Cosa succede dopo che una donna vittima di violenza denuncia
4 min letturaHo ricevuto un lungo messaggio. Non importa il nome né il luogo da cui proviene né altri dettagli. Chi lo ha scritto non chiede aiuto: ha chi la supporta ed è seguita sia a livello legale che psicologico. Se mi ha scritto, è stato per sensibilizzare su un punto, indispensabile: “Chi arriva alla decisione della denuncia e delle separazione, deve poi attendere dei tempi biblici per la realizzazione della propria liberazione. È un doppio inferno. E io ho avuto mezzi e strumenti per "resistere", ma molte non ce la fanno. E soccombono o fanno passi indietro”.
Ecco cosa mi ha scritto. Vorrei che venisse meditato, molto.
"Ho pensato a lungo se scriverle o meno, perché la mia è una banale storia di violenza domestica, senza alcun tipo di colpo di scena (fino ad ora), uguale a mille altre storie seppur nella sua unicità. Le scrivo oggi, nel giorno dell'udienza presidenziale per la mia richiesta di separazione. Non le racconterò delle vicissitudini quotidiane, dello squallore degli ultimi anni, delle sofferenze subite da me e dalle mie figlie. Vorrei raccontarle del "dopo", di quello che accade quando, grazie a tre anni di psicoterapia (e ventidue di abusi), una donna prende coscienza di sé e della sua situazione e decide di mettere la parola fine alla sua sofferenza gratuita quotidiana. Lei molto spesso ha scritto con pertinenza della difficoltà per una vittima di arrivare a riconoscersi come tale e poi del passo successivo che è quello di chiedere aiuto e denunciare. Io ho chiesto aiuto una prima volta nel 2011, ma forse i tempi non erano maturi e non ho avuto l'assistenza richiesta: non sono più andata agli incontri e loro non mi hanno più cercata. La prima querela contro mio marito per aggressione (tentò di strangolarmi) sempre del 2011 finì in un nulla di fatto: da vittima da manuale di un manipolatore maligno supplicai il giudice di archiviare il procedimento, dicendo che il comportamento di mio marito era solo conseguenza del fatto che io lo avevo provocato. E il giudice archiviò.
Quest'anno, a quarantasette anni, con due figlie vittime anch'esse della situazione (in cura presso uno psichiatra la grande e in terapia psicologica la piccola) ho trovato coraggio e risorse per voltare pagina: ho trovato un'avvocata seria e generosa che mi ha seguita passo dopo passo nel percorso per la separazione giudiziale (perché l'abusante non lascia andare facilmente la sua vittima e costringe alla strada più tortuosa per la separazione), ho avuto l'appoggio incondizionato della mia famiglia (che era del tutto ignara delle mie difficoltà e da cui mi ero parzialmente allontanata nel corso degli anni) e mi sono rivolta ai Carabinieri presentando tre denunce querele, corredate da materiale audio e da chat di WhatsApp. La prima denuncia che ha fatto attivare il Codice Rosso risale a metà settembre. Il brigadiere che ha raccolto la querela mi ha dedicato l'intera giornata, rinunciando alla sua pausa pranzo e andando oltre il suo turno di lavoro: il tribunale affida la delicata operazione di raccolta di notizie sommarie alle forze dell'ordine, riservandosi in un secondo momento di contattare la vittima. È stata una giornata estenuante, in cui ho dovuto raccontare e fare comprendere a un estraneo in poche ore tutto il mio dramma, producendo le prove audio che avevo a disposizione.
Da quel giorno a livello istituzionale non è successo nulla. Tanto che fino ad oggi ho dovuto sporgere altre due denunce, di cui l'ultima una settimana fa, con tanto di venuta dei carabinieri a casa mia e piena ammissione da parte di mio marito davanti ai militari delle minacce rivoltemi. E ancora nulla. E lui che, impunito, peggiora il suo comportamento giorno dopo giorno. E io sola, alla sua mercé, con il solo supporto del mio avvocato. Oggi all'udienza presidenziale al tribunale per il primo atto della separazione giudiziale sono entrata in una stanza anonima, con una presidente che scriveva al computer senza guardarmi in faccia e che trattava il voluminoso faldone con dentro gli ultimi vent'anni di vita e sofferenze miei e delle mie figlie come un atto burocratico da sbrigare al più presto perché avevamo superato l'orario del pranzo. Alla richiesta della mia avvocata di adottare delle misure di protezione per allontanare mio marito tempestivamente da me e dalle ragazze la presidente ha dato in escandescenze, affermando che se c'era già il Codice rosso della procedura penale allora ci avrebbe pensato il Pubblico Ministero a prendere quelle misure e che lei non aveva alcuna intenzione di emettere il provvedimento delle misure di protezione che avrebbe significato un'altra udienza tra quindici giorni "alla vigilia di Natale!", non considerando che dalla prima attivazione del Codice rosso erano già trascorsi tre mesi senza che si muovesse nulla.
Ecco, cara Loredana, quello che succede dopo che una donna vittima di violenza denuncia: nulla. La macchina burocratica si inceppa, il meccanismo non è oliato, i compartimenti della giustizia civile e penale non collaborano e non dialogano (io oggi sono rimasta annichilita dalle urla stizzite della presidente, mi sono sentita svalutata, non creduta, mortificata e molto stupida nell'aver creduto nella giustizia). E noi "vittime" che abbiamo avuto il coraggio e la fortuna di riuscire a ribellarci restiamo sole con le nostre paure, fino a quando succederà qualcosa di più grave che ci farà finire sulle pagine dei giornali (cosa di cui farei volentieri a meno), date in pasto a un pubblico che ci farà violenza altre migliaia di volte”.
Loredana Lipperini ha condiviso questa testimonianza sulla sua bacheca Facebook e ci ha autorizzati a riporla sul nostro sito. Il giorno dopo la pubblicazione di questo post ha poi scritto alla sua comunità sempre su Facebook questo:
Buongiorno. La donna che mi ha scritto il messaggio vi ringrazia tutte e tutti, tantissimo. Per quanto riguarda la sua vicenda personale, quella va avanti con il supporto importante che già è in corso. La vicenda comune, che riguarda il difficilissimo percorso delle denuncianti, è stata invece portata all'attenzione di chi se ne occupa istituzionalmente. Per ora, è tutto.
Aggiungo il mio ringraziamento, però: questa è una delle occasioni in cui i social diventano davvero comunità. Grazie, di cuore.
Immagine anteprima via Fuoridalcomune