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Il vino è cancerogeno? Cosa dice la ricerca scientifica

17 Luglio 2023 14 min lettura

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Il vino è cancerogeno? Cosa dice la ricerca scientifica

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“L’alcol. Una semplice molecola. Facile da ottenere da quasi qualsiasi carboidrato. Facile da consumare. Immagazzinabile. Dosabile in modo preciso”. E prodotto e utilizzato da sempre in gran parte del mondo, da quando abbiamo notizia di qualsiasi civiltà umana, nonostante sia evidente che il suo utilizzo non comporta alcun vantaggio evolutivo, nel senso biologico del termine, a differenza di altre sostanze alteranti, come la caffeina ad esempio, che quanto meno aiutano a sentirsi più attivi. Nel suo libro Drunk - How we sipped, danced and stunned our way to civilization, Edward Slingerland, filosofo e psicologo alla British Columbia, parte proprio da qui. Qual è la ragione per cui, nonostante gli effetti evidentemente nocivi dell’uso di alcol sul nostro cervello, sul nostro corpo, sui comportamenti e sulla nostra salute, noi umani da sempre facciamo in modo di produrne e consumarne regolarmente una certa quantità?

Lasciando Slingerland al suo appassionante e irriverente viaggio tra le varie teorie e spiegazioni, tra biologia e cultura, che nel corso degli ultimi decenni si accavallano per provare a spiegare il perché di questa passione umana per l’alcol al di là delle conseguenze, possiamo dire con assoluta tranquillità che tutte le evidenze scientifiche, mediche, biologiche, organiche, fisiologiche, cognitive e via dicendo vanno in una sola direzione. L’unica quantità sicura di alcol da assumere è quella non assunta. Il rischio zero si ha solo non bevendo affatto.

Se nelle nostre società, che sul vino ha costruito molta della sua narrazione oltre che una fetta importante di economia, questa pare essere una affermazione inaccettabile, forse vale la pena ricordare che nella nostra vita di rischi zero ce ne sono davvero pochi. Vivere in città, spesso con una bassa qualità dell’aria, mangiare cibo processato o eccessivi quantitativi di carne, andare in macchina al lavoro, passare ore in ambienti poco arieggiati senza fare movimento… la gran parte della nostra vita è un continuo trade off tra le scelte che facciamo, le pratiche che siamo fortemente indotti ad adottare, per lavorare, per combinare le nostre esigenze con le difficoltà finanziarie, per condividere tempo e attività con altre persone, e il tipo di rischi che accettiamo di correre. Il punto chiave, come sempre, è avere consapevolezza e, quando è possibile, scegliere in modo sensato. 

E dunque, se ci tuffiamo nelle evidenze scientifiche disponibili, negli studi pubblicati in questi anni, nei report e nelle osservazioni epidemiologiche delle principali istituzioni sanitarie, insomma se ci riferiamo a quello che le conoscenze messe insieme tra chi fa ricerca e chi fa clinica dicono, non si scappa. L’alcol fa male, anche in quantità minime. E solo assumendone dosi molto, ma molto moderate, si possono contenere, pur non annullandoli, i rischi per la salute. 

Nella sua pagina dedicata al tema alcol, il sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha perfino una guida per i giornalisti, pubblicata ad aprile di quest’anno. Nei diversi documenti della sezione si trovano moltissimi dati e definizioni chiare e inequivocabili. L’alcol è una sostanza psicoattiva che agisce nel nostro cervello a livello della corteccia prefrontale, sede del nostro sviluppo cognitivo, della nostra capacità di articolare ed esprimere ragionamenti e pensieri, strategie e presa di decisioni, concentrazione e controllo. Ci sono solide evidenze raccolte negli ultimi decenni, sottolinea l’OMS, del fatto che il consumo di alcol costituisca oggi una vera e propria epidemia con conseguenze sulla salute globale. È uno dei fattori di rischio principali di tutta una serie di malattie non trasmissibili, come la cirrosi epatica, diversi tipi di cancro e di malattie cardiovascolari, ed è considerato la causa del 7% delle malattie totali negli uomini e poco più del 2% di quelle delle donne. È associato con lo sviluppo della tubercolosi, dell’HIV, e altre patologie. Contribuisce a uccidere circa 3 milioni di persone ogni anno, in tutto il pianeta e per molti altri milioni di individui è causa di disabilità permanente e di problemi cronici. È direttamente associato allo sviluppo di oltre 740mila nuovi casi di tumore ogni anno. Sei volte i morti per malaria, per intenderci. O cinque volte il numero di morti per AIDS. Insomma, l’alcol è uno dei fattori di rischio principali per il rischio di mortalità precoce, per le persone tra i 15 e i 49 anni di età (è la causa di circa una morte su dieci in questa fascia di età). 

Nessuno studio scientifico recente ha potuto dimostrare l’innocuità dell’assunzione di alcol, e in larga parte la nozione che un po’ di vino fa bene è aneddotica o basata su ricerche che, anche a insaputa di molti medici che magari danno questa indicazione ‘di buon senso’, non sono sufficientemente rigorose o solide. Le più recenti revisioni e meta-analisi degli studi che proponevano l’idea dell’effetto protettivo, contro le malattie cardiache, di un bicchiere di vino rosso, dice l’OMS, mostrano tutti i loro limiti riviste alla luce delle attuali metodologie statistiche, epidemiologiche, mediche. Insomma, in altre parole, quello del beneficio associato al bicchiere di vino rosso è un mito, non un fatto. E anche l’idea che l’alcol sia un antidepressivo è falsa. Al contrario, anche a bassi quantitativi, il consumo di alcol aumenta il rischio di problemi mentali, di mancanza di concentrazione, di sviluppo di forme di demenza e di dipendenza. Causa ansia e insonnia, e spesso peggiora i sintomi della depressione invece che alleviarli. 

Alcol e cancro, una causalità provata

Anche l’International Agency for Research on Cancer, agenzia specializzata nella ricerca contro il cancro, definisce l’alcol una sostanza tossica, psicoattiva, che causa dipendenza. È anche un cancerogeno del gruppo 1, quello che riunisce le sostanze con forti evidenze di carcinogenicità a loro carico, ed è causa provata dello sviluppo di sette tipi diversi di tumore, quello al cavo orale, alla faringe e alla laringe, all’esofago, al fegato, al colon retto, al seno. Sul sito dell’Agenzia è possibile anche esplorare diversi dati e grafici

Come si determina la presenza o assenza di rischio? Come si stabilisce se c’è una dose minima sicura? L’OMS, nella sua comunicazione e negli altri documenti sul tema alcol, spiega che per poter “identificare un livello sicuro di consumo di alcol, è richiesto che ci sia un’evidenza scientifica che dimostri l’assenza dell’incremento di rischio di una malattia o di un danno associata con il consumo di alcol pari o al di sotto di una specifica quantità”. Ma, continua la comunicazione, “Le evidenze non indicano l’esistenza di una soglia particolare oltre la quale si inizino a manifestare effetti cancerogeni dell’alcol sul corpo umano. E dunque, non si può stabilire una dose minima sicura per la salute.” 

Anche quando parliamo di consumo leggero o moderato i dati visti nel loro insieme non sono certo rassicuranti. Secondo uno studio di attribuzione pubblicato sullo European Journal of Public Health nel 2021, e cioè uno studio che definisce esattamente quante tra le nuove diagnosi di cancro siano direttamente dovute al consumo di alcol, in Europa il consumo moderato di alcol è associato a quasi 23mila nuovi casi di cancro all’anno, un po’ più di un decimo dei casi totali di cancro alcol-correlati. Circa la metà di questi nuovi casi sono tumori al seno femminili. I dati si riferiscono a casi di tumore diagnosticati nel corso dell’anno 2017, preso come riferimento, e la correlazione è stata fatta con assunzione di alcol a partire dal 2009, perché come sempre è necessario prendere in considerazione il tempo che passa tra l’esposizione al fattore di rischio, quindi il consumo di alcol in questo caso, e l’insorgenza della malattia.

Per consumo da leggero a moderato, spiegano gli autori, si intende un consumo fino a un massimo di 20 grammi di puro alcol al giorno, e cioè quanto contenuto in due classici drink nel contesto europeo, dove una dose standard, quindi un drink, è una birra piccola (quella da 0,3 litri) o un bicchiere di vino (circa 100 ml), o uno shot di superalcolico. Gli autori di questo studio spiegano anche di aver voluto interpretare le dosi leggere o moderate in modo restrittivo, insomma considerando dosi ancora più ridotte rispetto ad altri studi, proprio per poter definire in modo sicuro l’effetto anche di dosi cosiddette minime. Tanto è vero che circa un terzo di questi casi (8500) sono associati a un’assunzione molto bassa, leggera (meno di 10 grammi al giorno). 

L’alcol poi ha effetti molto più nocivi sui corpi femminili rispetto a quelli maschili. Non è una questione di bon ton, né di costume. Posto che i corpi non sono mai tutti uguali, in generale il corpo femminile tende ad avere una minore percentuale di acqua e dunque la concentrazione dell’alcol diventa immediatamente importante anche quando se ne beve di meno. E minore è anche la produzione dell’enzima alcol-deidrogenasi, cioè della proteina necessaria a metabolizzare e dunque espellere l’alcol dal corpo. Il che si traduce nel fatto che a parità di dosi bevute, il rischio di malattia per i corpi femminili è più elevato. 

Le evidenze

Il “Global burden of cancer in 2020 attributable to alcohol consumption: a population-based study” pubblicato sulla rivista britannica The Lancet nel 2021 è il più corposo e recente studio sistematico che analizza le ricerche pubblicate fino a quel momento sul legame tra alcol e cancro e i dati del Global Cancer Observatory della International Agency for Research on Cancer. Oltre a questi dati, gli autori hanno anche utilizzato i dati sui consumi di alcol nel mondo resi disponibili dal Global Information System on Alcohol and Health dell’Organizzazione mondiale della sanità. I risultati sono molto espliciti: si stima che più di 740mila nuovi casi di cancro (su un totale di poco meno di 20 milioni di nuovi casi diagnosticati annualmente, quindi tra il 3 e il 5% del totale) siano attribuibili direttamente al consumo di alcol. Di questi, oltre mezzo milione sono diagnosticati negli uomini (più del 75%). I tre tipi di tumore più comune, come vediamo nel grafico sottostante, sono quelli all’esofago (189mila casi), al colon-retto (160mila casi) e al fegato (154mila casi). Molto significativo però anche il dato relativo al tumore al seno nelle donne (98mila casi di attribuzione diretta, su circa 2 milioni e 200mila nuovi casi). 

La correlazione, e dunque l’attribuzione, è ancora più significativa e informativa se si considerano i dati relativi alla quantità di alcol bevuta: quasi la metà di queste nuove diagnosi, più di 346mila, sono associate a consumi molto elevati di alcol (più di 60g di alcol al giorno), e altre più di 290mila a consumi comunque intensi, definiti a rischio (20-60 g/giorno). Ma anche un consumo moderato (sotto i 20g al giorno) è correlato con più di 103mila nuovi casi di cancro, di cui 40mila circa sono associati a un consumo leggero (sotto i 10 g al giorno). 

Oltre al numero di casi per tipologia di cancro, lo studio si concentra anche sul calcolo della PAF, la population attributable fraction, intesa come la percentuale di casi di tumore direttamente attribuibili all’alcol sul totale di tutti i nuovi casi di tumore, inclusi anche quelli non alcol-correlati.

Questi dati sono relativi al 2020. In quell’anno, sottolineano gli autori dello studio, il lockdown ha portato, in molti paesi, a un aumento dei consumi di alcol. Tuttavia gli effetti di questo aumento non sono ancora visibili, perché tutti gli studi di attribuzione tendono a confrontare gli effetti a 10 anni dal consumo. In pratica, le diagnosi che vediamo oggi sono attribuibili, in larga parte, a consumi di alcol registrati o stimati attorno al 2010, e la stima degli effetti viene fatta confrontando le nuove diagnosi tra popolazione di bevitori al 2010 e popolazione di non bevitori in quell’anno. In base ai consumi attuali, dunque, è possibile fare delle stime per la distribuzione del rischio nei prossimi decenni.

Lo studio analizza gli effetti dei consumi nella popolazione maschile e femminile, suddividendo e analizzando i dati anche per le diverse regioni del mondo (come vediamo nel grafico sottostante), e cerca dunque di stimare il rischio di sviluppo di un tumore in base all’attitudine al consumo di alcol. 

Questo è un dato particolarmente complesso da considerare perché, dicono gli autori, le abitudini e i consumi di alcol variano nel tempo nelle diverse parti del mondo, in risposta a diversi fattori, dalla maggiore o minore disponibilità economica alla diffusione di campagne informative più o meno efficaci alla diversa presa di consapevolezza rispetto ai rischi associati all’alcol fino all’applicazione di leggi più o meno stringenti che regolano la vendita e dunque anche il consumo. In molti paesi europei, ad esempio, il consumo procapite è sceso nell’ultimo decennio, mentre il consumo è in crescita in paesi asiatici come la Cina e l’India e in diversi paesi africani. 

Il ruolo del marketing nella scelta di bere

Il fatto che tutto il mondo beva vino è comunque un mito: oltre il 57% degli adulti nel mondo, infatti, non consuma affatto alcol (dati del 2016). Per scelta o perché, nello specifico, la propria cultura, religione e abitudini non ne prevedono l’assunzione. E dunque, anche l’idea che bere alcolici sia un’usanza diffusa in ogni popolazione deriva da una visione molto limitata del mondo. Nella parte del mondo in cui abitiamo il consumo di alcol è proposto come un fatto positivo e adatto a ogni celebrazione e ai momenti di socializzazione, addirittura parte integrante della dieta mediterranea, la dieta equilibrata per antonomasia. E c’è quasi uno stigma, in negativo, su chi sceglie una dieta completamente priva di alcolici. Uno stigma che rischia di pesare soprattutto sulle persone più giovani, quando iniziano a consumare alcol in situazioni collettive. E proprio sui giovani il rischio è invece assai più alto: circa un terzo delle morti nella fascia di età tra i 20 e i 40 anni è dovuta all’alcol, nell’effetto combinato di impatto diretto sulla salute o sulla capacità di controllo. 

I dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) dicono che la prima causa di morte per le persone giovani in Europa sono gli incidenti stradali. Più di un quarto, ed è una stima molto conservativa, sono attribuibili all’alcol. Non solo. Condivisi in occasione dell’Alcol prevention day 2023, i dati dell’Osservatorio nazionale alcol dell’ISS, relativi al 2021, sono piuttosto auto-esplicativi e tracciano una fotografia del nostro paese ben diversa dall’immagine rilassata e sorridente che le pubblicità di vino e alcolici vorrebbero trasmettere. In Italia ci sono 36 milioni di consumatori di alcol. Di questi circa un terzo, 10,5 milioni, sono bevitori giornalieri. Se dopo la pandemia, che ha visto un incremento molto significativo del consumo di alcol, si è tornati a livelli comparabili con quelli degli anni pre-pandemici, il numero dei consumatori a rischio rimane altissimo: sono poco meno di 8 milioni, 7,7 per la precisione, di cui poco più di 5 milioni sono maschi e circa 2,5 milioni sono femmine. 

Il dato che senz’altro è più preoccupante è quello che indica in più di 1,3 milioni i giovani tra 11 e 25 anni di età che consumano a rischio, quindi ben oltre la dose moderata di cui abbiamo accennato sopra. Di questi, più della metà, oltre 600mila, sono minorenni. Che in teoria, dunque, non potrebbero acquistare alcol direttamente al bar o nei negozi. E che sono talvolta soggetti non solo a consumi sostenuti distribuiti ma anche a quello che viene definito binge drinking, l’assunzione di oltre 6 unità alcoliche in una unica giornata. Nella marea di dati disponibili presso l’Osservatorio, forse quello che più dovrebbe preoccupare è quello che indica le minorenni tra i 16 e i 17 anni come le consumatrici a rischio a più elevata frequenza (un terzo del totale), proprio in una fascia di età molto delicata dal punto di vista metabolico e ormonale, oltre che dello sviluppo cognitivo. L’interazione tra alcol ed elevata produzione di estrogeni, sostiene l’Osservatorio nelle sue schede informative, può aumentare sensibilmente il rischio di tumori al seno. 

L’immaginario associato all’alcol e il ruolo del marketing

Un ruolo chiave lo giocano anche le aziende produttrici, che fanno leva su un marketing ben preciso, che attribuisce al consumo di alcol tutta una serie di significati socio-culturali, di prestigio e di fascino, di condivisione e convivialità. Ma il ruolo delle aziende non è ininfluente anche sul piano della percezione dei rischi sanitari, data la loro tendenza a trasmettere messaggi rassicuranti e minimizzanti, quando non del tutto scorretti e pericolosi. Un trend già ben messo in luce nel caso di altre sostanze pericolose per la salute, come il tabacco o alcuni pesticidi, quando soprattutto negli Stati Uniti alcuni scienziati hanno deciso di mettere le proprie competenze al servizio di industrie potenti, contribuendo allo sviluppo di disinformazione nei confronti della comunità scientifica che allertava contro i rischi associati a quelle stesse sostanze, come ben racconta Naomi Oreskes, storica della scienza di Harvard, nel suo bellissimo libro Mercanti di dubbi. In chiave più pop, d’altro canto, l’impegno posto dalle aziende del tabacco per cercare di trovare una narrazione in favore dell’innocuità del vizio del fumo emerge anche in Mad Men, quando Don Draper, il creativo dell’agenzia pubblicitaria protagonista della serie Tv ambientata nell’America degli anni ‘60, cerca di trovare uno slogan per la vendita delle sigarette Lucky Strike che non faccia associare, nella mente del consumatore, fumo e rischio di cancro. Un rischio già ben provato in quegli anni a livello scientifico e che le aziende cercavano in tutti i modi di negare, arrivando perfino a creare un intero istituto di ricerca che lavorasse per loro. 

L’influenza delle aziende produttrici di alcol sulla ricerca nel campo dei potenziali effetti protettivi nei confronti di alcune specifiche condizioni cardiovascolari è ben documentata anche se diversi autori sottolineano la necessità di analisi e inchieste più approfondite per contrastare situazioni di conflitto di interesse simili a quella accertate nei decenni scorsi per gli studi sul tabacco. Molte evidenze esistono, in ogni caso, sul peso e l’interferenza delle aziende produttrici e delle loro azioni di lobby, sulle politiche di salute pubblica che mirano al controllo del consumo di alcol. Un intero brief dell’OMS (Snapshot series on alcohol control policies and practice) pubblicato nel 2021 passa in rassegna diversi casi in cui le lobby sono entrate in azione contro le misure anti-alcol applicate in diversi paesi, dalla questione delle diciture da mettere in etichetta, come nel recente e assai discusso caso dell’Irlanda, alle leggi contro il consumo di alcol in diverse situazioni collettive ad alto rischio, come ad esempio negli stadi. La questione non è affatto semplice, anche perché è indiscutibile che la produzione e vendita di alcol costituisca un settore economico di enorme importanza in alcune aree del mondo, incluso il nostro paese. 

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Al contempo, anche le campagne promosse dalle stesse aziende produttrici in favore del “bere responsabile” sono, secondo le istituzioni sanitarie, una mossa di marketing che nasconde i dati reali e minimizza i rischi. E che mette sulle spalle degli individui una responsabilità che è assai più ampia, sistemica addirittura. E dunque tende ad aumentare lo stigma nei confronti di quelle persone che sviluppano un problema di dipendenza da alcol invece di spostare il focus sul fatto che a livello sociale, e dunque nei diversi sistemi in cui viviamo, avrebbe assai più senso investire in politiche che limitino o azzerino il consumo di alcol e investano in salute, educazione, miglioramento delle condizioni di vita delle persone. 

In altre parole, sarebbe più sensato che si lavorasse a livello politico e sociale per disinnescare le ragioni che portano molti, se non tutti, a usare l’alcol come sfogo e come viatico per alleviare le fatiche della giornata, ragionando su uno stile di vita e un’organizzazione che renda meno necessario proprio lo sfogo stesso. Bere un bicchiere di vino può essere una scelta fatta con consapevolezza se si conoscono e accettano i rischi associati. Ma quello che va assolutamente contrastato, sostiene l’OMS in linea con le istituzioni sanitarie nazionali, è il consumo dannoso, incontrollato e inconsapevole. Per questo è stata lanciata una strategia globale, un vero Action Plan 2022-2030, che punta anche a obiettivi intermedi, come la riduzione del 10% dei consumi dannosi di alcol entro il 2025, aumentando al contempo i trattamenti farmacologici e bio-psico-sociali. Obiettivi che si integrano con quelli dello sviluppo sostenibile, in particolare con gli SDG incentrati sullo sviluppo sostenibile relativo a buona salute e benessere, e con la Risoluzione del Parlamento Europeo sulla lotta al cancro, l’”EU Beating Cancer Plan”, che prevede una strategia alcol zero per i minori, una maggiore regolamentazione del marketing e della pubblicità, con informazioni in etichetta (esattamente come ha previsto già l’Irlanda) e con una diminuzione della disponibilità fisica delle bevande alcoliche anche attraverso una politica adeguata dei prezzi e della tassazione. Un’azione a tutto campo, insomma. Per tentare di ridurre in modo significativo i danni, che abbiamo compreso essere molto consistenti, sui sistemi sanitari e sulla vita delle comunità umane. 

Immagine in anteprima via winespectator.com

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