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Siamo le parole che usiamo: la rivoluzione comincia da qui

12 Luglio 2010 2 min lettura

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Siamo le parole che usiamo: la rivoluzione comincia da qui

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2 min lettura

di Giovanna Zucconi

"Dicono: la politica ormai è comunicazione. Appunto! È attraverso la comunicazione che vogliamo fare politica. Cambiamo il linguaggio, creiamone uno più limpido e più creativo, maneggiamo con cautela quella cosa fragile e preziosa che sono le parole. Ce le sciupano, ce le scippano ogni giorno. “Roma ladrona”. “Nano di merda”.

Le parole definiscono chi le usa. Noi siamo le parole che usiamo. Siamo anche, purtroppo, le parole che ascoltiamo: gli insulti, le bugie, le inesattezze, le manipolazioni, e quella presunta schiettezza popolana che è, forse, il più adulterato dei linguaggi.

“La gente”: quante mostruosità vengono compiute, in nome della gente?

La televisione è accesa. “Donna uccisa dal marito. Delitto passionale”. In che senso? La passione non c'entra niente, delitto possessivo, semmai, delitto proprietario. Un aggettivo sfocato può provocare una catastrofe del significato. Se il delitto è passionale, è anche caldo e generoso, giustificabile quasi. Attenzione. Le parole sono creature delicate.

Ogni giorno, tutto il giorno, intorno a noi vengono violentate. Per sciatteria, per malafede, o per veri e propri crimini. Non linguistici: politici. Chi maltratta quello spazio condiviso che è il linguaggio, maltratta la comunità, la cosa pubblica. Anche usarle con cura è politica. Quella vera, quella che possiamo e dobbiamo fare tutti.

Ribaltiamogliele contro. Il vero snobismo non è quello attribuito ai colti: è quello di chi riversa sulla cosiddetta “gente” parole vuote, spazzatura televisiva, falsità. Quanto disprezzo per il popolo deve esserci, in chi crea la propria fortuna togliendo al popolo la cultura, la lingua, le parole.

Nulla è più rivoluzionario, oggi, che rispettare le parole. “Grazie, prego”. C'è più energia, più originalità, più efficacia, nello smontare con altri toni, gentili, la coazione aspra che oggi domina. E annoia. E opprime. Riprendiamocele, le parole, maneggiamole con cautela, brandiamole con il rispetto che meritano. Che meritiamo".

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Questo è il Manifesto di Valigia Blu. Non ospiteremo, perciò, negli spazi di discussione un linguaggio che non rispetterà l’unica regola che ci siamo dati: rispetto e buona educazione. Le parole sono importanti, è a partire dalla scelta delle parole che si decide il nostro stare insieme. Post o commenti violenti, scurrili, aggressivi non li condividiamo: non permetteremo a chi decide di non rispettare la nostra richiesta di fare di questa pagina un inutile e dannoso sfogatoio. Grazie.

Aggiornamento 25 luglio 2018 > Qui una nuova policy su una determinata tipologia di commenti

Ieri durante una discussione a proposito della notizia della studentessa svedese che ha bloccato l'aereo per non...

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Pubblicato da Valigia Blu su Mercoledì 25 luglio 2018

 

 

 

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273 Comments
  1. Viola La Gioia

    grazieeeeeeeee ^_^

  2. lino notarangelo

    condivido perfettamente

  3. adele falabella

    la volgarità non rafforza le nostre idee e ne fa perdere il valore.grazie

  4. isabella deiana

    Sono perfettamente d'accordo e lo penso sa moltissimo tempo grazie!

  5. Pietro Rizzotti

    Ridatemi la possibilità di votare le Donne (quelle che ritengo Brave e all'altezza di governare) la vera svolta per questa democrazia rattrappita FUORI I MERCANTI DAL TEMPIO!!!!!!!!!!!

  6. M. Letizia Sileoni

    anch'io condivido pienamente, grazie!

  7. michela

    finalmente!!! condivido al 100%

  8. Simona Cuneo

    idem : lo stavo proprio notando per quella piccolezza che consiste nel "condividere" un link su FB ad esempio... Cosa si scrive in italiano : "lo rubo" ! oppure "lo copio"... brutte abitudini di dire e di fare !

  9. arianna

    condivido moltissimo :D

  10. gert

    Sfiduciamo, per cominciare, tutti i "quantaltristi" e quelli del "piuttosto che" in luogo di "oppure": pecoroni modaioli, fasulli e divulgatori d'ignoranza e volgarità.

  11. Gianfranco

    Aggiungerei anche la frase: «I giudici contro di me hanno un teorema» ripetuta poi da politici e giornalisti senza conoscerne, evidentemente, il significato. “Teorema” significa verità dimostra. Per fare un esempio, non è che il teorema di Pitagora forse è vero: è vero ed è dimostrato, proprio per questo si dice teorema. Quando una cosa è da dimostrare si dice “assioma” o, più semplicemente, teoria. Quando un politico (uno a caso :-) sostiene che i giudici contro di lui hanno un teorema, in pratica è come se confessasse; eppure il termine “teorema” è diventato sinonimo di un’ipotesi campata per aria, grazie alla compiacenza e all’ignoranza di chi gli sta intorno.

  12. giorgio

    c'è ancora speranza!

  13. gert

    (da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/01/nostra-lingua-berlusconiana/79700/ Nostra lingua berlusconiana Non importa se amici o nemici del presidente del Consiglio, se suoi sostenitori ammaliati e proni o suoi avversari esasperati e furibondi, tutti ormai, chi più chi meno, parliamo in berlusconese. Cos’è infatti il nostro Paese nei discorsi di tanti politici e pubblici amministratori se non “l’azienda Italia”, formula ripetuta con affezionato compiacimento come emblema di modernità e di efficientismo? E come devono agire per il bene comune gli italiani non disfattisti e non bamboccioni e non comunisti? “Facendo sistema” o “ facendo squadra”, o valorizzando “sinergie” o seguendo le indicazioni di una “governance”. La rigenerazione promessa, che non si occupa certo di progresso civile ma si esaurisce evocando una rincorsa al benessere materiale e ai consumi, si esprime con un lessico impregnato di aziendalismo e produttivismo, un vocabolario che si è insinuato nel linguaggio comune cambiando il nome delle cose e dunque anche le cose. Ce lo ricorda Gustavo Zagrebelsky in un piccolo e prezioso libro pubblicato da Einaudi: “Sulla lingua del tempo presente”. Dando un’occhiata alle terminologie della scuola: non si parla più, per esempio, di piani di studio ma di “piani carriera”. Per quanto riguarda la cultura in genere non si occupa più del “sapere”, nel suo significato più ampio e formativo, ma del “ saper fare” che produce “risorse umane” da poter utilizzare fino al limite degli “esuberi”. In quest’ottica il governo di Berlusconi si è autoproclamato “il governo del fare”, il cui merito massimo sarebbe quello di aver posto fine al “teatrino della politica”. L’azione prima di tutto. “Fatto” diceva un indimenticato spot costituito dal rumore di un timbro su un foglio di carta. Per “fare” però occorre “lavorare”, non pensare o discutere. In altre parole il buon governo è quello che lavora. Non importa a cosa. Perciò bisogna “lasciarlo lavorare” guai a chi “rema contro”, trattasi di un potenziale sabotatore, di uno che non ama l’Italia. In questo lessico viene completamente lasciato in ombra, rimosso, l’altro aspetto della politica, quello della riflessione, dell’ascolto, del confronto. Le parole, sottolinea Zagrebelsky, sono importanti non solo per quello che dicono ma anche per quello che non dicono. Fare, ma che cosa? Lavorare, ma a che cosa? Infatti ci sarebbero tante cose da non fare, rispetto alle quali dunque sarebbe molto meglio non lavorare o lavorare contro. Ma la retorica aziendalista esalta il momento esecutivo e ignora, anzi nasconde, il momento deliberativo. Conta l’efficienza per l’efficienza, il fare per il fare. L’attivismo è la virtù massima, voilà il numero delle leggi e delle riforme approvate. E’ sempre la quantità ad essere messa in evidenza. La politica dovrebbe scegliere i fini ma attraverso la forza del linguaggio il mezzo (lavorare, decidere) si trasforma nel fine. In Italia non esiste un ministero della propaganda, e meno male, ma alcune parole, amplificate per anni dai mezzi di comunicazione, fanno ormai parte del senso comune, vengono accettate passivamente senza essere più indagate creando una rete di significati che modificano le nostre esperienze. In quanti si interrogano sull’espressione iperberlusconiana dello “scendere in politica”? In passato nessuno “scendeva”, Berlusconi sì, ed è sottinteso che da una vita superiore lui è passato a una inferiore per rispondere a un dovere, sacrificandosi così per il bene comune. E quanti di noi non hanno accettato che si possa parlare di una prima e di una seconda Repubblica? Zagrebelsky ribadisce l’insensatezza di questa distinzione. La Repubblica è sempre la stessa, perlomeno finchè dispone di una Costituzione immutata. Certo, agli inizi degli anni Novanta gli scandali hanno sbriciolato i partiti ma non i pilastri della nazione. In realtà con la cesura tra le due Repubbliche si enfatizza il ruolo di Berlusconi, come se nella nostra storia esistesse un prima e un dopo il suo avvento. E così, attraverso un linguaggio degradato, il conformismo penetra nel comune modo di pensare, e dunque nella vita di tutti.

  14. gert

    Da: http://www.riaprireilfuoco.org/blog/?p=178 Comment from Luigi Vernassa Time: 6 Marzo, 2008, 12:09 pm Tra il dire e il fare… È sconcertante e, almeno per me, molto triste vedere che nemmeno il responsabile del «blog di chi non vuol stare nel coro» si salva dal malcostume generale e, oltre ai refusi sparsi, scrive «o quant’altro», accettando e facendo propria una “moda” espressiva che non gli appartiene, di cui non avrebbe alcun bisogno, e che probabilmente lo stesso Luciano Bianciardi avrebbe rifiutato e criticato. Ripeto perciò, ormai disperatamente, quanto scrissi tempo fa all’amica Ines Arciuolo (http://www.stampalternativa.it/wordpress/?p=335): L’attenzione, la precisione, l’accuratezza, sono a mio parere d’importanza primaria, specialmente in questa società ultraspettacolista (vedi Debord) che fa di tutto per renderci superficiali, approssimativi, frettolosi, volgari, ignoranti e distratti; e purtroppo ci riesce benissimo, proprio per la passività con cui molti, troppi, si adeguano allo “spirito del tempo” e indossano come una divisa di presunta modernità ogni becerume promosso dai media. Ne sono esempio, per rimanere in tema linguistico, le quantità crescenti e incontrastate di pecoroni che per opportunismo gregario, conformismo modaiolo, o intelligenza critica vacante, infarciscono i loro discorsi di idiozie come «e quant’altro» in luogo di «eccetera», o l’osceno «piuttosto che» come variante “trendy” di «o/oppure/come anche … »: espressioni di un “italiano da bere” come il vecchio «attimino» della Milano social-ramazzottista degli anni 80 (guardacaso!), e tristi conferme di ciò che Luciano Bianciardi presagiva già nel 1962 scrivendo all’amico grossetano Mario Terrosi: «Qui continua il miracolo, dicono; tutti si comprano l’automobile, qualcuno anche il panfilo, e di tutto il resto se ne fregano. Ma non sono contenti: sono sempre incazzati. Insomma è brutta gente. Il peggio è che nel resto del paese, potendo, fanno il verso a questi di quassù. Se continua il miracolo, fra vent’anni tutta l’Italia si ridurrà come Milano». Anche nel modo di parlare e di scrivere? Ricordo una frase fra le tante memorabili di Lorenzo Milani: «Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua». Ne è rimasto qualcuno? [Lv]

  15. gigi

    Chi l'ha detto che la passionalità sia generosa e postiva? Tutti i sentimenti non controllati e canalizzati sono perversi, così la passionalità può portare al delitto. Chi dà troppa importanza alle parole mi sembra come l'idiota che guarda il dito che indica la luna invece di guardare la luna. Rilassiamoci, il non vedente è pur sempre cieco, la colf resta donna di servizio, il netturbino è lo spazzino, il nero è negro, e il diversamente abile è l'handicappato. Siamo noi che attribuiamo un senso negativo alle parole, non facciamoci troppe menate.

  16. cristiana

    Be' appunto perche' B. afferma che i giudici contro di lui hanno un "teorema": reo confesso, prendiamolo sul serio, no? ;-)

  17. Enrico Occelli

    Aggiungerei soltanto alcune frasi pronunciate dopo le ultime elezioni amministrative: "I Milanesi dovranno pregare il buon Dio", "i Napoletani si pentiranno"... La fine di un impero si misura anche con l'uso sempre più distorto (e quasi blasfemo) del linguaggio. Pregare, pentirsi, fanno capo ad una sfera profonda e personale, che non può riguardare intere città o parti politiche. Una nuova fase dovrà passare - anche - dal recupero delle parole nel loro vero e autentico significato.

  18. gert

    Per esempio, cominciando dal significato di "onorevole", attualmente usato anche per i più ignobili esponenti del potere mafioso.

  19. lucia

    che orrore, mi sembra una sorta di dittatura sull'uso delle parole,,, libertà di espressione e parola prima di tutto, alla base di qualunque diritto umano civile

  20. angela

    grazie! se saremo uniti non ce la faranno.

  21. gennaro

    il sistema "feudale", sembrava una cosa remota, invece, il sistema è lo stesso. Vi prego di analizzarlo e darmi conferma. Grazie.

  22. Valeria Bellinaso

    Finalmente un atto semplice e fondamentale. La PAROLA è la nostra forza, usiamola con tutta la nostra gentilezza.

  23. francesco ferrari

    "LE PAROLE SONO IMPORTANTI". DI PIETRO: "ASSASSINO", GASPARRI: "POTENZIALI ASSASSINI". http://www.iltribuno.com/rubriche/rassegnaStampa.php?id=605

  24. satanasso

    Complimenti per le seghe mentali... ooops, dovrei forse dire onanismo cerebrale? Continuate così. 10. 100, 1000 Mosignor Della Casa. ~·~

  25. lino

    Il linguaggio deve essere corretto, ma non fuorviante. Mi spiegate perchè le donne sfruttate sui marciapiedi giornalisti e stampa le chiamano prostitute o altro, mentre per "lor signori" vengono chiamate "escort"?

  26. Fabrizio

    Sul Golgota dell'umana empietà c'è un vecchio semore più solo (se non paga ) o corrompe

  27. Nerina Fabris

    Da anni aspettavo un manifesto come il vostro. Ho avuto il vostro link da mia nipote Chiara. Ho 82 anni e ho fatto la scuola media inferiore. Detesto la maleducazione verbale

  28. marcello

    Prima di Leggere tenete conto che:i il Ministro Brunetta ha bloccato due volte (per quattro anni i normali incrementi degli stipendi dei dipendenti statali); che si sono fatti un sacco di tagli penalizzando tutti i servizi incluso la sanità che adesso a noi costa di più; che un ministro accusato di mafia non ha la decenza di dimettersi e difendersi in tribunale; e che si sono spesi un sacco di soldi -per mazzette ed altro ... con €800,000 quante famiglie veramente molto bisognose possono essere aiutate ... forse - parole mie i referendum non bastano più. LEGGI TUTTO VALE LA PENA MEDITARCI SOPRA!!! ....e i politici dovrebbero solo vergognarsi !!!!! Per la prima volta viene tolto il segreto su quanto costa ai contribuenti l'assistenza sanitaria integrativa dei deputati. Si tratta di costi per cure che non vengono erogate dal sistema sanitario nazionale (le cui prestazioni sono gratis o al più pari al ticket), ma da una assistenza privata finanziata da Montecitorio. A rendere pubblici questi dati sono stati i radicali che da tempo svolgono una campagna di trasparenza denominata Parlamento WikiLeaks. Va detto ancora che la Camera assicura un rimborso sanitario privato non solo ai 630 onorevoli. Ma anche a 1109 loro familiari compresi (per volontà dell'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini) i conviventi more uxorio. Ebbene, nel 2010, deputati e parenti vari hanno speso complessivamente 10 milioni e 117mila euro. Tre milioni e 92mila euro per spese odontoiatriche. Oltre tre milioni per ricoveri e interventi (eseguiti dunque non in ospedali o strutture convenzionati dove non si paga, ma in cliniche private). Quasi un milione di euro (976mila euro, per la precisione), per fisioterapia. Per visite varie, 698mila euro. Quattrocentottantotto mila euro per occhiali e 257mila per far fronte, con la psicoterapia, ai problemi psicologici e psichiatrici di deputati e dei loro familari. Per curare i problemi delle vene varicose (voce "sclerosante"), 28mila e 138 euro. Visite omeopatiche 3mila e 636 euro. I deputati si sono anche fatti curare in strutture del servizio sanitario nazionale, e dunque hanno chiesto il rimborso all'assistenza integrativa del Parlamento per 153mila euro di ticket. Ma non tutti i numeri sull'assistenza sanitaria privata dei deputati, tuttavia, sono stati desegretati. "Abbiamo chiesto - dicela Bernardini - quanti e quali importi sono stati spesi nell'ultimo triennio per alcune prestazioni previste dal 'fondo di solidarietà sanitarià come ad esempio balneoterapia, shiatsuterapia, massaggio sportivo ed elettroscultura (ginnastica passiva). Volevamo sapere anche l'importo degli interventi per chirurgia plastica, ma questi conti i Questori della Camera non ce li hanno voluti dare". Perché queste informazioni restano riservate, non accessibili? Cosa c'è da nascondere? Ecco il motivo di quel segreto secondo i Questori della Camera: "Il sistema informatizzato di gestione contabile dei dati adottato dalla Camera non consente di estrarre le informazioni richieste. Tenuto conto del principio generale dell'accesso agli atti in base al quale la domanda non può comportare la necessità di un'attività di elaborazione dei dati da parte del soggetto destinatario della richiesta, non è possibile fornire le informazioni secondo le modalità richieste". Il partito di Pannella, a questo proposito, è contrario. "Non ritengo - spiega la deputata Rita Bernardini - che la Camera debba provvedere a dare una assicurazione integrativa. Ogni deputato potrebbe benissimo farsela per conto proprio avendo gia l'assistenza che hanno tutti i cittadini italiani. Se gli onorevoli vogliono qualcosa di più dei cittadini italiani, cioè un privilegio, possono pagarselo, visto che già dispongono di un rimborso di 25 mila euro mensili, a farsi un'assicurazione privata. Non si capisce perché questa 'mutua integrativà la debba pagarela Camera facendola gestire direttamente dai Questori". "Secondo noi - aggiunge - basterebbe semplicemente non prevederla e quindi far risparmiare alla collettività dieci milioni di euro all'anno". Mentre a noi tagliano sull'assistenza sanitaria e sociale è deprimente scoprire che alla casta rimborsano anche massaggi e chirurgie plastiche private - è il commento del presidente dell'ADICO, Carlo Garofolini - e sempre nel massimo silenzio di tutti. ...E NON FINISCE QUI... “FANNO FINTA DI LITIGARE MA PER LORO E’ SEMPRE FESTA” Sull'Espresso di qualche settimana fa c'era un articoletto che spiega che recentemente il Parlamento ha votato all'UNANIMITA' e senza astenuti un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa € 1.135,00 al mese. Inoltre la mozione e stata camuffata in modo tale da non risultare nei verbali ufficiali. STIPENDIO Euro 19.150,00 AL MESE STIPENDIO BASE circa Euro 9.980,00 al mese PORTABORSE circa Euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o familiare) RIMBORSO SPESE AFFITTO circa Euro 2.900,00 al mese INDENNITA' DI CARICA (da Euro 335,00 circa a Euro 6.455,00) TUTTI ESENTASSE -- + TELEFONO CELLULARE gratis TESSERA DEL CINEMA gratis TESSERA TEATRO gratis TESSERA AUTOBUS - METROPOLITANA gratis FRANCOBOLLI gratis VIAGGI AEREO NAZIONALI gratis CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE gratis PISCINE E PALESTRE gratis FS gratis AEREO DI STATO gratis AMBASCIATE gratis CLINICHE gratis ASSICURAZIONE INFORTUNI gratis ASSICURAZIONE MORTE gratis AUTO BLU CON AUTISTA gratis RISTORANTE gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per Euro 1.472.000,00). Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi (41 anni per il pubblico impiego !!! ) Circa Euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera. (Es: la sig.ra Pivetti ha a disposizione e gratis un ufficio, una segretaria, l'auto blu ed una scorta sempre al suo servizio) La classe politica ha causato al paese un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di EURO. La sola camera dei deputati costa al cittadino Euro 2.215,00 al MINUTO !! Far circolare. Si sta promuovendo un referendum per l' abolizione dei privilegi di tutti i parlamentari............ queste informazioni possono essere lette solo attraverso Internet in quanto quasi tutti i massmedia rifiutano di portarle a conoscenza degli italiani...... PF

  29. Angelo Mazzei Di Poggio

    MANIFESTO DELLA LIBERTA' DI PAROLA C'era una volta un pianeta grande grande, grandissimo, ma non era il più grande di tutti. Su questo pianeta vivevano degli animali forti forti, fortissimi, ma non erano i più forti di tutti. Uno di loro era davvero molto potente, forse il più potente di tutti. Viveva in un posto senza nome, perché non c'era mai stato bisogno di nominarlo, né di mettere dei cartelli stradali che ne indicassero la direzione, in quanto tutti sapevano come fosse e dove fosse. C'era una volta un monte alto alto, altissimo, ma non era il più alto di tutti. Su questo monte s'ergeva un castello gigantesco con tantissime stanze, forse il castello più grande. Il proprietario non era un re, ma era uno dei più potenti tra gli animali tra i più forti. Il monte era senza nome, non c'era una parola per definirlo. Il castello anche. Il padrone pure. Ma per comodità chiameremo qui dentro questa storia il proprietario del castello sul monte con il nome di Signore delle Parole. E così il castello del Signore delle Parole. Il monte del castello del signore delle parole. Il Signore delle Parole era il padrone di tutte le parole. Viveva nei profondissimi sotterranei della sua dimora. Si narra che l'ultimo piano dei suoi sotterranei fosse più vicino al centro del pianeta che alla torre maestra del castello. Lì passava il tempo a controllare il pianeta attraverso dei sistemi spia che rivelavano l'esistenza di nuove parole. Era il padrone di tutte le parole. Lui le possedeva tutte e le catalogava dentro immensi libri che chiamava vocabolari. Ogni volta che un suo agente scopriva in qualche remota parte del pianeta la nascita di una nuova parola lui diventava ferocissimo. Faceva arrestare o uccidere l'inventore della parola e poi ne vietava l'uso. Quando la parola gli sfuggiva e non riusciva a proibirla allora la faceva sua e faceva stampare immediatamente miliardi di copie del suo nuovo vocabolario dove fosse riportata. Nessuna parola gli resisteva. Era il signore di tutte le parole, e di quelle non sue se ne appropriava, senza ricompensarne il creatore. Stava chiuso nei meandri dei suoi labirinti, sottoterra controllava il pianeta intero ed ogni parola scritta. Niente e nessuno potevano sfuggirgli. La sua legge era impietosa. Ma un giorno un pazzo si mise a scrivere. E scriveva e divulgava cose assurde. Parole come "gruapo", "senziale", "matorfo", cominciarono a trovarsi sui giornali, su internet, e addirittura nei libri. Il padrone delle parole andò su tutte le furie, perché i suoi scagnozzi non riuscivano a catturare il pazzo, e perché non sapeva definire quelle parole e appropriarsene nei propri vocabolari. Si dice che il pazzo scappasse da una parte all'altra del pianeta attraverso stretti cunicoli sotterranei. Si dice che nessuno lo avesse mai visto in faccia. Si dice anche che moltissimi gli davano rifugio, che lo avvertivano quando le guardie arrivavano, che gli davano cibo e bevande, un posto dove dormire... Ma soprattutto, si dice che ci fosse una vera e propria organizzazione segreta che lo forniva di computer, penne e fogli, e tantissimo caffé, perché doveva sempre stare sveglio e pronto a scappare, sempre lucido e pronto ad appuntare nuove parole. Erano i tempi del "caciuffo", la gente andava in giro con il "terano", nei ristoranti si mangiava "plusfo" e tutti cantavano "ceremissola". Insieme alle parole nuove nascevano cose nuove. Per un periodo sul pianeta soffiava uno strano vento, ci si sentiva leggeri. Ogni tanto qualcuno si chiedeva dove si trovasse il pazzo creatore, mentre altri sogghignavano facendo credere di saperlo. Ormai tutto era incontrollabile. Tutto andava per il meglio. La gente si divertiva a pronunciare parole nuove, ad affibbiargli oggetti o concetti da esse definiti. Ma un giorno il pazzo creatore inventò una parola nuova. Si, certo, ogni giorno ne inventava a decine, ma... Ma quel giorno creò una parola nuova diversa. Diversa da tutte quelle create prima. Una parola che da subito fu chiara, tremendamente chiara. Pericolosa, perché era così chiara che il padrone delle parole pensò subito di appropriarsene e inserirla nel suo vocabolario. E così la uccise. Fu la fine delle parole nuove. Da quel giorno in cui il pazzo ebbe dato vita alla più mirabiliante fantasticosa superpazzescale delle sue parole tutti capirono. Capirono che si era chiuso un ciclo. La fine di un'epoca. Nessuno sapeva cosa gli sarebbe aspettato domani. Ma ciascuno sapeva che non sarebbe stata più la stessa cosa. Il pazzo non era nemmeno più ricercato. Il padrone delle parole cominciò a vendere pezzi della sua proprietà. Un ricco scienziato comprò a basso costo tutto il vocabolario scientifico. Un industriale si comprò per poco quello tecnologico. Si dice, ma bisogna vedere se è vero, che un famoso comico di quei tempi per quattro soldi si accaparrò tutte le parolacce, che nessuno le voleva. Di quell'epoca non rimase più nulla. Solo questo libercolo che ho per le mani, ritrovato sul ramo di un antica quercia abbattuta - probabilmente per farci la carta. Un librettino stropicciato che ha perso decine di pagine. Racconta tutta questa storia nel dettaglio. Nella copertina resa gialla e marrone dal tempo si leggono a chiare lettere l'autore ed il titolo. Se leggeste il nome dell'autore vi mettereste a ridere a crepapelle: "Signore delle Parole" c'è scritto. E il titolo? Il titolo certo ci svela quale fu l'ultima parola inventata dal pazzo ;-) Sotto il nome dell'autore c'è scritto: Manifesto della Libertà di Parola (Poggio, 26ott2011)

  30. Santiago (anonimoconiglio)

    Ciao. Sono in sintonia con il pezzo e trovo anch'io che le parole siano importanti, anzi, che siano l'esternazione di quello che pensiamo e dunque quello che siamo. Anche perché di "mestiere" studio traduzione, quindi ci ho a che fare continuamente, e so bene cosa significhi discutere per ore e ore su una singola parola al posto di un'altra. Tuttavia avrei una nota sul termine passionale iniziata su uno scambio di battute su twitter con Arianna Ciccone (@_arianna) che mi segnalò questo post. Cito la parte interessata: . «La televisione è accesa. “Donna uccisa dal marito. Delitto passionale”. In che senso? La passione non c'entra niente, delitto possessivo, semmai, delitto proprietario. Un aggettivo sfocato può provocare una catastrofe del significato. Se il delitto è passionale, è anche caldo e generoso, giustificabile quasi. Attenzione. Le parole sono creature delicate.» . Sono la persona meno indicata per fare l'esegesi e per parlare di etimologia, ma la parola *passione*, come dicevo nel tweet Arianna definisce qualcosa fuori dal razionale. Definisce un limite vicino alla pazzia. Credo che bisogni tenere questa come chiave di lettura. . Prendiamo il soggetto, il "marito", e come tale maschio che un giorno si è sposato con la donna, moglie che un successivo giorno ha ammazzato. Lunghi da toccare i "moventi", si parla di delito passionale perché proprio appunto, in apparenza, non ci sono "ragioni", passione è sinonimo di impulsività. E non solo il carnefice non è "giustificabile" ma se mai è sul limite del "comprensibile". . Ora, tuttavia, bisogna considerare una fattore importante. Chi ha scritto questo post ha inteso la parola "passionale" come qualcosa di "caldo e generoso". E quindi, come qualcosa di *positivo*. Non è un problema di ignoranza quanto un cambiamento di linguistica pragmatica. Negli anni la cultura dell'apparenza e della pubblicità ci ha educato e fatto passare l'idea che la passione di un'uomo per una donna sia qualcosa di bello e positivo. . Etimologicamente e anche a livello di significato il termine "delito passionale" è azzeccato. Probabilmente, però, proviene da una espressione vecchia, o forse pure giuridica. Con questo voglio dire che, curiosamente, a cambiare il significato di passionale è stata la società, rendendolo un termine possitivo. Sotto questo punto di vista è anche leggittimo pretendere di non chiamare un massacro un delito passionale. Però con l'attenzione neccessaria. . Ci tenevo a sottolinearlo, visto proprio che il post parla di trattare con delicatezza le parole :)

  31. Rosario

    Questo articolo è molto profondo, ma rappresenta anche una scottante denuncia del degrado dei valori della nostra civiltà dove "tutto" è contaminato da "tutto". La falsificazione, la distorsione, la mancanza di rispetto sono regolarmente praticati, a cominciare dagli spot pubblicitari, all'informazione, alla propaganda politica, quello che emerge è che l'essere umano ha smesso di essere il centro del problema, o lo scopo, ma un banale "mezzo".

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