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Hollywood e lo scandalo Weinstein: lo scoop che i media per anni non hanno pubblicato

16 Ottobre 2017 9 min lettura

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Hollywood e lo scandalo Weinstein: lo scoop che i media per anni non hanno pubblicato

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In questo post mi occuperò del caso Weinstein dal punto di vista giornalistico. Ma ci tengo a fare una premessa, per me è importante: voglio abbracciare tutte le donne coinvolte in questa orribile vicenda. Quelle che hanno saputo dire no, quelle che non hanno saputo o voluto dire no, quelle che ancora oggi non riescono a parlare. Non è possibile per me giudicare queste scelte e non di certo secondo il parametro personale di cosa avrei fatto io. Ma voglio anche ringraziare gli uomini e le donne che in questi giorni ho visto impegnati in lunghe e faticose conversazioni e scambi sui social (parlo chiaramente del mio feed) con chi non si è fatto problemi a giudicare anche in modo spietato e volgare. E infine vorrei dire che far coincidere quest'ultima tipologia di commenti con l'opinione pubblica in generale è a mio avviso una distorsione. L'opinione pubblica non è un monolite e la ricchezza di commenti, post, riflessioni colmi di empatia e solidarietà che ho visto, letto in questi giorni merita di essere sottolineata e valorizzata.

La colpevolizzazione della vittima però non è una nostra esclusiva. Molti commenti sul New York Times accusavano le vittime, chiedendo perché non avessero parlato prima. La risposta di uno dei lettori a questo tipo di commenti è stata messa in evidenza dalla testata e ha ricevuto migliaia di apprezzamenti, potete leggerla qui . Ne riporto la prima parte:

È scoraggiante vedere così tanti commenti che ancora incolpano le donne per non aver parlato. Consideratevi fortunati se mai la vostra carriera è dipesa dal dormire o meno col vostro capo. Non ha niente a che vedere con l'essere famosi o ricchi; questo accade a tutte le donne in ambito lavorativo dalle commesse con un salario basso alle donne top manager...

Come sottolinea su Mashable Gianluca Mezzofiore, ci sono almeno tre motivi principali per cui per le vittime di Weinstein non è stato facile esporsi:

1. Le donne vengono fatte vergognare per non aver lottato con forza.
2. Le donne sono minacciate perché stiano zitte e punite se parlano.
3. Le autorità non sempre sono di aiuto.

Bisognerebbe tenere bene questo a mente prima di lanciare una caccia alle streghe contro le vittime di aggressioni sessuali.

Tutti sapevano, nessuno parlava

Il merito di aver reso pubblica la vicenda, il segreto di cui tutti erano a conoscenza - "le ragazze di  Harvey" - ma di cui nessuno osava parlava apertamente, va al New York Times e al New Yorker. Uno degli uomini più potenti di Hollywood, il produttore Harvey Weinstein, da anni molestava, aggrediva sessualmente - secondo le testimonianze e le accuse - attrici, modelle, impiegate.

In un atto di accusa ferocissimo su New York Observer, Ryan Holiday , autore tra l'altro di "Credimi, sono un bugiardo. Confessioni di un manipolatore di media"pone una domanda cruciale: come è possibile che il sistema mediatico nel suo complesso abbia "bucato" una simile storia per anni?

“How did the collective press – the Hollywood, media, gossip, and business journalists who follow every move of these power players as part of their job – miss out so badly?”

Com'è possibile che in tutti questi anni le accuse siano emerse solo ora? Come è possibile che Weinstein l'abbia fatta franca per così tanto tempo? Perché chi sapeva non ha parlato? A queste domande è necessario affiancarne un'altra altrettanto importante: com'è possibile che i media abbiano fallito in modo così eclatante?

La sua risposta è durissima: non hanno bucato la notizia, ma sono stati dei vigliacchi a non coprirla, un silenzio consapevole e colpevole.

È anche vero che da tempo diverse testate tentavano di dare solidità ai rumors che circolavano da anni, tutti sapevano, ma per pubblicare una storia simile hai bisogno di testimonianze, prove, che la tua inchiesta sia abbastanza solida da poter affrontare una eventuale causa. È altrettanto vero però che sono emersi precedenti che fanno pensare anche che diversi media abbiano scelto di non approfondire o, pur avendo tra le mani un vero e proprio scoop, abbiano deciso di affossarlo.

Proprio il New York Times, che il 5 ottobre scorso ha rivelato le prime accuse, nel 2004 secondo quanto scrive  Sharon Waxman, aveva la storia ma decise di non pubblicare. Waxman sarebbe stata la prima a rivelare la vicenda, ma il giornale sotto pressione finì per affossare la pubblicazione. Qualcuno le riferì che Weinstein in persona fece visita alla redazione per far capire il suo disappunto rispetto a una eventuale inchiesta. "Sapevo che Weinstein era un importante inserzionista del Times...".

“The paper had a story on mogul’s sexual misconduct back in 2004 — but gutted it under pressure…I was told at the time that Weinstein had visited the newsroom in person to make his displeasure known. I knew he was a major advertiser in the Times, and that he was a powerful person overall.”

La co-direttrice di Variety, Claudia Eller, ha fatto i complimenti pubblicamente su Twitter al New York Times per aver pubblicato la storia che tutti cercavano di ottenere da anni. Holiday sottolinea come, nonostante in tutti questi anni la rivista abbia coperto Weinstein in ogni dettaglio, gli sia sfuggita la storia, emersa solo in questi giorni, di David Boies, uno degli avvocati che ha rappresentato The Weinstein Company, che ha donato 10mila dollari al procuratore distrettuale Cyrus Vance, che nel 2015 ha fatto cadere le accuse di aggressione sessuale contro Weinstein. (L'ufficio di Vance ha fatto sapere che Boies non rappresentava Weinstein durante quelle indagini). Eppure quel dato dovrebbe essere un dato pubblico della campagna di finanziamento.

Holiday riporta anche altri esempi di come la stampa abbia in qualche modo "protetto" o non coperto nel modo giusto le vicende controverse che in questi anni erano emerse a carico di Weinstein.

Secondo alcune fonti anonime il New York magazine ha affossato lo scoop su Weinstein l'anno scorso. Il giornalista Ben Wallace ha speso mesi a raccogliere decine e decine di testimonianze sulle aggressioni sessuali a giovane donne da parte del produttore americano. Ma come riporta Richard Johnson, a quanto pare, lo stesso Harvey è riuscito a bloccare la pubblicazione. Wallace non ha voluto rilasciare dichiarazioni e la testata ha respinto le accuse.

“New York magazine had the story a year ago, and Harvey had it killed,” one source told me.

“Harvey was sweating bullets. He sat down with Editor-in-Chief Adam Moss, and they were still going ahead. Then, it suddenly went away. The reporter must be kicking himself now.”

A negare la versione "tutti sapevano", un'attrice di peso come Meryl Streep che, in una dichiarazione pubblicata su Huffington Post, ha preso posizione contro Weinstein e ha definito le donne che stanno denunciando delle eroine. Allo stesso tempo però ha voluto sottolineare che non è vero che tutti sapessero. Lei sostiene personalmente di non aver mai saputo niente di queste accuse né degli accordi economici con alcune attrici e colleghe per farle tacere. «E se tutti sapevano – aggiunge l'attrice – non credo che tutti i giornalisti investigativi che si occupano di spettacolo e i media in generale non ne avrebbero scritto per decenni». Ma, come dimostra Constance Grady su Vox, si sbaglia

In tanti, scrive Grady, hanno provato ad inchiodare Weinstein. In pochi hanno avuto successo. Tra queste, come già accennato, Sharon Waxman. Nel 2004 le fu affidato uno scoop sulle presunte aggressioni sessuali di Weinstein e, come lei stessa racconta, venne anche in Europa per parlare con Lombardo, la persona che lavorava per Miramax Italia e che sarebbe stata a libro paga della società esclusivamente per procurare a Weinstein prostitute e organizzare incontri con donne. Waxman trovò anche una delle presunte vittime del produttore e la convinse a parlare on the record nonostante un accordo di riservatezza. Secondo Waxman, Weinstein riuscì a fare un sacco di pressioni anche attraverso altre star come Matt Damon e Russell Crowe che la contattarono direttamente per garantire sull'onestà e professionalità di Lombardo (Miramax Italia). Dalla storia alla fine furono rimossi tutti i riferimenti ai favori sessuali o alle coercizioni, seppellita all'interno delle pagina culturali risultò solo una storia vaga sulla Miramax che licenzia un dirigente italiano.

Nel 2015 Jordan Sargent, su Gawkerraccolse  tutte le testimonianze allora a disposizione contro Weinstein e invitò chi sapesse a parlare anche sotto anonimato. Ma da allora non ci furono ulteriori approfondimenti.

La verità, conclude Galdy, non è come sostiene Streep che non ci sono stati articoli perché non è vero che tutti sapevano. La verità è che per anni Weinstein è stato un uomo troppo potente da toccare, nonostante ciò che tutti sapevano. Il fatto che siano uscite queste inchieste vuol dire che Weinstein ha perso la sua influenza nel mondo degli Oscar, anche per i suoi gravi problemi finanziari, ed è diventato alla fine abbastanza debole da far avere al New York Times la forza di buttarlo giù, di detronizzarlo.

Com'è finito sul New Yorker lo scoop di Ronan Farrow della NBC

A ricostruire come i capi della NBC hanno affossato  la notizia esplosiva della storia di Harvey Weinstein ci ha pensato l'Huffington Post, in un lungo articolo basato su varie testimonianze e fonti anonime anche tra i dipendenti dell'azienda radiotelevisiva americana.

Ronan Farrow, un collaboratore della NBC, lavorava al caso da mesi. Aveva raccolto diverse testimonianze dirette di donne che avevano subito molestie e violenze, la disponibilità di una donna a testimoniare in video (senza essere ripresa in volto) di essere stata violentata, ma soprattutto aveva quello che tutti i giornalisti cercavano da anni: l'audio in cui Weinstein confessa di aver aggredito, molestandola, una donna. Si tratta dell'audio ottenuto dalla modella italiana, Ambra Battilana Gutierrez, che aveva denunciato alla polizia l'aggressione. Il giorno dopo, in accordo con la polizia, era ritornata da lui indossando un microfono e registrando così la sua confessione. Le accuse però, come si è visto, furono lasciate cadere. Farrow aveva anche le dichiarazioni di ex capi e assistenti di Weinstein che avevano lavorato fianco a fianco con lui per anni e avevano testimoniato sulla sua cultura di violenze e abusi sessuali che il produttore cinematografico perpetrava. La NBC ha tentato di bloccare l'intervista con la donna disposta a denunciare lo stupro, impedendo a Farrow di usare la squadra di cameraman dell'emittente televisiva, tanto che il reporter deciderà alla fine di pagarne una di tasca sua. Il presidente della NBC News, Noah Oppenheim, ha respinto le accuse di aver voluto affossare la storia, sostenendo di essere arrivati a un punto questa estate in cui si erano resi conto di non avere tutti gli elementi sufficienti per poter andare in onda. Le fonti dell'Huffington Post raccontano tutt'altro. Un continuo tentativo di boicottare il lavoro di Farrow. Addirittura viene riferito che gli avvocati di Weinstein si sarebbero lamentati con NBC per il potenziale conflitto di interessi del reporter, visto che Weinstein avrebbe contribuito a rilanciare la carriera del padre (Woody Allen) con cui Farrow non aveva più rapporti.

Il materiale che Farrow, che aveva lavorato all'inchiesta da gennaio a luglio, aveva consegnato alla NBC è stato sottoposto al processo di verifica e di fact-checking interno. A lavorarci separatamente anche un giornalista investigativo della NBC. Tutti, compreso i legali, avevano dato il via libera alla messa in onda. Ma non c'è stato niente da fare.

Farrow capisce che il progetto di mandare in onda la sua inchiesta sulla televisione americana è finito. Dopo un mese ottiene il permesso di sottoporre il materiale ad un'altra testata. È la storia che abbiamo letto sul New Yorker in questi giorni.

NBC non ha nemmeno coperto la notizia quando il caso è esploso subito dopo la pubblicazione dell'inchiesta da parte del New York Times.

“Ronan Farrow, che è venuto da noi circa due mesi fa, aveva una inchiesta già importante e solida fra le mani –  ha detto David Remnick, direttore del The New Yorker –, e grazie ad un ulteriore serio lavoro anche dei colleghi qui al giornale, è riuscito ad approfondirlo e renderlo pubblicabile. È un esempio di grande giornalismo investigativo".

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Foto in anteprima via THE DAILY BEAST/GETTY

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