Zuckerberg, Bezos e gli altri: la svolta trumpiana del capitalismo americano
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La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane di novembre sembra aver aperto una nuova era all’interno non solo della politica ma anche dell’economia e della società americana.
La sua seconda amministrazione è trainata da una feroce restaurazione: un arretramento su tutti i fronti dalle idee politiche progressiste che avevano preso piede nella società statunitense e occidentale, come i diritti delle donne, quelli delle persone della comunità LGBTQI+, la crisi climatica e il ruolo dello Stato. Grazie alle campagne dell’ecosistema della destra radicale, questi sono stati fatti passare come appannaggio di un'élite progressista sempre più disconnessa dall’elettorato, incapace di fornire risposte a una classe medio-bassa attanagliata dall’insicurezza economica.
Questa restaurazione sta influenzando anche il capitalismo americano, con le aziende che si distanziano sempre di più da quell'orientamento che aveva contraddistinto invece gli ultimi anni. Non ci sono solo Elon Musk, Peter Thiel e il cerchio magico di Donald Trump, che ha un piede nell’economia e uno nell’amministrazione.
Anche altre aziende e imprenditori, che durante il primo mandato avevano visto con timidezza se non apprensione le mosse dell’amministrazione Trump, si stanno riorientando, come sottolinea un recente articolo del Financial Times.
Di cosa parliamo in questo articolo:
I cambiamenti di Meta
Un caso emblematico è rappresentato dalle decisioni e dichiarazioni di Mark Zuckerberg, CEO di Meta. In un video Zuckerberg ha annunciato l’intenzione di abbandonare il programma di fact checking affidato a terze parti, passando a un sistema decentralizzato sulla falsariga di quanto avviene su X (ex Twitter), oltre a un alleggerimento delle norme sulla moderazione. Quest’ultima decisione, ha dichiarato Zuckerberg, nasce dalla presa d’atto che quei “sistemi complessi” costruiti dalla piattaforma per gestire i contenuti hanno creato più problemi di quelli che avrebbero dovuto risolvere. Per rispondere quindi alla frustrazione degli utenti, ha sostenuto sempre il CEO di Meta, è necessario ribadire l’impegno per la libertà di parola.
Secondo gli esperti, i cambiamenti annunciati da Zuckerberg sull’hate spech permetteranno discorsi discriminitori nei confronti delle donne e delle persone appartenenti alla comunità LGBTQI+, oltre a lasciare spazio a termini abilisti. Oltre alle conseguenze sui social, c’è il timore che una maggior diffusione di contenuti di questo tipo possa poi riversarsi in casi di discriminazione e violenza nella vita reale, come evidenziano alcuni studi.
Tra gli altri cambiamenti a Meta c’è l’abbandono del programma di Diversità, Uguaglianza e Inclusione (DEI). Questo garantiva pratiche di inclusione sia sul piano delle assunzioni sia sul piano dei fornitori, come criteri per l’assunzione di donne, minoranze etniche e di persone LGBTQI+, campagne di formazione e sensibilizzazione interne all’azienda. Janelle Gale, vicepresidente della sezione risorse umane di Meta, ha dichiarato in una comunicazione che Meta si focalizzerà su pratiche che minimizzano i pregiudizi su ogni fronte, indipendentemente dal background delle persone.
Vi sono vari motivi dietro alla decisione di Meta, tra cui uno di natura strettamente legale. La Corte Suprema degli Stati Uniti, a maggioranza conservatrice, ha deliberato in merito alle politiche di Harvard, stabilendo che la “razza” non può essere considerata come criterio nel processo di ammissione. Questo ha portato i procuratori generali di 13 Stati a redigere una lettera in cui comunicavano che i programmi DEI avrebbero potuto collocare le imprese dal lato opposto della legge federale.
Anche il sentimento dell’opinione pubblica sta cambiando. Secondo un’indagine statistica del centro studi Pew Research Center, la quota di lavoratori che si dice favorevoli ai programmi è in calo, mentre coloro che si dicono contrari è aumentata di cinque punti percentuali rispetto al febbraio 2023.
Infine, le comparse pubbliche di Mark Zuckerberg lo avvicinano sempre di più all’ambiente trumpiano. Nei giorni scorsi, il CEO di Meta ha partecipato al podcast di Joe Rogan, conosciuto per essere diventato uno dei principali megafoni della destra radicale a cui hanno partecipato lo stesso Trump, il suo vice JD Vance, Elon Musk e l’imprenditore che ha contribuito all’ascesa politica di Vance, Peter Thiel. Durante il discorso Zuckerberg ha attaccato l’amministrazione Biden, accusandola di aver fatto pressioni per rimuovere contenuti durante la pandemia, e ha sostenuto che nel mondo del business c’è la necessità di una maggior “cultura della mascolinità”. Secondo il fondatore di Facebook una cultura che premia maggiormente l’aggressività ha i suoi vantaggi.
Tuttavia, la posizione di Zuckerberg sembra più dettata dal conformarsi alla narrazione trumpiana che dalla realta. Semmai, il settore tech soffre del problema opposto, cioè di una cultura eccessivamente maschile che preclude alle donne di accedervi. In un articolo su Domani, i due professori di Economia Marina della Giusta e Nicola Lacetera hanno evidenziato, studi scientifici alla mano, come gli stereotipi di genere nel campo dell’informatica e in generale nelle discipline e professioni STEM abbiano un risvolto negativo sulla donne.
Più in generale, la svolta di Zuckerberg mostra i limiti di quel capitalismo che, almeno formalmente, sembrava aver integrato le istanze dei movimenti per i diritti civili. Nel corso degli ultimi anni, infatti, piattaforme come Instagram e Facebook avevano mostrato segnali di supporto per cause vicine ai diritti civili, senza tuttavia scendere effettivamente in campo. Queste prese di posizione non nascevano però da una visione del mondo propria dell'azienda, quanto da costi reputazionali che si trovava ad affrontare. In un contesto favorevole a questo tipo di politiche, i consumatori si sarebbero indirizzati verso piattaforme e aziende in grado di mostrare supporto alle cause che hanno a cuore: quello che i ricercatori chiamano Rainbow/Pink Capitalism. Ma, non appena il supporto per queste cause diminuisce e allo stesso tempo intervengono esigenze di tipo politico, cambia anche la policy aziendale per adattarsi al mutato contesto e non perdere né profitti né posizioni di potere.
D’altronde l’amministrazione Trump ha un estremo bisogno di nemici. Piattaforme come Instagram e Facebook, che venivano percepite come troppo liberal e propense alla censura, sarebbero state le prime a essere attaccate dai sostenitori del movimento MAGA. Il Rainbow Capitalism è, come buona parte delle decisioni aziendali, una questione di soldi e potere, non tanto di etica.
La politica del capitalismo MAGA
Lo spostamento a destra delle grandi imprese coincide, tra le altre cose, con i timidi sussulti socialdemocratici dell’amministrazione Biden. Pur provenendo dall’ala centrista del partito, durante la sua presidenza Joe Biden ha dato un maggior peso a posizioni più di sinistra in campo economico, spesso più nelle parole che nei fatti. Ma questo slittamento dell’amministrazione Biden, assieme alle mutate condizioni economiche post pandemia, hanno portato anche un riposizionamento di molti imprenditori che, in precedenza, erano stati più scettici nei confronti del movimento di Trump. Sotto questo aspetto, l’evoluzione di Jeff Bezos risulta eloquente.
Se Trump ha attaccato più volte Amazon e Bezos in passato, per anni, invece, Bezos ha sempre mantenuto una certa distanza dalla politica in senso stretto, mentre Amazon è stata spesso sotto accusa per le pratiche antisindacali.
La situazione è cambiata radicalmente dopo la pandemia. Durante l’ondata inflazionistica, il presidente Biden aveva incolpato le grandi aziende di contribuire all’aumento dei prezzi per via della loro avidità. Per questo motivo, sosteneva Biden, era venuto il momento di far pagare alle grandi aziende la loro quota, andando quindi ad aumentare l’imposta sui profitti delle società.
You want to bring down inflation?
— Joe Biden (@JoeBiden) May 13, 2022
Let’s make sure the wealthiest corporations pay their fair share.
Questo aveva portato a un’inedita discesa in campo di Jeff Bezos. Su Twitter, Bezos aveva risposto accusando il Presidente degli Stati Uniti di spargere informazioni false. Se aumentare le imposte sui più ricchi può essere un tema su cui discutere, aveva sostenuto Bezos, è invece ingannevole collegare l’inflazione con l’aumento dei profitti. Dopo la replica della Casa Bianca, Bezos aveva rincarato la dose sempre attraverso il suo profilo Twitter, accusando direttamente i sindacati e le politiche fiscali dell’amministrazione Biden.
La disaffezione nei confronti dei democratici di Jeff Bezos è tornata a colpire a ridosso delle elezioni americane. Secondo le indiscrezioni, infatti, l’editore del The Washington Post avrebbe fatto ritirare l’endorsment, preparato dalla redazione, per la candidata dei democratici Kamala Harris.
Nel mentre, Bezos è stato ospite di Donald Trump a Mar-a-Lago. Il fondatore di Amazon si è detto ottimista nei confronti della seconda amministrazione di Trump, in particolare sul fronte economico. Secondo il The New York Times, Bezos avrebbe concordato con il presidente eletto sulla necessità di intervenire per ridurre la regolamentazione che frena gli spiriti imprenditoriali del paese.
Questo va visto in un contesto più ampio. Durante la sua presidenza, Biden, appunto, aveva nominato Lina Kahn alla Federal Trade Commission (FTC). Kahn è nota per le sue idee in materia di concorrenza e soprattutto per come queste si applicano al caso delle Big Tech. Durante gli studi, infatti, scrisse un articolo influente sul paradosso regolatorio che rappresentava Amazon. Quando venne nominata, proprio il colosso di Bezos cercò di farla decadere, sostenendo che i suoi preconcetti nei confronti delle Big Tech non si conciliavano con l’imparzialità dell’incarico. Proprio per via della linea dura di Kahn sulle big tech, Trump ha deciso di sostituirla con Andrew Ferguson, membro repubblicano della FTC che ha affermato che si scaglierà sì contro le big tech, ma con quelle che impediscono la libertà di parola. Si tratta di un cambiamento di prospettiva rispetto a quando, durante la prima amministrazione Trump, la FTC aveva preso di mira proprio Amazon e altri colossi del web, accusati di essere troppo liberal.
Gli Oligarchi del Secondo Ordine
Durante la campagna elettorale, Donald Trump aveva già avuto dei sostenitori importanti del mondo economico, come Elon Musk e Peter Thiel, un fenomeno che va a sbiadire le linee di demarcazione tra potere politico ed economico. In particolare Elon Musk fa sia da giocatore sia da arbitro, avendo avuto l’incarico all’interno della commissione DOGE per l’efficientamento del governo. Ma appena qualche mese dopo la vittoria elettorale il capitalismo MAGA appare in espansione. La discussione dei due esempi paradigmatici di Zuckerberg e Bezos ci porta a intravedere tre fenomeni che hanno contribuito o stanno contribuendo a questa dinamica.
In primo luogo il cambiamento delle preferenze all’interno del mercato. La vittoria di Trump viene vista come una vittoria del pragmatismo su questioni d’elite, catalogate come eccessi dell’ideologia “woke”. I costi, economici e sociali, di un posizionamento progressista sui diritti civili sono considerati troppo elevati.
Il secondo aspetto riguarda i cambiamenti nello scenario politico americano. In questi anni i democratici si sono spostati a sinistra rispetto agli anni di Clinton e Obama, grazie anche alle battaglie di personaggi della sinistra del partito come Bernie Sanders e Alexandria Ocasio Cortez. Poiché gli interessi dei Democratici e quelli delle Grandi Compagnie diventano divergenti, questi ultimi non vedono più nel Partito Democratico il candidato naturale. La vittoria di Trump, e quindi la legittimazione popolare, ha permesso uno sdoganamento della destra MAGA che ora diventa il partner principale con cui collaborare, condividendo gli stessi interessi. D’altronde, al di là della retorica populista a sostegno dei lavoratori, l’agenda di Trump in materia di politica economica è fortemente pro business e per tagli delle tasse su aziende e individui più abbienti.
Il terzo, banalmente, è per appagare un presidente che non si è mai fatto scrupoli ad attaccare individui o aziende. Il populismo infatti è concepito come frattura tra il popolo e l’elite, contro cui scagliarsi per mantenere il consenso. Senza un allineamento delle imprese alla linea del presidente, Trump utilizerebbe ogni strumento in sua facoltà per danneggiare gli avversari, sia con accuse più o meno fondate sia con gli strumenti che il presidente detiene. Quello che si va delineando quindi è, oltre al cerchio ristretto di Trump, una serie di oligarchi del secondo ordine che mantengono le loro rendite grazie alla compiacenza con il potere presidenziale.
(Immagine anteprima via FTM)