Imprigionare il blog
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4 min lettura
Adesso che tutto il pasticcio di legge anti-intercettazioni e pro-bavaglio è slittato a settembre, salvo sorprese balneari agostane, vale la pena di fare il punto sulla questione internet e di rimarcare un caso estremo di imprigionamento e censura di un blog. Intanto, la sollevazione popolare anti-bavaglio e in particolare quella dei gruppi nati dalla Rete in sit-in permanente davanti a Montecitorio, a partire dal “Popolo viola”, da “Valigia blu” che ha raccolto le firme anti-bavaglio e da “Libertà e Partecipazione”, ha sortito un risultato di fatto, ovviamente assai facilitato dalla crisi della coalizione di governo, tra Berlusconi e Fini.
Per il web, era il cosiddetto Comma 29 del ddl famigerato, una specie di Comma 22 ma senza ironia..., a costituire il bersaglio dei blogger e dei cittadini: infatti secondo tale Comma l’obbligo legislativo di rettifica di ciò che esce su un blog entro 48 ore stringeva le maglie della libertà di espressione trattando la Rete come qualunque altro mezzo di comunicazione formalmente registrato come tale presso un’autorità di riferimento. Questa sorta di parificazione avrebbe stravolto la libertà informativa in internet e in qualche modo internet stessa...
Qualche elemento in più per ragionare su una questione decisiva come la libertà su internet, ormai numericamente mezzo di comunicazione di massa, nonché il più moderno tra essi.
1) C’è effettivamente una questione seria, che riguarda la tradizionale contrapposizione scolastica tra libertà e licenza. Se tu violi un codice penale e mi diffami, oppure diffondi video offensivi e relativi a reati, non puoi accampare una libertà senza senso di responsabilità di fronte alla legge. Legge che però c’è già (cfr. il “processo Google” e la condanna dei dirigenti americani per il video sulle violenze a un ragazzo disabile mandato in Rete).
2) Il governo e in generale la classe politica nel suo complesso hanno tutto l’interesse a non sviluppare la libertà di informazione, e lo hanno dimostrato clamorosamente da sempre. Peccato che essa sia un fondamento ineliminabile della democrazia, di qualunque livello sia tale democrazia. Quindi “chiudono”, ”serrano”, e il sacrosanto principio della responsabilità viene usato come pretesto/strumento per ridurre quantità e qualità dell’informazione, sui giornali come sul web.
3) L’unico settore in cui cresce la pubblicità, cespite per tirare avanti o far denaro, è proprio internet: ma siccome la torta pubblicitaria complessiva è più o meno quella, per crescere in Rete deve decrescere da qualche altra parte. Dove, se giornali e radio faticano ad averne abbastanza per sopravvivere? Ovviamente dal reame della tv. E chi è che governa la tv privata direttamente e la tv pubblica (semi)direttamente così da rischiare introiti minori dall’avanzamento di internet? Indovinate un po’, anche senza sforzarvi...
4) Gli ultimi due punti spiegano a sufficienza la resistenza dell’esecutivo a far passare il finanziamento della cosiddetta “banda larga”, che facilita e velocizza la comunicazione in Rete e per converso la tentazione dei Comma 29. In una parola, c’è un’evidente mala fede nel trattare un tema così delicato, che ripeto meriterebbe approfondimenti seri e responsabili per ridurre il più possibile i rischi e i guai della Rete e valorizzarne possibilità e contenuti grandemente positivi. Ma come possiamo fidarci di questa gente, che vorrebbe mettere la museruola a chiunque e a qualunque cosa/mezzo/sistema pur di salvare il proprio potere e lasciare i glutei sulle poltrone occupate.
Qui si innesta il racconto di un caso clamoroso, estremo: quello che riguarda il collega Carlo Vulpio. Pensate, mentre il sito Wikileaks diffonde sul pianeta i documenti sulla “sporca guerra in Afghanistan” che miete vittime civili e militari, italiani compresi, documenti che dimostrano come gli Usa cercassero di fottere Emergency, qui da noi un blog è stato chiuso (meglio, si è tentato di chiuderlo) manu militari. E’ appunto il caso Vulpio. Risale a un anno fa ma è imperituro per ciò che rappresenta.
E’ stata sufficiente una querela per diffamazione per un articolo comparso sul suo blog (Vulpio vive in Puglia ed è inviato speciale brillante e “ristretto” del Corriere della Sera) perché il procuratore aggiunto di Bari, Pasquale Drago, e il gip di Bari, Vito Fanizzi, decidessero che l’intero blog fosse sottoposto a sequestro preventivo. Una cosa che accade rarissimamente, e mai quando si discute di diffamazione. Potevano, pm e gip, in attesa di un processo e di una sentenza che accertassero se effettivamente c’era stata diffamazione, limitarsi a chiedere la rimozione dell’articolo “incriminato”. No.
Andando oltre anche il famigerato Comma 29 ancora non in vigore (e speriamo che non accada mai), hanno fatto spegnere tutto. Spiega con chiarezza Vulpio che è stato “come se per un articolo di giornale giudicato diffamatorio venisse chiuso il giornale (attenzione: “giudicato” tale con una sentenza definitiva, perché fino a quel momento la stampa è insequestrabile; non basta che sia semplicemente considerato diffamatorio da un pm e da un gip). Oppure, con lo stesso metro, è come se una volta giudicato diffamatorio un libro, si decidesse di chiudere la casa editrice”. “Malgrado il fatto”, continua il Vulpio spento, ”che in Italia contrariamente alla Cina o all’Iran abbiamo gli articoli 2 e 21 della Costituzione”.
Certo impressiona ancora di più il nome del firmatario di questa querela che fatto scattare l’azione della giustizia ad effetto/napalm: trattasi di Giuseppe Cascini, segretario dell’Anm, l’Associazione nazionale magistrati. Con un record di velocità alla faccia della “giustizia lenta”: il pm ha chiesto l’oscuramento del blog il 17 giugno 2009 e sei giorni dopo (avete letto bene, sei) il gip gliel’ha accordata. Strano caso di sintonia interno alla magistratura...
Questa vicenda purtroppo significativa (e collegata al discorso generale odierno sulla libertà e sulla libertà in Rete) però la potete leggere fortunatamente anche sul blog di Vulpio, che è riuscito a sfuggire allo spegnimento giudiziario. Come ha fatto? Lo spiega lo stesso Vulpio: ”E’ successo che la Polizia postale ha comunicato ai magistrati che l’ordine di serrata non poteva essere eseguito, in quanto la piattaforma di questo blog ha sede negli Stati Uniti (e beh, una piccola precauzione… Iran e Cina non ce ne vogliano)”. Di qui la sua conclusione : “E allora, permettetemi un consiglio: se non volete correre rischi, la piattaforma dei vostri blog piantatela oltre Oceano. Negli States, of course. Così, quando vi cerca qualche ayatollah, o qualche funzionario cinese, o la Polizia postale, potrete cavarverla con una semplice esclamazione. God bless America. Loro capiranno”.
Bella storia,vero ? E quanti tra voi frequentatori della Rete ne avevano sentito parlare o letto sui giornali o visto in tv o ascoltato alla radio ? E pensare che il bavaglio è slittato a dopo l’estate...