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La violenza contro le donne è una questione di genere e non, come dice il ministro Nordio, di etnia

7 Aprile 2025 7 min lettura

La violenza contro le donne è una questione di genere e non, come dice il ministro Nordio, di etnia

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C’è un principio, fra quelli che fanno parte della grande famiglia delle leggi di Murphy, noto come Rasoio di Hanlon, che recita: “Mai attribuire alla cattiveria quello che si può spiegare con la stupidità”. Per estensione, il Rasoio di Hanlon (che come il suo antenato di Occam, assume la spiegazione più semplice per ogni problema) finisce per includere anche l’incompetenza fra le cause più frequenti di qualunque incidente. All’ennesima uscita di un esponente del governo Meloni in cui le cause di un fenomeno vengono spiegate facendo ricorso a teorie razziste, forse è ora che Hanlon entri in gioco: non è malvagità. È proprio non capire cosa succede, non avere gli strumenti per capirlo e nemmeno la disponibilità a provarci.

È successo di nuovo con Carlo Nordio, ministro della Giustizia, che in risposta all’ondata di indignazione successiva a due casi di femminicidio ai danni di giovani donne che si sono verificati nel giro di 24 ore ha esordito individuando correttamente la necessità di fare prevenzione ed educazione, ha proseguito assegnando la responsabilità di quell’educazione alle famiglie (esattamente come avviene oggi, con i risultati che vediamo) e ha finito con un riferimento a “certe etnie”, che sulle donne e la violenza avrebbero “sensibilità diverse”. È indiscutibile: qui a mancare sono gli strumenti di interpretazione e lettura della realtà. In assenza di questi strumenti, di competenze che si acquisiscono solo con lo studio di specifiche branche delle discipline umanistiche, si finisce per ricadere sempre nei propri schemi. Che nel caso di Nordio, e in generale della destra di governo, è la demonizzazione a tappeto dello straniero, qui identificato su base etnica.

È probabile che Nordio, chiamato a chiarire questa affermazione, si allontanerebbe dal concetto di “etnia” per virare su quello di “cultura”, ben conscio che si tratta di due cose ben diverse. Non ha molta importanza, perché il casus belli di questi giorni, quello che sta infiammando i discorsi e portando le donne in strada in tutto il paese, è proprio la morte ravvicinata di due giovanissime, due ragazze di ventidue anni, entrambe uccise da uomini, seppure con modalità diverse. Il presunto omicida di Sara Campanella, Stefano Argentino, è un compagno di università che da due anni la perseguitava, e non tollerava che lei rifiutasse le sue attenzioni. Ilaria Sula, invece, sarebbe stata uccisa da un uomo con cui aveva avuto una relazione, Mark Samson, che avrebbe fatto a pezzi il suo corpo per poi infilarlo in una valigia e gettarlo in un dirupo a qualche decina di chilometri da Roma.

Lo diciamo subito: andare appresso alla Weltanschauung del ministro Nordio è una perdita di tempo. Il suo rilievo non ha riscontro nei numeri (il 75% dei femminicidi è compiuto da italiani, dato importante anche se confrontato con l’incidenza fra gli stranieri, considerati nel loro complesso e senza distinzioni di cultura, religione o tradizione, e senza tenere conto del fatto che molte persone di nazionalità straniera sono nate e cresciute in Italia) ed è inconsistente anche dal punto di vista del modus operandi. Alessandro Impagnatiello e Davide Fontana, due uomini bianchi italiani, sono stati condannati (da rei confessi) per ucciso donne che si erano sottratte al loro controllo: entrambi, dopo aver occultato il cadavere hanno usato il telefono della vittima per sostituirsi a lei, e far credere alla famiglia e agli amici che l’assenza fosse dovuta a una fuga. La stessa cosa che, come risulta dalle prime indagini, avrebbe fatto Mark Samson con il telefono di Ilaria Sula. Tre soggetti diversi, tre profili diversi, una sola cosa in comune: il genere. Sono tre uomini, come è un uomo Filippo Turetta, è un uomo Salvatore Parolisi, è un uomo Alberto Stasi, è un uomo Danilo Restivo. E abbiamo citato solo i più noti, quelli che quando ne vedi il nome sai di cosa si parla, ma soprattutto sai di chi. Ricordi il nome della donna a cui quell’uomo ha tolto la vita.

Uomini, tutti quanti. Come la stragrande maggioranza degli autori di reati violenti (circa il 94%). Eppure, ogni volta che un femminicidio balza all’onore delle cronache il tentativo è sempre quello di sviare l’attenzione dal dato più eclatante (un uomo che uccide una donna perché non la può controllare) per indirizzarla verso un altro allarme, un altro fenomeno più o meno considerato emergenziale. Se non sono le altre “etnie”, come prova a fare Nordio, sono i giovani traviati dai social, è il degrado delle aree più povere del sud (un po’ di antimeridionalismo non si nega a nessuno), e via dicendo. Il metodo è sempre lo stesso: estrapolare un singolo aspetto del caso in oggetto e farlo diventare centrale, oscurando la natura comune a tutti i femminicidi.

La cosa essenziale è non mettere mai in discussione i maschi bianchi adulti, quelli che siedono tronfi al centro della società e ne dettano le regole. Il potere non vuole essere disturbato, meno che mai chiamato in causa quando si parla di un fenomeno radicato nello squilibrio di potere fra i generi, un fenomeno che non accenna a calare anche quando tutti gli altri reati, invece, calano. Non è un caso che il picco dei femminicidi si sia toccato nel 2020, quando per buona parte dell’anno le donne sono state costrette a rimanere in casa con i familiari e i partner violenti: nello stesso anno, le chiamate al 1522 (numero dedicato alle vittime di violenza) sono aumentate in maniera vertiginosa (+71,7% fra marzo e ottobre). Se queste sono le persone che dovrebbero educare i giovani al rispetto, non ci stupisce particolarmente che la violenza maschile contro le donne rimanga una costante.

Quello che lega tutti questi casi è il genere di chi commette le violenze e il movente, che è sempre, in tutti i casi, la cultura patriarcale. Il termine “patriarcato”, che negli ultimi anni è ritornato nell’uso corrente, non è però chiaro a tutte le persone che vi fanno ricorso, in particolare a quelle che lo utilizzano per negarne l’esistenza. Con “patriarcato” non intendiamo un fenomeno all’interno della società, quindi il singolo atto di violenza o di prevaricazione, ma la società stessa, tutta, da cui originano i fenomeni. Una società che opprime uomini e donne in modi diversi, ma che basa il suo funzionamento principalmente sullo sfruttamento delle donne, il cui lavoro di cura sottopagato e non pagato tiene in piedi il welfare. Ogni donna che si sottrae alla sua funzione sociale di madre, figlia, compagna, ancella e caregiver, ogni donna che dice “no” alla richiesta di un uomo di essere funzionale ai suoi bisogni, è una donna che rischia di essere eliminata.

Mark Samson si è detto “dispiaciuto” di aver ucciso Ilaria Sula. Dispiaciuto: come ci si dispiace quando si tampona qualcuno per errore in un parcheggio. Dispiaciuto, perché uccidendola è probabile che intendesse eliminare un problema, una sua mancanza, quella di non essere in grado di imporsi a una donna contro la sua volontà. È un altro tratto comune a molti casi di femminicidio, questo: anche quelli che sono andati a processo sotto un’altra definizione, come quello di Elisa Pomarelli, uccisa nel 2019 in provincia di Piacenza da Massimo Sebastiani, che Pomarelli riteneva un amico, e che invece voleva da lei qualcosa che non era disponibile a dare. Un altro uomo bianco, considerato un “gigante buono”. Un altro che in apparenza non rappresentava un pericolo. Un altro che ha compiuto una serie di azioni in sequenza, l’aggressione, l’omicidio, la soppressione del cadavere, la messinscena con i messaggi del cellulare. Un altro dichiarato in grado di intendere e di volere in seguito a una perizia psichiatrica richiesta dalla difesa. Non un pazzo, non un uomo che compie un gesto di cui non si rende conto in un momento di dissociazione, ma un lucido assassino. Come gli altri.

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Se davvero si vuole risolvere il problema della violenza maschile, bisogna cominciare dai maschi. Smettere di nascondersi dietro l’idea che la responsabilità possa essere spostata su altro, sulla malattia mentale, sui social, sui giovani che stanno troppo sui social, sui giovani che non hanno più valori, sulle culture diverse dalla nostra, sulle donne che sono troppo indipendenti e sul fatto che non denunciano gli abusi.

La responsabilità è maschile ed è dal maschile che bisogna ripartire, lasciando da parte il vittimismo, la suscettibilità del “Non siamo tutti così!”, la vergogna esibita che non si fa mai molla per l’azione, la dissociazione dal mostro del giorno. È un uomo come gli altri, il mostro del giorno: tale e quale agli altri, anzi, spesso viene considerato un figo, venerato e imitato proprio perché esibisce i tratti violenti e prevaricanti con arroganza. È un uomo come voi: riconoscerlo è la base di ogni azione, il punto di partenza di un processo di autocoscienza che può senz’altro trovare puntelli nell’azione educativa della scuola, ma che può essere avviato subito, in autonomia, da chiunque. Proprio come le donne di cinquant’anni fa si trovavano una stanza e si mettevano a discutere della propria femminilità, così possono (e dovrebbero) fare gli uomini, per smettere di essere utili idioti del patriarcato e diventare, finalmente, soggetti pienamente autodeterminati al di fuori di ogni logica del controllo.

Immagine in anteprima via Vanity Fair

8 Commenti
  1. Francesco

    Semplificazione e deumanizzazione spiccia dovrebbero essere le cure per una società malata? "Ogni donna... è una donna che rischia di essere eliminata"?. Questo genere di analisi, che non sono analisi, ma accuse generalizzate, hanno la stessa acutezza e spessore empatico delle argomentazioni del Ministro Nordio. Esisterà ancora una responsabilità individuale, o no? Se esiste un problema culturale, e nessuno nega che esista, lo si evince anche dall' incapacità di analisi lucide, non ideologiche, tipiche di questa epoca in cui si ha fretta di giungere alle conclusioni, anche quando esse siano completamente strampalate...

    • MB

      Non credo che tu abbia capito il contenuto dell'articolo. Il punto non è che tutti gli uomini sono assassini, è di non rifugiarsi dietro ad altri spetti dell'identità di un femminicida (malato di mente, di una certa etnia o stato sociale) e di capire che i semi del femminicidio si trovano nella mascolinità stessa come tradizionalmente concepita. Questo non ci rende assassini, è solo un invito a essere più attenti e consapevoli.

    • Dario

      Francesco, l'analisi di Blasi è acuta e precisa, come tutti i suoi altri articoli, corroborata da decenni di teoria e pratica femminista. Io suggerisco di iniziare dall'eccellente podcast "tutti gli uomini". non sarà un percorso facile, ti farà arrabbiare piangere commuovere, riflettere. non ti viene chiesto altro: guarda, ascolta

    • Valigia Blu

      Ciao, hai dimenticato di aggiungere "non tutti gli uomini...".

  2. Elena

    Il ministro Nordio ne esce un luminare in confronto a questa analisi. Come si fa. Vorrei vedere se ti dicessero che in quanto bianca sei una potenziale assassina di neri o altre castronerie. Esiste un cervello che è al di sopra dei problemi sociali, che nessuno nega, ma diffondere queste stupidaggini non è affatto un punto di partenza.

    • Valigia Blu

      Ciao Elena, c'è un livello minimo di rispetto per le opinioni altrui che preghiamo di rispettare, altrimenti diventa impossibile ogni confronto. Per il resto, ci confrontiamo con i problemi reali e gli scenari reali nel fare le analisi, non con ipotesi evocate al solo scopo di far polemiche su temi così delicati, o per offendere chi non la pensa come te.

  3. Giannina

    Che tristezza che su Valigia Blu ci siano questi commenti ad un articolo così chiaro e motivante. Se fossi un uomo, mi metterei a leggere altro in merito e ne discuterei a cena con i miei amici. Da donna farei lo stesso, in realtà. Io sono bianca europea e ogni giorno analizzo i miei pregiudizi impliciti che mi fanno essere razzista anche se non ho mai fatto male a nessuno, anzi. È dura mettersi continuamente in discussione ma non serve fustigarsi, basta esercitarsi a cambiare il proprio pensiero. Il patriarcato, il razzismo e tutte le discriminazioni sono sistemiche ma il nostro potere sta nel cambiare la quotidianità, la nostra mentalità, nel cercare ogni giorno il meglio per noi e per gli altri.

    • Valigia Blu

      Ciao Giannina, grazie per questo tuo commento ❤️

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