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Il maestro yemenita che ha trasformato la sua casa in una scuola per 700 studenti

8 Novembre 2018 8 min lettura

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Il maestro yemenita che ha trasformato la sua casa in una scuola per 700 studenti

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Nello Yemen in guerra da più di tre anni è impossibile garantire l'istruzione a bambine e bambini e a ragazze e ragazzi in età scolare per una serie di motivi che vanno dalle cattive condizioni di salute dovute alla carestia alla inaccessibilità delle strutture scolastiche, dall'arruolamento dei minori all'interno del conflitto alla necessità delle famiglie di mandare i figli a lavorare per potersi procurare il cibo.

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Secondo i dati raccolti dall'Unicef, infatti, sono almeno 2 milioni gli studenti ad aver abbandonato l'istruzione (mezzo milione dall'inizio della guerra) mentre altri 4 milioni tra bambine e bambini della scuola primaria rischiano di perdere l'anno in corso a causa del mancato pagamento da più di due anni degli stipendi degli insegnanti.

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Inserita in questo contesto, l'iniziativa di un docente per favorire l'accesso all'istruzione acquista, se possibile, ancora più valore e importanza.

A Taiz, la terza città più importante dello Yemen, nel cuore della guerra, dove le due parti del conflitto - gli Houthi da un lato e il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen dall'altro - hanno schierato forze in vari distretti, Adel al-Shorbagy, maestro e papà, ha trasformato la propria casa in una scuola. L'idea è scaturita dalla difficoltà dei bambini nel raggiungere incolumi le scuole - che spesso rimanevano chiuse - a causa di mine e bombardamenti aerei.

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«Tutte le scuole erano chiuse e i nostri figli rimanevano in strada», ha raccontato Shorbagy alla Reuters. «Abbiamo così aperto le porte di questo edificio con un'iniziativa comunitaria. Era mio dovere nazionale e umanitario nei confronti del vicinato».

Il primo anno risultavano iscritti alle lezioni della scuola di Shorbagy circa 500 bambine e bambini, ragazze e ragazzi di età compresa tra i 6 e i 15 anni. Oggi, quando suona la campanella di latta al mattino, all'ingresso dello stabile si è già formata una lunghissima coda di 700 studenti in attesa.

REUTERS/Anees Mahyoub

All'interno della casa-scuola, pareti con mattoni a vista si alternano a spazi vuoti che dovrebbero esserci occupati da finestre. Tende strappate fungono da muri divisori delle aule dove si studiano matematica, scienze e inglese, seguendo il programma statale previsto prima dell'inizio della guerra. Gli studenti si arrangiano come possono: seduti sul pavimento, si stringono tra loro, senza avere spazio per potersi muovere, dove a stento riescono a scrivere. Gli uni accanto agli altri, condividono i libri donati, seguendo i 16 insegnanti volontari che spiegano le lezioni su una lavagna rotta.

REUTERS/Anees Mahyoub

Nonostante l'ambiente fatiscente e la mancanza di materiali, la scuola è in sovrannumero in un paese in cui l'istruzione pubblica è limitata. L'unica alternativa in città è offerta dalle scuole private che prevedono il pagamento di una retta di 100000 riyal yemeniti all'anno (400 dollari), inaccessibile per la maggior parte delle famiglie. Basti considerare che lo Yemen è il paese più povero del mondo arabo e che nel 2014, secondo i dati forniti dal World Food Program USA, metà della popolazione viveva con meno di 2 dollari al giorno.

Dall'inizio del conflitto a marzo 2018 si sono contate più di 2500 scuole fuori uso, di cui circa due terzi danneggiati dagli attacchi, il 27% chiuso e il 7% usato per scopi militari o come rifugio per gli sfollati.

Il 9 settembre scorso è iniziato in Yemen l'anno scolastico 2018/2019. In una piccola scuola nella provincia di Saada, la gioia dei ragazzi nell'incontrare i propri compagni si è alternata a dolore e tristezza. All'appello mancavano decine di studenti, precisamente 40, uccisi il 9 agosto scorso, insieme ad altre 11 persone, in un attacco lanciato dalla coalizione saudita, mentre si trovavano in uno scuolabus per una gita organizzata da un seminario pro-Houthi. Se inizialmente l'obiettivo è stato definito "legittimo", nei giorni successivi il massacro è stato giustificato dai suoi autori sostenendo che fosse in risposta a un missile lanciato dallo Yemen nella città saudita di Jizan 24 ore prima. Grazie alla condanna internazionale - critiche di Stati Uniti e Regno Unito principali sostenitori militari della coalizione incluse - Riyadh ha poi detto che sarebbe stata aperta un'indagine e che i responsabili sarebbero stati condannati.

«Il loro sangue non è stato versato invano, li vendicheremo con l'istruzione, li vendicheremo imparando», ha dichiarato alla Reuters Hanash, un giovane studente che si trovava sullo scuolabus. "Ringrazio Dio per essere sopravvissuto all'attacco, un crimine odioso".

Tra i ragazzi scampati alla strage c'è chi frequenta le lezioni seduto sulla sedia a rotelle accanto ai compagni. Tra tutti c'è chi teme altri attacchi nel paese devastato dalla guerra e dalla fame.

REUTERS/Naif Rahma Un piccolo studente sopravvissuto al massacro del 9 agosto 2018

«Siamo tristi perché abbiamo perso i nostri compagni di scuola più cari e siamo preoccupati che il nemico colpisca la scuola», ha detto Sadiq Amin Jaafar, 15 anni. «Ma continueremo a studiare».

Secondo Abdul Wahab Salah, un insegnante della scuola frequentata dai ragazzi sopravvissuti al massacro, la paura degli attacchi della coalizione a Saada, roccaforte degli Houthi, non scoraggia né il corpo docente né gli studenti. «Ci addolora aver perso tanti nostri studenti. Erano eccezionali e seri. Siamo preoccupati (di altri attacchi), ma continueremo a costruire le generazioni future».

Se la situazione è complicata per gli studenti, può dirsi altrettanto per due terzi degli insegnanti delle scuole statali principalmente della parte settentrionale del paese, che da due anni attendono di ricevere il proprio stipendio. Ciononostante, alcune insegnanti yemenite non vengono meno al proprio impegno per offrire la possibilità ai propri alunni di sperare in un futuro migliore.

Fathimah Saeed Ahmed insegna matematica in una quinta elementare presso una scuola di Sana'a. Sposata, con quattro figli, Fathimah e suo marito non sono retribuiti dal mese di ottobre 2016. «Mi impegno a venire a scuola per continuare a insegnare. Due dei miei figli vengono con me ogni giorno e, se scioperassi, sarebbero i primi a essere colpiti e privati dell'istruzione», ha raccontato agli operatori dell'Unicef. «Come madre, so quanti sacrifici i genitori devono fare per mandare i propri figli a scuola e conosco il dolore che provano quando i bambini vengono lasciati senza istruzione. Come insegnante, non soffro solo per la sospensione degli stipendi, ma anche per la mancanza di materiale scolastico, come i libri di testo per i miei studenti. Li prendo in prestito dal mio vicino che manda i suoi figli in una scuola privata. Riassumo le lezioni sulla lavagna, chiedendo agli studenti di scrivere i miei appunti nei loro quaderni, che sono l'unico riferimento per lo studio e la preparazione degli esami».

Nada Al Muhaiya insegna inglese. È sposata e ha sei figli, di cui quattro frequentano scuole pubbliche. «La mia più grande motivazione per continuare a insegnare e non cercare un altro lavoro, è che voglio dare un esempio agli altri insegnanti e incoraggiarli a continuare ad insegnare ai nostri figli, che potrebbero diventare futuri leader» racconta Nada. «Se non mando i miei figli a scuola, quale sarà il loro futuro? Combattenti armati o senzatetto? Tutti i miei studenti sono bambini che stanno vivendo situazioni molto difficili».

La realtà dei piccoli combattenti armati, purtroppo, non è estranea al conflitto in Yemen. Le agenzie delle Nazioni Unite stimano che da marzo 2015 a febbraio 2017 siano stati arruolati, da tutte le parti coinvolte nella guerra, quasi 1500 bambini soldato. Human Rights Watch aveva già accusato, nel maggio 2015, gli Houthi di arruolare, addestrare e impiegare bambini soldato.

Per Amnesty International gli Houthi hanno reclutato minori, anche di 15 anni, per mandarli a combattere. Secondo dati raccolti dalla ONG nel 2017, attraverso il racconto di alcuni familiari si è potuto registrare un incremento del reclutamento di bambini che non potevano andare più a scuola. Con l'aggravarsi della crisi economica molte famiglie non sono più riuscite a sostenere le spese di trasporto per mandare i figli nelle scuole ancora aperte dopo l'inizio del conflitto.

Due delle persone intervistate da Amnesty International hanno dichiarato di aver ricevuto dagli Houthi promesse di incentivi economici, da 20000 a 30000 rial yemeniti al mese (da 75 a 115 euro circa) per ogni bambino nel caso in cui diventasse martire sul fronte di guerra. Nella maggior parte dei casi i bambini arruolati provenivano dagli ambienti più poveri.

Nel rapporto annuale dell'ONU su bambini e conflitti armati di maggio 2018 sia gli Houthi che le forze della coalizione guidata dall'Arabia Saudita sono stati accusati di aver reclutato nel 2017 842 bambini soldato, tra cui alcuni minori di appena 11 anni. La maggior parte dei ragazzi aveva tra i 15 e i 17 anni, e quasi i due terzi combattevano per gli Houthi. Il resto è stato utilizzato dalle forze armate yemenite, dalle Security Belt Forces - una milizia che risponde agli ordini degli Emirati Arabi Uniti -, dalle milizie della resistenza popolare sostenitrice del governo e dai membri di Al-Quaida presenti nella Penisola araba.

Nel rapporto si legge che i bambini soldato sono stati per lo più usati per sorvegliare posti di blocco e edifici governativi, per pattugliare o portare cibo e acqua e per portare attrezzature. Anche l'ONU, come Amnesty International, sostiene che le milizie Houthi arruolino i minori dietro compenso.

In un paese sempre più sull'orlo di una delle più grandi carestie, molti sono i ragazzi che scelgono di abbandonare la scuola per aiutare le proprie famiglie, come accaduto a quella di Safia Abduh, madre di cinque figli. Suo marito, ex operaio del ministero dell'Energia, era tra i 500000 dipendenti pubblici non retribuiti da due anni. Impossibilitati a sostenere le spese scolastiche della scuola privata, la famiglia ha trasferito i ragazzi in una scuola pubblica vicina.

Due anni dopo, alla morte del marito a causa del colera, due dei figli di Safia, il quindicenne Samir e il tredicenne Fadhel hanno dovuto smettere di frequentare la scuola per aiutare la mamma e i tre fratelli più piccoli.

Samir guadagna meno di 1500 rial (5 euro) al giorno, per otto ore di lavoro, in una piantagione di qat, una pianta masticata da milioni di yemeniti, nella periferia di Sana'a.

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Fadhel raccoglie bottiglie di plastica vuote da strade e cassonetti per venderle ad aziende di riciclaggio.

Insieme, con grandi sforzi, guadagnano circa 130 euro al mese. Per Safia la decisione di lasciare la scuola da parte dei figli è stata straziante, ma sapeva che non avevano altra scelta. «Quando mi hanno detto che avrebbero abbandonato la scuola, non ho potuto fermarli", ha raccontato a Deutsche Welle. «Ci sono altri tre bambini che hanno bisogno di mangiare».

Foto anteprima REUTERS/Anees Mahyoub via PRI

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