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È colpa della NATO? Ci sono i nazisti a Kyiv? Euromaidan, golpe o rivoluzione? Alle radici della guerra in Ucraina

5 Febbraio 2023 8 min lettura

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È colpa della NATO? Ci sono i nazisti a Kyiv? Euromaidan, golpe o rivoluzione? Alle radici della guerra in Ucraina

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di Matteo Zola [Ha collaborato Oleksiy Bondarenko]

Mentre il conflitto in Ucraina ci restituisce quotidianamente il suo bollettino di morti e feriti, di attacchi a infrastrutture, di bombe sui palazzi, di battaglie attorno a città fino a qualche mese fa sconosciute, continuano a emergere in larga parte dell’opinione pubblica i soliti dubbi, le stesse domande: se sia opportuno sostenere ancora lo sforzo di autodifesa ucraino oppure si debba cercare un appeasement con il Cremlino. Il dibattito intorno alla guerra resta fortemente polarizzato e segnato da quel paternalismo, un po’ coloniale, che afferma come gli ucraini siano in fondo russi, che i piccoli paesi vanno sacrificati nel nome dei pacifici rapporti tra le potenze, considerando questa guerra (e le precedenti rivoluzioni) come espressione di volontà d’oltreoceano, eterodirette e fittizie. Eppure, l’Ucraina esiste. E non da oggi. Se non ce ne siamo accorti è perché abbiamo guardato al mondo post-sovietico dal punto di vista russo. Dopo molti mesi, sarebbe ora di affrancarsi da questa visione aprendosi a un dibattito che, benché plurale e critico, resti fondato sui fatti. È con questo spirito che un gruppo di studiosi e giornalisti ha scritto “Ucraina, alle radici della guerra” (Paesi edizioni, 2022). 

Un libro che indaga le cause, recenti e remote, di una guerra destinata a modificare gli equilibri internazionali per i prossimi decenni. Quindici domande, altrettante risposte. Perché l’Ucraina? Che colpe ha l’Occidente? Ci sono i nazisti a Kyiv? Bandera eroe o criminale? Chi è Volodymyr Zelens’kyj? Maidan fu golpe o rivoluzione? L’Ucraina è davvero una democrazia? Nessuna risposta è scontata.

Tra gli otto autori che hanno firmato i vari capitoli non mancano ucraini – russofoni anche – e docenti universitari, diplomatici, giornalisti che ruotano tutti attorno alla redazione di East Journal, giornale online che da tredici anni si occupa di politica, società e cultura dell’Europa centro-orientale e balcanica. Un volume “equilibrato ma non equidistante”, per usare le parole di Anna Zafesova, che ne ha curato la prefazione. Un libro scritto da chi l’Ucraina la conosce, la studia. Un antidoto contro le generalizzazioni, le ideologie, le visioni settarie. Per andare alle radici della guerra in Ucraina.

È colpa della NATO? 

Le responsabilità della NATO e dell’Occidente in generale sono state a lungo al centro del dibattito europeo, e italiano in particolare, relativo alle cause del conflitto. Una questione che non è scevra da retaggi ideologici e che si è mossa lungo una linea di faglia che ha opposto – e in parte ancora oppone – due distinte visioni della politica e delle relazioni internazionali. L'invasione dell'Ucraina ha fatto tornare alla ribalta la scuola dei cosiddetti “realisti”, guidata dal politologo John Mearsheimer dell'Università di Chicago, ripetutamente citato anche da esperti di geopolitica in Italia, persuaso che l'Occidente e soprattutto gli Stati Uniti siano i principali responsabili di questa crisi. L’ingerenza americana, l’espansionismo atlantico nel cosiddetto “orto di casa” russo, sarebbero le cause principali del conflitto. Una visione che relega le rivoluzioni ucraine, ben tre, a semplici espressioni di volontà d’oltreoceano, e che tradisce un certo approccio coloniale verso i piccoli paesi e i piccoli popoli, cui viene negata non solo la possibilità di autodeterminarsi ed esercitare la propria sovranità, ma persino la stessa genuinità della ribellione. 

Un altro argomento, agitato a più riprese dal Cremlino, è quello della “promessa tradita” da parte occidentale di non integrare l’Europa centro-orientale nell’Alleanza atlantica. Tale promessa sarebbe stata fatta, secondo gli stessi russi, durante i negoziati per la riunificazione tedesca e più precisamente durante un incontro tra James Baker, Segretario di Stato di George Bush, e Michail Gorbačëv, avvenuto nel luglio 1990, cioè con l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia ancora in piedi. Quale senso avrebbe avuto, da parte di Gorbačëv, discutere di un futuro allargamento NATO verso paesi che ancora erano sotto controllo sovietico? Nessuno, ovviamente. Appare ormai acclarato che argomento della discussione, mai davvero sfociata in accordi sottoscritti dalle parti, fosse il ruolo della NATO in Germania orientale in vista della riunificazione. 

Eppure, a guardare bene, una responsabilità da parte dell’Occidente e in particolare della NATO ci fu. E sta nel non aver inserito la Russia all’interno di una nuova di architettura di sicurezza europea a seguito della fine della Guerra fredda, preferendo un allargamento ai paesi dell’est Europa. Una scelta dovuta a molti fattori – la pressione di polacchi, cecoslovacchi e ungheresi da un lato, ma anche l’idea che la Russia fosse “sconfitta” e non avesse quindi diritto di partecipare a un nuovo ordine mondiale – di cui sicuramente questa guerra è un risultato indiretto. Altro errore, se visto retrospettivamente, fu quello di voler sostenere a tutti i costi El’cin il quale, già nel 1993, aveva ordinato il cannoneggiamento del parlamento imponendo una costituzione che assegnava ampi poteri al presidente, dando prova di non essere poi così democratico. Quella costituzione è una delle basi su cui si è poi sviluppata la centralizzazione del potere putiniano. Allora sembrò però inevitabile appoggiare El’cin. I sondaggi davano i comunisti in ripresa e il parlamento era in mano a forze conservatrici, ancora legate al vecchio sistema sovietico. El’cin parve il male minore, ma da quel male oggi ne deriva uno più grande, Vladimir Putin. Infine, ed è forse il più grave errore ascrivibile al campo occidentale, c’è la questione del bombardamento NATO di Belgrado che segnò una decisiva battuta d’arresto nelle relazioni tra Russia e Alleanza atlantica. Ecco, responsabilità ce ne furono, ma si tratta di eventi vecchi anche di trent’anni. E non bisogna dimenticare come la Russia abbia contribuito ad alimentare reciproche incomprensioni, con la guerra in Cecenia, quella in Georgia e con l’intervento in Siria a fianco di al-Assad. La guerra di oggi non è quindi “colpa della NATO” ma è il risultato di una mancata sistemazione dell’ordine internazionale dopo la fine della Guerra fredda. La speranza è che non si compiano gli stessi errori del passato quando questa guerra sarà finita. 

Ci sono i nazisti a Kyiv?

La presenza e la rilevanza dell’estrema destra in Ucraina è stato un argomento ampiamente dibattuto durante le prime settimane di guerra. In quei giorni era sufficiente digitare il termine Azov in un qualsiasi motore di ricerca per vedere come ogni giorno i quotidiani riservassero spazio al famigerato battaglione neonazista, preso a simbolo della pericolosità degli ucraini tutti. Non a caso, il Cremlino aveva usato la “de-nazificazione” dell’Ucraina a pretesto dell’invasione e quell’argomento, anche inconsapevolmente, veniva ripreso dai giornali nazionali avviando una querelle tutta ideologica e poco fondata sui fatti. L’estrema destra ucraina è infatti numericamente irrilevante. Il famigerato Battaglione Azov contava, all’inizio della guerra, appena tremila volontari, cioè l’1% delle forze ucraine schierate nel conflitto. A ogni elezione, parlamentare o presidenziale, i candidati di estrema destra sono stati respinti e non ci sono partiti di estrema destra nel parlamento ucraino (possiamo, noi, dire lo stesso?). 

Certo, dopo la Rivoluzione di Maidan del 2014 i settori più radicali della protesta hanno cercato di guadagnare posizioni sfruttando la debolezza dello Stato (e fu proprio allora che ebbe luogo il celebre “rogo di Odessa” in cui militanti nazionalisti causarono la morte di 42 filorussi) ed è vero che i battaglioni di volontari – Azov, Aidar, Dnipro e altri – si resero protagonisti di crimini di guerra in Donbass nel 2015. Tuttavia, negli anni si è assistito a una normalizzazione del fenomeno e c’è da ritenere che, in caso di vittoria ucraina, i nazionalisti e i settori più radicali sopravvissuti al fronte abbandonino le proprie posizioni per abbracciare una più conveniente moderazione se otterranno, come probabile, ruoli nella nuova amministrazione. Un’amministrazione che sarà, necessariamente, assai più sotto controllo occidentale delle precedenti. Viceversa, in caso di sconfitta, è possibile che i settori ultranazionalisti trovino argomenti e appigli per avanzare verso posizioni di potere – un copione già visto, qualcuno ricorderà San Sepolcro. Ma proprio per questo è ancor più importante sostenere lo sforzo di autodifesa ucraino e condurre il paese verso standard politici occidentali. Occorre ricordare che il finanziatore dei battaglioni ultranazionalisti sia un oligarca ebreo, a riprova di come la lente ideologica non spieghi la complessità del problema ma serva unicamente a mobilitare l’opinione pubblica occidentale in funzione anti-ucraina. 

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Euromaidan, golpe o rivoluzione?

La Rivoluzione di Maidan del 2014 non ha rappresentato solo un passaggio centrale nella recente storia dell’Ucraina, ma anche il perno di due tipi di narrazione contrapposti che continuano a dominare la rappresentazione del paese anche dopo l’invasione russa iniziata il 24 febbraio 2022. Da una parte gli eventi che hanno portato alla fuga dell’allora presidente Viktor Janukovyč sono stati descritti come una rivoluzione democratica e pacifica; una sollevazione popolare di tutti gli ucraini contro un regime violento e dispotico che ha trasformato e avvicinato quasi naturalmente il paese alle strutture politiche dell’Unione Europea e al suo sistema valoriale. Per altri Maidan è diventato simbolo di un violento cambio di regime; un colpo di Stato che ha destituito un presidente legittimamente eletto e instaurato un regime con chiare sfumature nazionaliste e antirusse. Due narrazioni che, da un lato, dimenticano di dire della stretta autoritaria che Janukovyč stava imprimendo, con un controllo sul sistema giudiziario, sulle forze dell’ordine e sull’economia che stava avviando l’Ucraina verso una china simile a quella bielorussa; dall’altro si deve tener conto di come Janukovyč fosse considerato un punto di riferimento per la minoranza russofona delle regioni orientali che si sentivano escluse dalla crescita economica e covavano risentimento. Per molti di loro Maidan non fu altro che un colpo di Stato. Per comprendere le ragioni che hanno condotto alla guerra bisogna quindi anche accogliere, o quantomeno capire, il punto di vista degli altri, di coloro che dalla rivoluzione si sono sentiti non solo esclusi ma persino minacciati, e hanno creduto che fosse necessario opporvisi. Questo malcontento, sostenuto coi fondi di un potente oligarca del Donbass, Rinat Achmetov, è stato presto manipolato dal Cremlino che ha infiltrato agitatori e militari per destabilizzare il paese mentre, con l’altra mano, invadeva la Crimea. Non c’è mai stata, dunque, una guerra civile nel Donbass. La costituzione dei battaglioni filorussi, la presenza tra i loro capi di cittadini russi (attivi nei servizi segreti o nelle unità speciali) come Borodai e Girkin, e la penetrazione di uomini e mezzi militari dalla Russia, rendono difficile se non impossibile descrivere gli eventi del Donbass come una guerra civile. La popolazione dell’Ucraina orientale, anche quella che aveva guardato con scetticismo e ostilità alla Rivoluzione, non era favorevole all’integrazione con la Russia e non ha dato linfa alle milizie filorusse, con l’eccezione di gruppi criminali locali diventati, nel tempo, parte del gruppo di potere delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. L’Ucraina orientale è così diventata teatro di un conflitto che, fino al 2015, ha registrato circa 14mila morti, in prevalenza soldati di entrambe le parti, di cui circa tremila civili. Una tragedia che, tuttavia, è ben lontana da potersi definire genocidio. Come non lo è, almeno al momento, quello subito dalla popolazione ucraina dopo il 24 febbraio 2022. 

L’impatto di quanto sta accadendo da quel giorno è difficile da determinare. La guerra potrebbe stimolare una ridefinizione dell’Unione Europea e dei suoi confini orientali, come potrebbe segnare il declino delle democrazie liberali, sempre più minoritarie. I destini della globalizzazione e del multilateralismo sono in discussione, come lo è il futuro della Russia non solo come potenza ma come statualità. Di questi e altri temi si parla nel libro, ricordando che non potrà esistere per l’Ucraina una pace senza giustizia, ma nemmeno senza un coinvolgimento della Russia in una nuova architettura di sicurezza europea. 

Immagine in anteprima: Oleksandr Ratushniak, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

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