Voghera e l’assessore “sceriffo” che spara in piazza: davvero ci stupiamo?
6 min letturaAggiornamento 20 ottobre 2022: Si sono concluse le indagini su Massimo Adriatici, l'ex assessore leghista alla Sicurezza di Voghera (Pavia) che il 20 luglio 2021 sparò e uccise Youns El Boussettaoui dopo un litigio avvenuto in piazza Meardi. Per la Procura, il reato contestato è quello di eccesso colposo in legittima difesa. Secondo quanto riportato dalla Provincia Pavese, Adriatici “ha sparato per difendersi, dopo essere stato aggredito dalla vittima, anche se la sua reazione è stata ‘non proporzionata all’offesa ricevuta’. Per la Procura Adriatici è stato “aggredito da El Boussettaoui con una violenta manata al volto che ne determinava l’improvvisa caduta a terra e la perdita degli occhiali che inforcava”. Nello sparare, sarebbe stato quindi “costretto costretto dalla necessità di difendersi dal pericolo attuale dell’offesa ingiusta, causata da El Boussettaoui, “il quale gli si avvicinava ulteriormente chinando il busto verso di lui per colpirlo di nuovo”. Tuttavia nello sparare Adriatici avrebbe valutato erroneamente il pericolo. La pena per il reato contestato varia dai 5 mesi ai 6 anni, ma l’ex assessore potrebbe patteggiare.
Su Repubblica, Sandro de Riccardis ha ricordato varie anomalie nelle indagini. In particolare, l’autopsia è stata eseguita a meno di dodici ore dalla morte della vittima, e senza informarne i legali (El Boussettaoui era da anni domiciliato presso uno studio legale che lo aveva seguito in diversi procedimenti), mentre sono stati ignorati i filmati delle telecamere, “filmati che dimostrano come Adriatici ed El Boussettaoui non si incontrano casualmente nella piazza pochi secondi prima che il politico leghista spari, ma che l'ex assessore pedina il ragazzo per circa dieci minuti”. Sempre nei filmati si vede Adriatici muoversi sulla scena del crimine, parlando con i carabinieri e parlando direttamente con un testimone.
In un video su Instagram, intanto, Bahija El Boussettaoui, sorella della vittima, ha lanciato l'invito a partecipare per sabato prossimo, 22 ottobre, a un presidio davanti alla Procura di Pavia, per chiedere giustizia e "dare un messaggio all'Italia: che la legge è uguale per tutti".
A Voghera, nella serata di martedì 20 luglio, una lite in piazza finisce con un colpo di pistola. L’uomo colpito al petto dal proiettile, Youns El Buossettaoui, 39 anni, muore poche ore dopo all’ospedale. A ucciderlo è stato l’assessore alla Sicurezza del comune, Massimo Adriatici. Secondo le prime testimonianze raccolte sul posto, durante la lite Massimo Adriatici sarebbe stato colpito con un pugno, mentre non è chiaro il motivo della lite. Secondo Adriatici, dopo essere stato buttato a terra sarebbe «partito un colpo» dalla sua pistola, che quindi durante la caduta era impugnata, carica e pronta all’uso. Questo il virgolettato riportato da vari siti, tra cui Rai News e AdnKronos:
Stavo passeggiando quando ho notato quell'uomo infastidire i clienti di un bar. Mi sono avvicinato, invitandolo ad andarsene e ho chiamato la Polizia. Sentendo la mia telefonata, mi ha spinto facendomi cadere.
Tuttavia in un video diffuso nella giornata di ieri, sebbene si veda il pugno ricevuto da Adriatici, nella contestuale caduta non si vede il momento in cui viene impugnata l'arma e sparato il colpo. In ogni caso, l'ipotesi di reato per Adriatici è di eccesso colposo di legittima difesa. Il reato contestato suona come un’offesa alla vittima, che era disarmata. Chi pensa diversamente è pregato di immaginare la scena a parti invertite, o domandarsi se davvero per ogni spintone o pugno mollato in piazza possiamo aspettarci un colpo di pistola e un morto. Oltretutto il giudice per le indagini preliminari ha applicato gli arresti domiciliari perché, tra i vari motivi, sussisterebbe il pericolo di reiterazione del reato.
Di Adriatici sappiamo che era soprannominato «Sceriffo» per i modi bruschi «verso i deboli» e la «microcriminalità». Lo racconta in questo video, tra gli altri, Giampiero Santamaria, coordinatore locale de La buona destra. Della vittima è stato evidenziato in più articoli che aveva precedente penali, oltre al fatto di essere di origini marocchine, dunque uno «straniero». In questi casi è sempre utile, per motivi sempre sbagliati, un quotidiano come La Verità, che scrive «Assessore leghista uccide un molestatore». Massimo Adriatici, per il quotidiano, è l’ex poliziotto che ha avuto il coraggio di affrontare «un marocchino irregolare esagitato».
Siamo insomma in quella regione del linguaggio e del rapporto che instaura con le cose in cui la prospettiva usata orienta la nostra testa verso questo o quel dettaglio, e da lì orienta gli occhi. Etichette come “straniero”, "irregolare", così come l’insistenza sui precedenti, sulla problematicità, rafforzano l’idea della legittima difesa contro una minaccia estranea alla comunità; subdolamente insinuano che alla fine è morto uno dei loro, non uno dei nostri. Uno di quelli che possiamo anche evitare di considerare italiano; uno per cui i diritti contano meno. A noi italiani queste cose non possono succedere, perché noi siamo quelli in regola. Se queste definizioni obbedissero alla logica, come minimo dovrebbe sembrarci ancora più folle l'idea di un assessore che, di fronte a un uomo di conclamata pericolosità, si improvvisa vigilante ed estrae la pistola.
Inoltre Youns El Boussettaoui aveva due figli e una moglie in Marocco. Come riportato dall'Agi, fonti vicine alla famiglia riferiscono che l'uomo fosse stato sottoposto a Tso meno di un mese fa. L’avvocato della famiglia, Debora Piazza, ha fatto presente che «l'autopsia di Youns El Boussetaoui è stata effettuata senza avvisare, come sarebbe dovuto avvenire, i suoi familiari, tutti cittadini italiani e con una residenza». «Non è vero che era un senzatetto e non è vero che non aveva nessuno – ha dichiarato la sorella ai microfoni dei giornalisti – Ci sono alcuni che dicono "malato", "barbone", allora? Prendiamo la pistola e andiamo a uccidere qualunque persona malata?». Forse se smettessimo di guardare tutto sotto la luce della sicurezza, dei problemi di ordine pubblico, o del colore della pelle, del paese di provenienza, saremmo più attenti a riconoscere chi ha bisogno di aiuto. Ma riuscite a immaginare un giornale che per i fatti di Voghera titola: «Assessore leghista uccide un padre di famiglia»?
Se ci fate caso, quanto accaduto a Voghera, sotto sotto, non ci stupisce più di tanto. Dovrebbe, ma non lo fa. Come scritto da Luigi Manconi su La Stampa «sarebbe sciocco non tenere in conto anche un certo clima tendente a giustificare l’aggressività e a deprezzare la mitezza; e una determinata sottocultura che esalta le maniere spicce e i metodi forti». Sono decenni che partiti come la Lega costruiscono la propria immagini su scala locale affidandosi ai “Sindaci Sceriffo”, da Gentilini in poi, gli uomini forti della tolleranza zero. O che figure come Joe Formaggio, l'ex sindaco di Albettone (ora in Fratelli d'Italia) che dorme col fucile accanto al letto, riempiono i palinsesti attaccando rom, immigrati o - perché no - omosessuali.
Sono decenni che, in casi dove entra in ballo la possibile legittima difesa, l'estrema destra giunge a buttare benzina sul fuoco perché pensa di poter governare gli eventuali incendi, di dominare attraverso una retorica di Legge & Ordine il «far-west». Da Graziano Stacchio, elevato a eroe della patria, all’imprenditore Giuseppe Peveri, per il quale Salvini andò in carcere da Ministro dell’Interno per portare avanti una discutibile riforma della legittima difesa. Dalle case, dall’azienda di famiglia, ora la retorica sulla legittima difesa si è spostata per le strade delle nostre città.
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Tutti quelli che negli anni non pensavano si potesse arrivare a questo, e magari han scambiato una certa linea politica per istrionismo, carnevalata, teatralità, sparata a effetto, quanto meno ora potrebbero concederci un bel tacer. E, a proposito di silenzi, a prescindere dalle ragioni particolari vogliamo ringraziare la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, solitamente sempre pronta a cavalcare il caso del giorno, specie quando si parla di immigrazione e sicurezza.
Non vale invece neanche la pena di analizzare l’ignobile video di Salvini, che mette insieme colpi partiti per sbaglio e legittima difesa come «extrema ratio». Un leader è una persona che sa prendersi la responsabilità delle proprie azioni e delle proprie parole. Da questo punto di vista, Salvini è un mediocre prestigiatore, funziona perché nel pubblico troppe persone applaudono per convenienza e ignavia mentre, al posto del coniglio, estrae dal cilindro un cadavere. L’unica osservazione sensata da fare è ricordare a chi scrive titoli e lanci che riprenderne i virgolettati senza mediazione alcuna significa fare da megafono a una disinformazione dolosa. Specie se il virgolettato è una frase parziale di dichiarazioni prive di logica, e quindi fumo negli occhi.
Ma se proprio vogliamo credere alla storia della legittima difesa, accettare la sospensione d'incredulità, allora improvvisiamoci Marco Antonio, per dire che Salvini è un uomo d’onore, e come lui Adriatici; lo sono tutti tranne il morto, come da copione. Allora Salvini, che è uomo d'onore, dovrebbe dirci nelle Regioni e nei Comuni, quanti amministratori, quanti consiglieri della Lega girano armati per le piazze, e per quale motivo, e perché dovremmo sentirci sicuri e protetti; quanti deputati o senatori. La bravura al poligono di tiro è un criterio di selezione della classe dirigente?
E siccome il paese è pieno di uomini e donne d’onore, certo saranno in molti a poter spiegare perché concorrono a intasare il dibattito pubblico di “decoro”, “degrado”; perché la sicurezza è diventata un sinonimo di “libertà”, perché paura e percezione debbano dettare linee editoriali o programmi politici e perché questo debba esser normale. Non facciamo insomma finta che Voghera sia stato un accidenti del caso, o che il problema sia l’assessore sceriffo. Anche perché, come tutti noi, Adriatici è sempre stato un uomo d’onore.
Foto in anteprima via Ansa
L'articolo è stato modificato per correggere la definizione di eccesso colposo.