Yemen: una guerra devastante combattuta con armi europee
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di Roberta Aiello e Marco Nurra
Aggiornamento 17 marzo 2023: Un frammento identificato a Der al Hajari, nella regione nord-occidentale di Hodeida, in Yemen, conferma quanto indagini ONU, inchieste giornalistiche e l'attività della Rete italiana per il disarmo affermano da anni: la guerra in Yemen è combattuta anche con armi italiane. In due anni di escalation armata, l’ONU ha documentato l’uccisione di circa 7.600 persone e il ferimento di 42mila.
La sigla "A4447" incisa sulla scheggia ritrovata sul campo indica che l’ordigno proviene dalla Rwm Italia, che ha sede legale a Ghedi (Brescia), ha stabilimenti a Domusnovas, in Sardegna, e fa capo al gruppo tedesco Rheinmetall. Il governo non ha ma ufficializzato i paesi destinatari delle consegne delle armi, ma quest'ultimo ritrovamento non lascia spazio a dubbi. L'ultimo cargo, con a bordo 2.000 bombe, è partito da Cagliari la scorsa settimana, riporta Avvenire.
Da anni la Rete italiana per il disarmo denuncia l’esportazione verso la coalizione saudita, impegnata dal 2015 in raid aerei per reprimere l’insurrezione Huthi e dei loro alleati. Stando alla relazione governativa annuale sull’export militare, nel 2016 sono state consegnate 21.822 bombe. L’elenco dei destinatari e il tipo di armi inviate sono coperti dal segreto ma l’incrocio dei dati forniti nelle varie tabelle ministeriali permette di affermare che «una licenza da 411 milioni di euro alla Rwm Italia è destinata proprio all’Arabia Saudita», osserva Giorgio Beretta. Il 'Made in Italy' ha raggiunto quota 14,6 miliardi nel 2016 (+85% rispetto al 2015), ma il confronto con le relazioni ministeriali dell’ultimo quinquennio permette di scoprire che i dati del 2016 costituiscono un +452% rispetto al 2014.
L’organizzazione giornalistica internazionale tedesca Deutsche Welle (DW) ha commissionato un’indagine al gruppo Arab Reporters for Investigative Journalism (ARIJ) per scoprire da dove provengono le armi dei gruppi terroristici coinvolti nella devastante guerra in Yemen. La risposta è chiara: la guerra in Yemen è combattuta con armi europee.
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In un video pubblicato da Al Qaida nel gennaio del 2016 si vede chiaramente come i terroristi impugnino armi di origine tedesca, come il fucile da battaglia G3, il fucile d’assalto G36, le mitragliatrici MG3 ed MG4, prodotte in Arabia Saudita sotto licenza dell’azienda tedesca specializzata in armi da fuoco Heckler & Koch.
Quelle armi non sarebbero mai dovute finire nelle mani dei terroristi. La legge internazionale stabilisce chi può comprare legalmente questo tipo di armi e proibisce sotto ogni circostanza a chi le compra il passaggio a terze parti. Ma nonostante le leggi diversi gruppi terroristici in Yemen sono in possesso di armamenti europei. Come li hanno ottenuti?
Middle East war, made in Europe. https://t.co/5Shzq87Euq
— DW News (@dwnews) November 30, 2018
Secondo la ricostruzione di DW, il Generale Mohamed al-Mahmoudi, che comanda le truppe dell’esercito yemenita nella città di Taiz, ha spiegato che quelle armi erano state comprate inizialmente per l’esercito. Il problema, però, è che i militari in Yemen sono pagati molto poco e a intervalli irregolari. E per fare quadrare i conti, alcuni ricorrono alla vendita nel mercato nero di armi e munizioni, che finiscono direttamente o attraverso intermediari nelle mani di Al Qaida e altri gruppi terroristici.
ARIJ ha provato a contattare il fabbricante tedesco Heckler & Koch, ma non ha ricevuto risposta. Mentre il Ministro degli Affari Economici tedesco ha dichiarato di non essere al corrente di nessun prova concreta che dimostri che armi di fabbricazione tedesca siano attualmente impiegate nel conflitto in Yemen.
E la Germania non è l’unico paese europeo che fabbrica armi utilizzate in Yemen. Dall’analisi dei video che circolano su internet, girati con fini propagandistici dagli stessi gruppi jihadisti presenti nel paese, è possibile risalire ai modelli di armi utilizzate: come i lanciamissili RPG-32 di fabbricazione russa, i fucili e l’equipaggiamento militare della compagnia belga FN Herstal o le granate a mano HG 85, prodotte dall’esercito svizzero. Dopo essere stati contattati da ARIJ, il Belgio ha rifiutato di concedere un’intervista, mentre la Svizzera ha assicurato che avrebbe verificato le informazioni fornite dai giornalisti.
Oltre a quelle fabbricate in Europa Occidentale, in Yemen sono presenti anche armi provenienti dalla Serbia e dalla Bulgaria. Il documentario prodotto da ARIJ giunge a una conclusione: la presenza di armi europee è uno dei fattori che sta contribuendo alla durata e al tasso di letalità del conflitto in Yemen.
Le armi all'Arabia Saudita che partono dall'Italia
In Italia, ad Iglesias, lo scorso 8 novembre, si è svolto un sit-in, promosso dal Comitato Riconversione RWM e Italia Nostra Sardegna, per protestare contro l'ampliamento della RWM - la filiale dell'azienda tedesca di armamenti Rheinmetall che produce gli ordigni utilizzati dall'Arabia Saudita nei bombardamenti nella guerra in corso in Yemen - che ha una fabbrica a Domusnovas.
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La RWM, infatti, come riportato da Il Manifesto, triplicherà la sua produzione – passando da 5.000 mila a 15.000 bombe l'anno - dopo aver ampliato le sue strutture nel comune di Iglesias.
L'area oggetto dell'insediamento, tra l'altro, si svilupperebbe vicino al centro abitato, in una zona boschiva a ridosso del sito di interesse comunitario "Marganai - Monte Linas"
Secondo Italia Nostra Sardegna, la richiesta di autorizzazione è stata presentata in modo che i due reparti impiegati nel processo di miscelazione, caricamento e finitura di materiali esplodenti non siano inquadrati come impianti chimici, per evitare le valutazione di impatto ambientale e il convolgimento della Regione Sardegna.
"Regaliamo la nostra reputazione e il nostro futuro in cambio di un lavoro i cui introiti sono infimi rispetto a quelli dell'azienda pesantemente coinvolta nella guerra in Yemen, che seguirà il mercato e quando lo riterrà opportuno, a prescindere dai nostri bisogni, lascerà qui l'ennesimo scheletro inutilizzabile", si legge sul sito di Italia Nostra Sardegna.
I progetti di ampliamento, tra l'altro, vanno nella direzione opposta da quella indicata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che, a seguito dell'omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi, ha sospeso, lo scorso ottobre, il commercio di armi con l'Arabia Saudita. La mancanza di regolamentazione sulle filiali all'estero, però, rende possibile il proseguimento del commercio di armi da parte delle aziende tedesche.
Il 12 novembre scorso una delegazione della Rete italiana per il Disarmo ha incontrato, a Roma, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta. "In oltre un’ora di confronto aperto e concreto" - si legge nel comunicato della Rete - "si sono affrontati e discussi, pur nella diversità dei ruoli e delle prospettive, i diversi temi che sono oggetto delle azioni e delle campagne della Rete e di tutte le sue organizzazioni aderenti".
Gli esponenti della Rete italiana per il Disarmo hanno evidenziato la necessità di porre fine alle esportazioni italiane di armamenti in generale, sottolineando poi l'urgenza di intervenire concretamente rispetto alle fornitura utilizzata nel conflitto in Yemen, innanzitutto per garantire la protezione dei civili yemeniti e anche per poter contribuire a un intervento umanitario e a un successivo, quanto necessario, processo di pace.
Lo scorso settembre, sul proprio profilo Facebook, il ministro Trenta aveva pubblicato un post nel quale esprimeva preoccupazione sul commercio di armi tra Italia e Arabia Saudita (a seguito del peggioramento della situazione in Yemen) e comunicava di aver chiesto un resoconto dell’export, o del transito di bombe o altri armamenti dall’Italia all’Arabia Saudita, sebbene la competenza sia del ministero degli Affari Esteri (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento-UAMA), al quale il ministro ha inviato una richiesta di chiarimenti, sottolineando - laddove si configurasse una violazione della legge 185 del 1990 - di interrompere subito l’export e far decadere immediatamente i contratti in essere.
Intanto, in Parlamento, anche a seguito del peggioramento di una situazione già grave, si è tornato a parlare della guerra in corso in Yemen con un’audizione informale di esperti della società civile italiana sulla situazione del confitto, che si è tenuta lo scorso 16 ottobre davanti alla Commissione Esteri della Camera dei Deputati.
Amnesty International Italia, Oxfam Italia, Save The Children Italia, Medici Senza Frontiere e Rete Italiana per il Disarmo in rappresentanza di una più ampia Coalizione attiva da tempo sul tema e che comprende anche il Movimento dei Focolari, Rete della Pace e la Fondazione Finanza Etica, hanno illustrato le condizioni umanitarie della popolazione civile e i dettagli del coinvolgimento di forniture militari italiane.
Come si legge in un comunicato di Amnesty International "nell’ambito di tale azione coordinata, già a metà 2017 era stato sottoposto al Parlamento un testo di Mozione con la richiesta di fermare le forniture armate alle parti in conflitto in Yemen. Nel successivo dibattito dell’autunno 2017 le Mozioni più esplicitamente contro tali vendite erano state rigettate, con approvazione di un testo più blando e poco efficace. Ad aprile 2018 è invece stata presentata presso la Magistratura competente, in collaborazione con Ong yemenite e tedesche, una denuncia di violazione della legislazione nazionale ed internazionale che regola l’export di sistemi militari".
Il 28 novembre scorso la stessa coalizione ha organizzato una conferenza stampa in Senato per rivolgere un appello al Parlamento italiano perché sia presentata una mozione che, in linea con le risoluzioni del Parlamento europeo del 4 ottobre e del 25 ottobre 2018 e nel rispetto della normativa nazionale (legge 185/90), del Trattato internazionale sul commercio di armamenti e della Posizione Comune dell'Unione europea sull'export di armamenti, chieda al governo un embargo immediato sulle armi e la sospensione delle attuali licenze di esportazioni di armi a tutte le parti nel conflitto dello Yemen, a causa del chiaro rischio di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.
Le associazioni hanno inoltre formulato al Parlamento una serie di raccomandazioni affinché il governo, tra l'altro, intraprenda azioni concrete per la risoluzione diplomatica del conflitto in corso, si impegni a finanziare il fondo per la riconversione dell'industria militare, previsto nella legge 185/90, promuova iniziative verso le parti in conflitto affinché siano rigorosamente rispettati i divieti di bombardamento verso ospedali e scuole, ricordando che il personale medico e gli ospedali beneficiano di una tutela da trattati e convenzioni del diritto umanitario internazionale e che gli attacchi deliberati contro civili e infrastrutture costituiscono a tutti gli effetti crimini di guerra.
Immagine in anteprima via DW