Il referendum No Porcellum è una truffa?
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8 min lettura
Premessa (breve)
Come sapete da qualche settimana Valigia Blu è in prima linea per sostenere il referendum No Porcellum. Ieri sulla mia bacheca personale è nata una discussione con un mio contatto Guido Iodice, che accusa il referendum in questione di essere una truffa.
Nel corso della conversazione (in cui io tra l’altro invitavo Guido a entrare nel merito delle critiche senza parlare di truffa) Guido ha sottolineato il problema della “reviviscenza” (non è detto che abrogando il porcellum si ritorni automaticamente alla legge precedente, ma ci sarebbe un vuoto legislativo): “diversi costituzionalisti ritengono proprio il referendum Parisi inammissibile perché non sarebbe applicabile la reviviscenza della norma".
Guido ha anche riportato un testo del prof. Andrea Morrore del 2007, in cui l’attuale presidente del Comitato referendario si dichiarava contrario alla “reviviscenza”.
A questo punto io ho chiesto l’amicizia su facebook al prof. Morrone e l’ho taggato nella discussione.
Vi riportiamo qui la sua risposta (lunga :D). Update: alla fine dell'articolo ho aggiunto la replica di Guido.
P.S. Non posso non sottolineare la bellezza di quello che è successo, grazie ad un utilizzo “positivo” e “propositivo” di facebook, come network che favorisce incontri, confronti, discussioni, condivisione. Come sempre tutto dipende dall’uso che si fa degli strumenti che abbiamo a disposizione. La rete è una cosa meravigliosa!
Arianna
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Fa piacere, specie per un professore universitario, discutere dei propri scritti anche fuori dall’Accademia, specie se a interessarsene sono cittadini appassionati, impegnati politicamente e attenti a cogliere anche le più sottili sfumature argomentative.
Si discute, in particolare, di una mia opinione, espressa qualche tempo fa in un saggio, intorno alla possibilità della reviviscenza di norme abrogate da una legge successiva, mediante l’abrogazione, per mezzo di un referendum popolare, di quest’ultima legge (cfr. Sull’ammissibilità dei nuovi referendum elettorali, sui poteri del legislatore e sulla reviviscenza del “Mattarellum”, in Astrid, I referendum elettorali, Firenze, 2007).
L’interesse non è casuale: ho promosso due referendum elettorali per abrogare la legge Calderoli (nota come legge porcata) con l’obiettivo proprio di ripristinare il Mattarellum, ossia la legge in vigore in precedenza. Rileggendo quel saggio potrebbe sorgere il dubbio che il Presidente del Comitato referendario abbia cambiato idea, avendo allora sostenuto e argomentato l’impossibilità giuridica della reviviscenza.
Meglio chiarire, per fugare il sospetto che dietro i miei due referendum si nasconda…una truffa.
Quello che circola in rete è uno stralcio di un mio ampio saggio scientifico intorno all’ammissibilità dei referendum elettorali, parte di una serie di ricerche che, da anni, conduco in materia (chi vuole può leggere il volume La Repubblica dei referendum, edito da “il Mulino” di Bologna nel 2003, scritto con Augusto Barbera, o gli altri studi che possono essere trovati sfogliando il mio cv scientifico).
Non è un’opinione occasionale che può essere letta da sola e fuori contesto, ma il frutto di alcune ricerche condotte e discusse in sede accademica. E, proprio in materia scientifica, è abbastanza noto, che non esistono evidenze assolute, ma solo risultati provvisori e relativi. Del resto, tutti gli studiosi possono e – perbacco! – hanno il diritto di cambiare opinione! Anche io dunque, specie se, approfondendo gli studi, le ricerche conducono a risultati diversi da quelli ipotizzati o raggiunti in precedenza. Ma questa è un’altra storia.
E sì, perché, detto questo, con riferimento al tema della reviviscenza, rispetto a quanto scrivevo nel saggio del 2007, devo affermare che io non ho affatto cambiato idea.
Chi avesse la bontà di leggere l’intero scritto in questione, si accorgerebbe che l’ipotesi dalla quale partivo per discutere criticamente della c.d. proposta Castagnetti (ossia, quella per un referendum abrogativo totale della legge n. 270 del 2005 – la celeberrima legge porcata – e, cioè, proprio il primo dei due referendum che abbiamo presentato in Corte di cassazione), era il fenomeno dell’abrogazione e i suoi effetti. Come sanno i giuristi, l’abrogazione regola la successione delle leggi nel tempo: la legge successiva abroga la precedente, nel senso che ne delimita nel tempo gli effetti. Per il passato vale la legge abrogata, per il futuro quella che dispone l’abrogazione.
Detto questo, è altrettanto pacifico che dell’abrogazione è difficile dire quali siano esattamente le conseguenze giuridiche. Le diverse opinioni esistenti in dottrina, che in quel lavoro passavo in rassegna, sono riconducibili a due letture prevalenti. C’è chi considera l’abrogazione un fenomeno istantaneo e definitivo, nel senso che la disposizione abrogata cessa definitivamente di avere effetto; c’è chi la considera un fenomeno dinamico, i cui effetti vanno, di volta in volta, ricostruiti dall’interprete, e che, quindi, non produce conseguenze definitive, ma mutevoli a seconda dell’interprete e del contesto.
Già porre questa alternativa, equivale a manifestare che in letteratura non esiste una comune visione dell’abrogazione e dei suoi effetti. Si tratta di scegliere e di ricostruirne le possibili conseguenze. Chi opta per la prima lettura, dovrebbe logicamente mettere in dubbio la possibile reviviscenza derivante dall’abrogazione della disposizione abrogativa; chi opta per la seconda, invece, dovrebbe aprire proprio a quest’ultima possibilità. Nel mio saggio esprimevo implicitamente una preferenza per la prima soluzione. Questo perché ritenevo e ritengo che l’abrogazione espressa (e solo quella espressa) limiti in sé e per sé le possibilità interpretative circa l’effetto abrogativo.
Questo discorso, riferito all’abrogazione espressa disposta dal legislatore, dovrebbe valere anche per l’abrogazione referendaria: che è comunemente ritenuta una variante dell’abrogazione espressa. La Costituzione prevede, infatti, che il referendum sia diretto all’abrogazione di leggi e atti aventi valore di legge (art. 75), che vanno esattamente indicati nel quesito (“Volete voi l’abrogazione della legge…?”).
Ma qui si apre un altro problema giuridico: perché la Corte costituzionale, rileggendo la Costituzione, ha stabilito che i referendum abrogativi in materia elettorale devono essere non solo abrogativi, ma anche propositivi, ossia ad effetto “autoapplicativo”. Ciò significa che se si vuole abrogare una legge elettorale non si può lasciare il vuoto, spazzando via ogni regola, ma devono residuare sempre delle disposizioni funzionanti, per fare eleggere senza soluzione di continuità gli organi costituzionali interessati. Ma quali disposizioni? Questo è il problema! Ed è un problema aperto, dato che la ricostruzione della “normativa di risulta” è una questione di interpretazione, che non può essere risolta automaticamente e una volta per tutte.
Ho sempre criticato la giurisprudenza creatrice della Corte costituzionale in materia di referendum elettorali (nata nel 1987 in occasione del referendum contro la legge elettorale del Consiglio superiore della magistratura): proprio perché, stravolgendo il senso dell’art. 75 Cost., ha finito per generalizzare la seconda tesi sugli effetti dell’abrogazione (quella che la considera un fenomeno dinamico) e, quindi, perché l’ha, di fatto, trasformata in un fenomeno sempre soggettivamente apprezzabile, sempre rimesso alla discrezionalità dell’interprete. La mia preferenza per prima tesi, quindi, si giustificava anche per una questione di fedeltà al testo della Costituzione, con l’obiettivo di politica del diritto di riportare la giurisprudenza costituzionale dentro la Costituzione. Per limitarne la creatività, dunque, che, specie in materia di referendum elettorali, ha condotto ad esiti che sono, per usare un eufemismo, molto incerti (il che, lo dico tra parentesi, rende inutile qualsiasi discussione scientifica, e svuota di contenuto anche quello che scrivevo in quel saggio).
In secondo luogo, la conclusione alla quale arrivavo allora, partendo da quella premessa, era riferita solo al “referendum Castagnetti”, ossia all’abrogazione totale della legge n. 270 del 2005. Non è un caso che il Comitato referendario, che ho l’onore di presiedere, ha presentato un secondo quesito, molto più lungo e complesso, questo sì veramente originale rispetto alla discussione di quegli anni. Tecnicamente questo secondo referendum abroga puntuali disposti normativi della legge n. 270 del 2005. L’obiettivo è lo stesso, abrogare la legge Calderoli, solo che qui anziché usare l’accetta (come nel quesito Castagnetti), si usa il bisturi, colpendo chirurgicamente tutte le disposizioni che ordinano la sostituzione normativa, facendo così venir meno la possibilità di applicare le nuove regole contenute nella legge n. 270 del 2005.
Per finire: proprio perché nel 2007, in quel saggio che oggi confermo in toto, riconoscevo la debolezza teorica (qualora si fosse assunto, come assumevo, il carattere istantaneo dell’abrogazione espressa) che sorreggeva l’impianto del referendum Castagnetti ho confezionato il secondo quesito. Presentare il secondo referendum abrogativo della legge Calderoli, quindi, costituisce una risposta pratica ai miei dubbi di studioso. Presentarli entrambi, invece, rappresenta solo uno scrupolo in più di fronte all’alea del giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale.
La prossima volta parlerò nel merito dei quesiti.
Andrea Morrone Presidente del Comitato referendario per i collegi uninominali - Co.Re.CU., professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Bologna
@valigia blu - riproduzione consigliata
Ringrazio il professor Morrone per la puntuale replica. Tuttavia essa non fuga i dubbi che ho espresso per almeno due motivi (quanti sono i quesiti referendari di cui discutiamo).
1. Il professor Morrone sostiene di non aver cambiato idea rispetto al suo saggio del 2007. Se così fosse, allora non si capisce come mai egli abbia presentato un quesito identico a quello proposto (solo sulla carta) da Castagnetti, da lui così veementemente criticato nel suddetto saggio. L’unico motivo che riesco a figurarmi è legato al fatto che il professore è uno scienziato del diritto: come tale vuole condurre un esperimento per verificare se la sua tesi di allora sia corretta o meno, sottoponendo alla Corte proprio il “quesito Castagnetti”. Se è così, come scienziato, fa benissimo, ma dovrebbe ammetterlo esplicitamente. In tal caso, come cittadino, mi rifiuterei di spendere soldi e tempo nella raccolta di centinaia di migliaia di firme al solo scopo – mi si perdoni l’ironia – di aumentare il prestigio del professor Morrone. Fuor di battuta, il minimo che si possa dire è che la presentazione di quel quesito è politicamente inopportuna e probabilmente controproducente.
2. Nella replica il professore spiega che egli ha presentato anche un secondo quesito, tecnicamente diverso ma identico nel risultato, che non abroga tout court la legge Calderoli, bensì “opera con il bisturi” (si potrebbe obiettare dicendo ciò è vero solo in parte ma non aggiungerebbe molto alla discussione). Secondo Morrone tale quesito quindi potrebbe più facilmente superare l’esame della Corte costituzionale. Tuttavia questo non mi pare risolva il problema di fondo sollevato nel 2007 dal professore, ovvero l’automatica o meno reviviscenza della norma precedente. Anche il secondo quesito, difatti, si basa sull’assunto che la reviviscenza sia possibile in questo specifico caso. Tesi però che non convince il Morrone del 2007. Scrive infatti proprio sull’ipotesi di una abrogazione “col bisturi” della Legge Calderoli, avanzata da Massimo Luciani:
“Formalmente [...] è da dimostrare che la legge n. 270 del 2005 [il porcellum], nelle sue disposizioni sostitutive, realizzi un caso di abrogazione mera, l'unica ipotesi che in parte della dottrina è considerata quale presupposto necessario della reviviscenza. In ogni caso, questa ipotesi non aggiunge nulla di nuovo per superare l'obiezione principale, circa la non automaticità dell'effetto di reviviscenza.”
Continua ancora più esplicitamente:
“Abrogare la disposizione “L'articolo … è sostituto da” può solo significare (in negativo) che non c'è più una sostituzione normativa, ma non anche (in positivo) quale è la disposizione applicabile in concreto, senza una volontà chiara e espressa in tal senso.”
Aggiungo che nelle note tecniche sui due quesiti scritte dal professor Morrone, vengono citati come “ideatori” degli stessi proprio Castagnetti e Luciani, a dimostrazione che non si tratta di ipotesi differenti da quelle che egli aveva stroncato nel saggio del 2007.
Insomma a me pare che il professor Morrone stia giocando con il fuoco. Come accademico è apprezzabile che lo faccia. Ma quando inizia la raccolta di firme per chiedere un referendum, si scende dall’Accademia alla politica, si impegnano il tempo, le risorse economiche e persino i corpi delle persone. Senza una ragionevole certezza che i quesiti siano effettivamente in grado di superare il vaglio della Corte, sarebbe stato meglio continuare a discutere dell’argomento nei seminari e impegnarsi invece a sostenere i defunti quesiti Passigli, che per lo meno non pretendevano di far rivivere una norma abrogata. Quesiti di fatto uccisi – val la pena ricordarlo – proprio dal sopraggiungere dei referendum Morrone-Parisi appoggiati dai media che invece avevano ostracizzato quelli di Passigli.
Guido Iodice
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