La notte della Rete: parliamone
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Vorrei che il post di Massimo Mantellini di ieri non cadesse nel vuoto o, peggio, fosse ridotto a sterile polemica perché magari c’è chi pensa “non possiamo permetterci di litigare tra noi” (senza che si capisca mai, in effetti, che cosa sia quel “noi”, e rendendolo così debole in partenza).
Ora chiunque pensa di stare in quel “noi”, poiché non sta certo a me scegliere, vorrei leggesse con attenzione queste righe di Mantellini:
Un certo numero dei “personaggi” che domani a Roma parteciperanno alla manifestazione contro il bavaglio alla Rete, sono uomini di potere che quando potevano agire a favore della libera espressione in Rete non l’hanno fatto. In qualche caso di particolare “facciatostismo” hanno perfino partorito provvedimenti legislativi a loro nome contro l’interesse dei cittadini in rete, poi se ne sono dimenticati e domani scenderanno in piazza contro quella stessa censura in rete che hanno contribuito a far crescere.
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Al posto di Annozero c’è Facebook, al posto di Sandro Ruotolo fra i cassintegrati c’è la petizione online firmata da decine di migliaia di clickattivisti (l’ho firmata anch’io, che credete), domani forse ci saranno un po’ di persone in piazza, di sicuro i giornali ne parleranno e perfino il presidente della Camera avrà nel frattempo pronunciato qualche bella parola sui diritti dei cittadini italiani su Internet.
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Al posto di Annozero c’è Facebook, al posto di Sandro Ruotolo fra i cassintegrati c’è la petizione online firmata da decine di migliaia di clickattivisti (l’ho firmata anch’io, che credete), domani forse ci saranno un po’ di persone in piazza, di sicuro i giornali ne parleranno e perfino il presidente della Camera avrà nel frattempo pronunciato qualche bella parola sui diritti dei cittadini italiani su Internet.
Bisogna avere il coraggio, l’onestà e la forza intellettuale di dirle queste cose, di non fare finta che basti essere dalla parte “giusta”, anche qui senza capire mai in cosa consista questo “giusto” e senza capire perché mai sia una condizione a priori che non va discussa, come se dibattere e confrontarsi fosse un favore fatto al nemico. Tanto più che, come ricorda Mantellini, spesso si usa questa mancanza di dibattito per spostarsi agilmente sul carro dei momentanei vincitori, perché tanto in Italia si ha la memoria corta e, per esempio, non si ricorda che il primo provvedimento ammazza web in Italia porta la firma di Prodi. O che i partiti, sulla delibera Agcom, si sono mossi molto in ritardo rispetto a blogger come Fabio Chiusi (si vedano i suoi post sconsolati di Cassandra inascoltata) e associazioni come Agorà digitale.
E credo inoltre, e lo dico soprattutto per esperienza diretta, che temi politici importantissimi come la libertà della rete, o in passato la dignità delle donne, o ancora prima il rischio della legge bavaglio, temi che vanno a toccare diritti fondamentali, non possono tradursi in iniziative che replicano format televisivi, addirittura con testimonial che, fondamentalmente, sono lì non perché hanno le competenze per parlare sull’argomento e informare le persone, ma perché sono popolari, sono nomi di richiamo, e allora se c'è il tale attore o il tal cantante la gente va in piazza, sennò sta a casa. Un simile schema, e lo dico proprio perché vorrei si capisse quanto questo modo di pensare è antipolitico e deleterio, è simile al PR della discoteca che chiama il concorrente del Grande Fratello così almeno per quella sera fa il pieno di clienti.
Faccio un esempio concreto, e spero si capisca che lo faccio affinché la questione appaia il più possibile limpida e chiara. In un evento come La notte della rete un Vittorio Zambardino avrebbe dovuto tenere banco per almeno un’ora, vista l’esperienza e la competenza che ha, e non essere tagliato fuori per problemi di scaletta. Dario Fo è un illustrissimo premio Nobel e un grandissimo attore, ma come Zambardino non va a parlare di Commedia dell’Arte al Piccolo di Milano, non capisco perché un attore debba parlare di delibere Agcom, copyright e quant’altro. Così non si aiuta l’opinione pubblica a capire concetti che di per sé sono complicati, e ci si può schierare come tifosi o ultrà.
Infine, sento sempre parlare di cose “organizzate dal basso”, senza partiti “ecc.”. Ora, io davvero non voglio fare polemiche, il mio scopo è cercare di rendere più autentico il dibattito politico. A me risulta che molto spesso service, palchi e quant’altro vengano pagati dai partiti. Perché non si dice, e si crea la fallace percezione che tutto sia venuto dal basso? Perché in piazza si recita il ruolo dell'antipartiti a tutti i costi, quando poi magari si lavora o si collabora con essi? Perché i partiti sono brutti? A me pare che se i membri di un sindacato e di un partito appoggiano un’iniziativa, vada detto e vada dato loro merito, così come è lecito, forse persino doveroso, criticarli quando su temi cruciali latitano, o si voltano dall’altra parte.
Tacere o dissimulare su certi aspetti significa inoltre indebolire le possibilità di partecipazione, organizzazione e mobilitazione dei cittadini, poiché se mobilitarsi dal basso in realtà non è possibile, magari c’è chi ci prova e scopre che non è vero: ciò genera quanto meno confusione, disorientamento, e alla lunga allontana le persone dalla politica.
Matteo Pascoletti
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