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Le strane censure di Facebook

13 Settembre 2010 3 min lettura

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Le strane censure di Facebook

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Il social network americano impedisce agli amministratori di gestire la loro pagina contro il Porcellum. E non risponde alle richieste di chiarimenti. Un giurista spiega il lato oscuro del social network firmato Mark Zuckerberg

Dall'8 settembre scorso il social network Facebook impedisce a Libertà e Giustizia e a Valigia Blu di amministrare la pagina "Ridateci la nostra democrazia", creata due giorni prima per sostenere una raccolta congiunta di adesioni contro la legge elettorale Porcellum. Gli iscritti sono al momento più di 21.500, e in crescita costante, ma gli amministratori non possono intervenire in alcun modo per pubblicare aggiornamenti o moderare eventuali contenuti inappropriati scritti dagli altri partecipanti. Ai tentativi di ottenere spiegazioni, attraverso ogni possibile canale, Facebook finora non ha ritenuto di dover dare risposte, nemmeno se si tratta di un malfunzionamento o di un'azione deliberata, legata a una improbabile violazione del regolamento o alla segnalazione non giustificata da parte di chi non gradisce l'iniziativa. Dopo cinque giorni di ragionevole e paziente attesa, Libertà e Giustizia e Valigia Blu hanno deciso di denunciare il comportamento censorio di Facebook con ogni mezzo finché non otterranno risposte convincenti e il pieno ripristino delle funzionalità. A proposito della policy e delle censure di Facebook è intervenuto sul suo blog il giurista esperto di Internet Guido Scorza, con l'intervento che qui pubblichiamo.

"È gratis e lo sarà per sempre!". È il messaggio di benvenuto con il quale Facebook, il gigante del social network, accoglie, ogni giorno, centinaia di migliaia di utenti in tutto il mondo, promettendo loro l'accesso alla più grande piazza virtuale della storia dell'uomo per condividervi idee ed opinioni, per intrecciare relazioni personali e professionali o, piuttosto per combattere campagne e battaglie anche politiche.

Liberi di esprimersi e gratuitamente: è il sogno che il colosso che sta riscrivendo le regole della comunicazione e della politica ma, forse, più in generale, quelle della convivenza tra gli uomini, promette di trasformare in realtà. Ma è un sogno che diviene realtà o, piuttosto, solo una straordinaria illusione?

Negli ultimi mesi si sono già spesi fiumi di bit per raccontare il lato oscuro del social network firmato Mark Zuckerberg.
Si è parlato di Facebook come dell'antiprivacy e si è contestato - ed a ragione - che possa definirsi gratuita l'erogazione di un servizio, quando pur non chiedendo agli utenti di pagare alcunché, si chiede loro qualcosa di molto più prezioso, ovvero il consenso all'utilizzo di una quantità importante di dati personali e la cessione di diritti di proprietà intellettuale sulle loro idee e sulla loro creatività, che la piattaforma bianca e blu fagocita, fa propri, riutilizza e trasforma - in modo assolutamente legittimo - in moneta sonante per milioni e milioni di dollari ogni mese.

Tutto vero, incontestabile, ma la rinuncia a frammenti più o meno importanti della nostra privacy e qualche bit di proprietà intellettuale - talvolta, in effetti, milioni di milioni - è un prezzo che milioni di persone, forse, sono disponibili a pagare per sentirsi per la prima volta davvero liberi di comunicare, condividere idee ed opinioni e, in un'accezione moderna e semplicistica, potremmo persino dire vivere.

Mark Zuckerberg, d'altra parte, non ha mai raccontato al mondo di essere un benefattore, né un messia sceso in Rete per guidare la comunità globale verso la terra promessa. Zuckerberg è il rampante manager ragazzino - e così si presenta - di una delle più grandi e profittevoli realtà imprenditoriali della Silicon Valley a stelle e strisce.

È naturale, quindi, che il suo obiettivo sia quello di macinare quanti più dollari possibile ed è perfettamente legittimo che lo faccia all'unica condizione di garantire trasparenza e consapevolezza ai suoi clienti circa il prezzo da pagare per entrare e vivere nella sua enorme e rivoluzionaria piazza virtuale.

Quella dell'accesso gratuito alla piazza virtuale è quindi solo un'illusione o, meglio, un espediente di marketing di straordinaria efficacia, forse commercialmente poco corretto, ma certamente non basta a fare di Zuckerberg il diavolo, né di Facebook uno strumento del male.

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