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Usa, i due video di Kenosha che raccontano la violenza razzista della polizia e due sistemi di giustizia differenti

31 Agosto 2020 14 min lettura

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Usa, i due video di Kenosha che raccontano la violenza razzista della polizia e due sistemi di giustizia differenti

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7 settembre 2020: L'articolo è stato aggiornato aggiungendo il comunicato stampa della polizia di Kenosha.

 

 

Domenica 23 agosto un uomo afroamericano di 29 anni, Jacob Blake, è stato ferito gravemente da diversi proiettili sparati da un agente di polizia a Kenosha, nel Wisconsin.

Il ferimento di Blake è stato ripreso in un video circolato sui social media. Nelle immagini si vede il 29enne camminare verso un’automobile dove si trovavano tre dei suoi sei figli e aprire la portiera, mentre la polizia gli punta la pistola alle spalle. Un poliziotto lo afferra da dietro e lo trattiene per la maglietta con una mano, mentre con l'altra spara a distanza ravvicinata diversi colpi. Il padre di Blake ha detto al Chicago Sun-Times che il figlio ha otto fori nel corpo, e che è paralizzato dalla vita in giù. I medici non sanno ancora se potrà tornare a muoversi o se sarà una condizione permanente. Ciononostante, in un primo momento Blake è stato ammanettato al letto dell'ospedale.

La dinamica di quanto successo prima della sparatoria non è ancora chiara. La polizia ha dichiarato di essere intervenuta per sedare una lite domestica intorno alle 5 del pomeriggio di domenica. Secondo alcuni testimoni che hanno parlato con la testata locale Kenosha News, prima dell’intervento degli agenti, Blake, disarmato, stava provando a calmare un “alterco verbale” tra due donne. Anche i suoi avvocati hanno riferito che l’uomo era intervenuto per sedare un incidente domestico quando i poliziotti hanno estratto le armi.

Stando al comunicato stampa diffuso dalle forze dell'ordine, gli agenti sono stati inviati sul posto in seguito a una denuncia secondo la quale "Blake stava cercando di rubare le chiavi o il veicolo della persona" che aveva chiamato la polizia. Gli agenti "erano a conoscenza di un mandato per violenza sessuale nei confronti di Blake", il quale "non stava sedando una lite tra due donne quando la polizia è arrivata". La polizia contesta anche che l'automobile che si vede nel video della sparatoria sia di proprietà di Blake. Quest'ultimo "non era disarmato": aveva un coltello, che però gli agenti non hanno visto subito. La polizia ha inizialmente intimato verbalmente a Blake di fermarsi, ma l'uomo si è mostrato "poco collaborativo". Sempre secondo il comunicato ufficiale, gli agenti hanno poi provato a fermarlo con la forza e con il taser, ma lui ha resistito. Solo a quel punto avrebbero aperto il fuoco.

La famiglia Blake si è affidata all’avvocato per i diritti civili Benjamin Crump, lo stesso che rappresenta la famiglia di George Floyd. «Abbiamo visto tutti l’orrendo video in cui Jacob Blake viene colpito alla schiena molte volte dalla polizia di Kenosha», ha dichiarato il legale. «E cosa peggiore, i suoi tre figli hanno visto il padre collassare dopo essere stato crivellato di proiettili. Queste azioni irresponsabili, sconsiderate e inumane sono quasi costate la vita di un uomo che stava semplicemente cercando di fare la cosa giusta intervenendo durante una lite domestica. È un miracolo che sia ancora vivo».

Alla CNN Crump ha poi parlato ancora del fatto che nell'auto di Blake ci fossero i suoi tre figli: «Riuscite a immaginare i problemi psicologici che questi bambini avranno per il resto delle loro vite dopo aver visto il loro padre colpito molte volte alla schiena dalle persone che dovrebbero proteggerlo?»

Due giorni dopo la sparatoria, la famiglia Blake ha organizzato una conferenza stampa a Kenosha, chiedendo l’arresto dell’agente di polizia che ha esploso i colpi, e il licenziamento degli altri agenti coinvolti nell’operazione. «Gli hanno sparato sette volte, sette volte, come se non avesse importanza, Ma mio figlio ha importanza. È un essere umano, e conta», ha detto il padre di Blake.

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In un discorso che è circolato molto sui social, la sorella di Blake, Letetra Widman ha affermato di non essere “dispiaciuta” come molti le hanno detto di sentirsi in questi giorni: «Non sono triste. Non sono dispiaciuta. Sono arrabbiata. E sono stanca. Non ho pianto nemmeno una volta. Ho smesso di piangere anni fa. Sono diventata insensibile. Ho visto la polizia uccidere persone come me per anni».

Sin dalla sera del ferimento di Blake, a Kenosha si sono scatenate le proteste contro la violenza delle forze dell’ordine nei confronti degli afroamericani. Una folla di persone è radunata sul luogo della sparatoria e fuori dal quartier generale della polizia di Kenosha cantando “No justice, no peace”. In risposta, la contea ha dichiarato il coprifuoco notturno nel tentativo di reprimere le manifestazioni, mentre il governatore del Wisconsin Tony Evers ha anche attivato la Guardia Nazionale del Wisconsin per assistere le forze dell'ordine locali. La tensione era molto alta, diverse macchine sono state date alle fiamme, e i manifestanti hanno lamentato l’uso di gas lacrimogeni, proiettili di gomma e fumogeni da parte della polizia.

Le proteste si sono estese anche in altre città, tra cui Madison, Portland, Los Angeles, Minneapolis, New York e Seattle.

Gli atleti e le atlete della NBA e della WNBA - campionati maschili e femminili di basket – e del calcio statunitense si sono fermati e non hanno giocato le partite in programma per protestare contro il ferimento di Blake.

 

I due video e il doppio standard della polizia

Martedì sera a Kenosha, nel terzo giorno consecutivo di proteste, due persone sono morte e una è rimasta gravemente ferita dopo essere state colpite da proiettili sparati da un 17enne bianco armato di fucile appartenente a un gruppo di civili che si era organizzato per pattugliare le strade durante le manifestazioni.

Intorno alle 11 e 45 di sera – e quindi dopo l’orario del coprifuoco delle 8 - alcuni manifestanti si sono radunati intorno a un rifornimento di benzina. Lì si sono scontrati con un gruppo di uomini pesantemente armati che si auto-proclamavano milizie scese in strada per proteggere la stazione di servizio e le proprietà circostanti. Tra questi, c’era Kyle Rittenhouse, 17enne dell’Illinois, che ha aperto il fuoco con un fucile AR-15. Alcuni video lo ritraggono sparare quattro volte mentre è inseguito da un gruppo di persone e ne colpisce una alla testa. Un’altra persona viene colpita al petto, e un’altra al braccio. I tre stavano cercando di disarmarlo. 

Rittenhouse è stato fermato il giorno successivo della sparatoria, mercoledì pomeriggio, quando era già rientrato nella sua città, Antioch, e portato in carcere in Illinois con l’accusa di omicidio.

Il 17enne non è stato arrestato sul momento e anzi è stato praticamente ignorato dagli agenti mentre camminava verso di loro con le mani alzate, nonostante la gente intorno urlasse che aveva sparato.

Gli agenti si sono diretti ad assistere i feriti – due colpiti mortalmente, mentre uno è in condizioni “gravi ma non in pericolo di vita”.

Ma c’è un aspetto ancora più inquietante nelle sue relazioni con la polizia di quella sera. In un filmato girato circa 15 minuti prima della sparatoria – messo insieme dal team di Visual Investigations del New York Times – si vede Rittenhouse avvicinarsi a un veicolo delle forze dell’ordine e parlare con gli agenti. Uno di loro esce fuori e lancia bottiglie d’acqua verso gli uomini armati, mostrando un atteggiamento più che cordiale: «Apprezziamo quello che fate ragazzi. Davvero».

Rittenhouse, tra l'altro, non ha nemmeno l'età per possedere armi da fuoco. Eppure ha trasportato da Stato a Stato un fucile d'assalto (che è reato nel Wisconsin). Invece di fermarlo e chiedergli i documenti per accertarne l'età, la polizia gli ha offerto dell'acqua.

Questo comportamento da parte della polizia potrebbe non stupire più di tanto. Zack Beauchamp riporta su Vox un recente studio della sociologa dell’Università dell’Arizona Jennifer Carlson, che ha condotto decine di ore di interviste con 79 capi di polizia in tre Stati per capire meglio il rapporto con i civili armati. Quello che è venuto fuori è che queste figure tendono a vedere civili armati come degli alleati, a condizione che corrispondano a una serie di caratteristiche razziali.

I “bravi ragazzi con le pistole” erano tendenzialmente bianchi e della classe media. Questo, scrive Beauchamp, “ci aiuta a capire che quello che è successo a Kenosha non è un bug nel codice della polizia americana, ma una sua caratteristica. C’è una ragione per cui i manifestanti contro la violenza della polizia sono stati oggetto di repressione, mentre quelli armati contro il lockdown possono minacciare gli uffici del governo in Michigan senza incidenti”.

La polizia, aggiunge, “che è prevalentemente bianca, maschile e politicamente conservatrice, vede le armi come un flagello quando sono nelle mani sbagliate”. Le “mani sbagliate” solitamente sono nere o di persone appartenenti a minoranze. “Quando bianchi apparentemente rispettabili si armano, la polizia accoglie con favore il loro intervento – anche, o forse soprattutto, in una situazione di tensione dove il potenziale di escalation di violenza è molto alto”.

Il giorno dopo l'uccisione delle due persone, il capo della polizia di Kenosha Daniel Miskinis ha tenuto una conferenza stampa sull'accaduto, dicendo che la sparatoria non ci sarebbe stata se sia i manifestanti e che Rittenhouse non avessero violato il coprifuoco imposto alle 8 di sera. Per queste dichiarazioni e per tutta la gestione della sparatoria (compreso l'aver fraternizzato con le milizie armate) l'organizzazione non governativa American Civil Liberties Union (ACLU) ne ha chiesto le dimissioni.

Rittenhouse ha legami con le forze dell’ordine essendo un ex membro di vari programmi di formazione per giovani della polizia. Secondo il Washington Post il suo profilo Facebook – che non è più accessibile – pullulava di messaggi pro-forze dell’ordine (come “Blue Lives Matter”) e a favore delle armi. In un post del 2018 chiedeva ai suoi amici di donare per il suo compleanno all’organizzazione non-profit in difesa della polizia “Humanizing the Badge”. BuzzFeed News ha anche rinvenuto una foto di Rittenhouse a un raduno di Trump dello scorso gennaio, seduto in prima fila – e il suo supporto al presidente emerge dai suoi profili social, insieme a idee misogine e suprematiste.

Il 17enne si considerava membro di un gruppo di cittadini armati con l’obiettivo di difendere la proprietà privata e mantenere l’ordine. In un video registrato qualche ora prima della sparatoria, lo afferma lui stesso, mentre assieme a un altro uomo dice di proteggere un parcheggio: «Le persone vengono ferite, e il nostro lavoro è proteggere questa attività. E il mio lavoro è anche proteggere le persone. Se qualcuno è ferito, corro incontro al pericolo. Ecco perché ho il mio fucile: devo proteggermi, ovviamente. Ma ho anche il mio kit medico».

Piccoli gruppi di milizie armate si erano visti durante le proteste che si sono susseguite quest’estate dopo l’uccisione di George Floyd. Secondo Alex Friedfeld, analista investigativo per l'Anti-Defamation League, quello che è successo a Kenosha rappresenta uno dei peggiori esiti possibili. «Questo è lo scenario che ci preoccupava», ha detto.

Stando a quanto ricostruito dal Guardian, la grossa presenza di uomini armati martedì notte a Kenosha è legata a una “chiamata alle armi” della pagina Facebook Kenosha Guard, che aveva creato l’evento “Armed Citizens to Protect our Lives and Property”. La pagina è stata rimossa da Facebook mercoledì mattina – così come i profili social di Rittenhouse. Alcuni utenti, comunque, hanno raccontato a The Verge di averla segnalata anche precedentemente, ottenendo però la risposta che la pagina non infrangeva le regole del social network.

Josh Meyer scrive sul Washington Post che Trump continua a ignorare il problema costituito da membri delle milizie bianche pesantemente armati che si presentano alle proteste di Black Lives Matter con il dichiarato obiettivo di proteggere la proprietà privata e i civili: “È un grosso problema, che Trump lo faccia intenzionalmente o meno. E andrà solo peggio quando una delle più polarizzate e divisive campagne presidenziali della storia recente arriverà alla fine”. Meyer aggiunge che la polizia locale non è pronta o in grado di gestire questi membri delle milizie, che spesso si presentano con fucili d’assalto e vestiti in uniforme. A volte sono quasi indistinguibili dalle forze di polizia, altre sono accolti da queste. In ogni caso, grazie alle leggi sulle armi, le milizie non fanno nulla di illegale finché non premono il grilletto – e in quel caso è troppo tardi.

Il proposito di Trump di portare più agenti federali e la Guardia Nazionale nelle città americane “peggiorerà una situazione già estremamente instabile”, scrive Meyer. Anche perché questi gruppi armati si organizzano su Facebook, Instagram o altri spazi online, mentre i media conservatori aggiungono benzina sul fuoco.

Rittenhouse è stato salutato come un “eroe” dall’estrema destra americana e giustificato da esponenti e media conservatori. Il presentatore televisivo Tucker Carlson ha detto su Fox News che Rittenhouse “doveva mantenere l’ordine”, perché nessun altro l’avrebbe fatto.

La copertura degli stessi media hanno sminuito la sparatoria in cui è rimasto coinvolto Jacob Blake, parlando di “incidente” con la polizia o tirando fuori i precedenti dell’uomo. In questo tweet si vede la differenza di copertura dei due episodi da parte del New York Post (dello stesso proprietario della Fox). Il primo post si riferisce alla storia di Blake: "Jacob Blake aveva un coltello nella sua auto"; il secondo ritrae Rittenhouse "mentre pulisce dei graffiti prima della sparatoria".

Sabato il presidente Trump ha annunciato che il prossimo martedì sarà a Kenosha - notizia che rischia di far alzare ulteriormente la tensione. Lo stesso giorno, durante un'altra manifestazione di protesta nella città, il padre di Blake ha detto alla folla che non si sarebbero fermati: «Stiamo ancora soffrendo perché ci sono due sistemi di giustizia. Uno per il ragazzo bianco [Rittenhouse] che è sceso in strada e ha ucciso due persone e ha fatto saltare il braccio a un altro uomo. E poi ce n'è uno per mio figlio».

L'esistenza del doppio standard è rappresentata plasticamente nelle immagini dei due episodi - il ferimento di Blake, e gli spari di Rittenhouse. Uno dei legali della famiglia Blake ha parlato della vicenda di Kenosha come del "racconto dei due video": in uno si vede un poliziotto bianco che che spara ripetutamente alla schiena di un uomo nero; nell'altro, due giorni dopo, un ragazzino bianco armato con un fucile d'assalto cammina con le mani in alto verso la polizia dopo aver ucciso due persone, e non solo non viene arrestato, ma viene palesemente ignorato e non considerato come una minaccia.

«Ci sono questi due video da Kenosha in pochi giorni. E si vede questo giovane ragazzo bianco che uccide queste due persone e come la polizia allenta la tensione, seguono la loro formazione e professionalità», ha detto Crump, avvocato della famiglia Blake. «Quindi questo ci dice che la questione non è come allentare la tensione o la professionalità [della polizia], la questione è il razzismo».

Nella sua ricerca, la sociologa Jennifer Carlson elenca due tipi di atteggiamento che la polizia tiene nei confronti di civili in possesso di armi da fuoco: "gun militarism", ossia vedere queste persone come una minaccia per le vite dei poliziotti; oppure "gun populism", cioè la percezione di civili armati come "generatori di ordine sociale". Come fanno a convivere questi due atteggiamenti? Solitamente con riferimento all'uso legale o illegale delle armi da fuoco, ma il punto è che quando si parla di "criminali" il linguaggio utilizzato e l'immaginario sono molto stereotipati e razzializzati.

Nel novembre del 2014, ad esempio, agenti della polizia di Cleveland hanno sparato a bruciapelo, uccidendolo, a Tamir Rice, un ragazzino nero di 12 anni. Via radio i poliziotti l'avevano descritto come un uomo di "forse 20 anni" che teneva in mano una pistola. Che però era giocattolo.

"Il contrasto tra il trattamento della polizia nei confronti di Rice e di Rittenhouse non potrebbe essere più chiaro", scrive

Sabato c’è stata un’altra sparatoria, a Portland, in Oregon, dopo una notte di scontri tra un gruppo di supporter di Trump e manifestanti contro la violenza della polizia. Non si sa ancora moltissimo su quanto accaduto: la vittima dovrebbe essere un uomo bianco, e indossava un cappellino con il logo del gruppo di estrema destra Patriot Prayer – che nel passato si è reso protagonista di scontri e provocazioni a manifestazioni contro la violenza delle forze dell’ordine. Per il momento la polizia di Portland non ha detto se la morte dell’uomo sia legata agli scontri o meno.

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Nel corso della giornata i sostenitori di Trump avevano guidato una carovana di veicoli nel centro della città, e si erano scontrati con i manifestanti. Alcuni video mostrano i mezzi che sventolano bandiere inneggianti a Trump e alla polizia mentre passano in mezzo alle persone per strada e spruzzano spray al peperoncino per farsi spazio.

Una settimana fa a Portland c'erano stati altri scontri tra gruppi di estrema destra e manifestanti antirazzisti. In quell'occasione, scrive il Washington Post, la polizia "era rimasta a distanza, anche se le persone si picchiavano con dei bastoni e almeno due appartenenti all'estrema destra brandivano pistole".

Le proteste di Black Live Matters non si sono mai fermate

A Portland, teatro della sparatoria di sabato, le proteste contro la violenza della polizia e le ingiustizie subite dalle persone nere vanno avanti da più di 90 notti consecutive. Sono iniziate dopo la morte di George Floyd lo scorso maggio, e hanno preso nuova linfa dopo il ferimento di Jacob Blake.

In generale, le rivendicazioni del movimento Black Lives Matter non si sono mai fermate. Secondo il New York Times ci sono state oltre 70 proteste a settimana questo mese – e cioè a due mesi dall’omicidio di Floyd – stando al Count Love database, che viene compilato con le notizie prese dai media. E questo nonostante l’attenzione mediatica e politica sia scemata nelle ultime settimane. Ma se il movimento non si è fermato è anche perché le rivendicazioni che porta avanti riguardano un problema endemico.

Il modo in cui i media coprono eventi come la morte di George Floyd e le proteste che sono seguite, e il modo in cui il pubblico bianco digerisce questi eventi crea l’impressione che si tratti di episodi individuali – che si verificano in un contesto, certo, ma in fin dei conti con date di inizio e fine. Secondo questa concezione, l’America ha fatto i conti con la giustizia razziale all’inizio di questa estate, e poi è andata avanti”, scrive David Graham su The Atlantic. Il ferimento di Jacob Blake mostra quanto questa visione sia miope.

Tra l’altro, non tutte le storie di violenza della polizia e ingiustizia razziale diventano casi mediatici. Secondo Human Rights Campaign, ad esempio, almeno cinque donne nere transessuali sono state uccise a luglio, ma nessuno dei loro nomi è stato a lungo su giornali e TV.

Jon Allsop afferma su Columbia Journalism Review che le ragioni per cui alcuni di questi casi ottengono più copertura di altri – stereotipi che fanno provare più empatia nei confronti di una vittima, la presenza di un video, quali altre notizie ci sono in quella giornata - sono numerosi e la disparità che ne deriva è in fin dei conti arbitraria: “Tuttavia, è sorprendente come anche una costante attenzione nazionale verso la violenza della polizia contro i neri non sia sufficiente a garantire un cambiamento radicale nella politica o nella pratica americana”.

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Un governo che sia tale e i media “dovrebbero essere in grado di gestire le priorità contemporaneamente – dopo tutto, questa è la realtà che viviamo. Più a lungo le nostre istituzioni temporeggeranno, più persone nere moriranno. È un miracolo che Blake sia vivo”.

Venerdì a Washington decine di migliaia di persone hanno partecipato alla marcia “Get Your Knee Off Our Necks” (“Togli il tuo ginocchio dal mio collo”, rievocando la posizione assunta dai poliziotti sul corpo agonizzante di George Floyd), 57 anni dopo celebre discorso di Martin Luther King nel 1963. «Per troppo tempo, vi siete comportati come se non avessimo importanza», ha detto alla folla il Reverendo Al Sharpton, tra gli organizzatori della marcia annunciata già lo scorso giugno, ai funerali di Floyd. «Dicono ‘Tutti valgono’. Ma non tutti hanno lo stesso valore in America. La ragione per cui dobbiamo ancora dire ‘Black Lives Matter’ è che riceviamo meno assistenza sanitaria, come se noi non valessimo. Andiamo in carcere per più tempo per gli stessi reati, come se noi non valessimo... Le vite nere valgono, e non ci fermeremo finché non varrà per tutti».

(Immagine anteprima  via denny_ow)

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