuni amici di Facebook probabilmente ricorderanno le mie lamentazioni riguardo l’insopportabile signora che nonostante tutto non vuole rinunciare al fumo e nell’arco di una mattina si fuma un intero pacchetto costringendo il povero marito ad accompagnarla sul terrazzino riservato ai fumatori e che nei rari momenti in cui è a letto non riesce a tacere lamentandosi in continuazione per qualsiasi cosa, del cibo della luce del buio del caldo del freddo del rumore del silenzio e via così.
I bei momenti in cui l’unico desiderio era avere un lanciafiamme. Il bello è che qualcuno, dalla rete, si è pure proposto di portarmelo.
Lia Bencivenni
@valigiablu - riproduzione consigliata

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1.087 Comments
  1. Alberta Poltronieri

    Lia è grande, è bella e positiva. Nel suo racconto c'è la malattia, ma soprattutto l'ironia gentile e profonda di chi la guarda in faccia e non si arrende. Sei veramente una persona speciale, sorella

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