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Variante Delta, vaccinazione eterologa, vaccinare i minorenni: cosa sappiamo

18 Giugno 2021 22 min lettura

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Variante Delta, vaccinazione eterologa, vaccinare i minorenni: cosa sappiamo

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di Angelo Romano e Andrea Zitelli

Variante Delta, vaccinazione eterologa, vaccinare i più giovani: in queste settimane sono emerse diverse questioni sullo stato della pandemia e sulla campagna vaccinale in atto. Quanto è contagiosa e pericolosa è la cosiddetta variante Delta? I vaccini riusciranno ad arginarla? O saranno necessari ulteriori richiami? AstraZeneca è sicuro al di sotto dei 60 anni? È sicuro ed efficace combinare vaccini diversi tra prima e seconda dose? I minori vanno vaccinati? In questo approfondimento abbiamo fatto il punto della situazione. 

Che cos’è la variante Delta?
AstraZeneca e la vaccinazione eterologa: qual è la strategia vaccinale in Europa?
Vaccinazione eterologa: cosa dicono le ricerche fin qui pubblicate?
I minori vanno vaccinati?

Che cos’è la variante Delta?

La cosiddetta variante Delta è stata rilevata per la prima volta in India nel 2020. Include una serie di mutazioni la cui presenza contemporanea desta preoccupazione per la potenziale maggiore trasmissibilità e per il rischio di reinfezioni.

L’11 maggio è stata classificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come variante di preoccupazione. Attualmente, secondo quanto comunicato sempre dall’OMS lo scorso 16 giugno, si è diffusa in 80 paesi in tutto il mondo e potrebbe diffondersi sempre di più nel momento in cui molti paesi allenteranno le misure di distanziamento fisico e consentiranno incontri e spostamenti oltre confine.

Attualmente, la variante Delta è prevalente nel Regno Unito, dove rappresenta oltre il 91% dei casi di COVID-19, è in crescita negli Stati Uniti (10% dei casi, il 6% in più rispetto a una settimana fa), circola di più anche in Italia. 

Secondo l’ultima indagine di prevalenza delle varianti pubblicata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) il 18 maggio, la variante Delta era stimata intorno all’1% (in particolare nel Lazio, 3,4%; in Sardegna, 2,9%; in Lombardia, 2,5%). Nell'ultima settimana, come rilevato dalla Fondazione GIMBE nel suo rapporto settimanale, la variante è stata isolata in due focolai a Milano e Brindisi, segno di una sua maggiore diffusione sul territorio nazionale. Da aprile sono stati registrati casi: Lombardia (81), Veneto (50), Puglia (28), Emilia-Romagna (15), Sardegna (12), Umbria (6) e Alto Adige (uno). In Sicilia, dieci migranti provenienti dal Bangladesh e sbarcati a Lampedusa (Sicilia) sono risultati positivi alla mutazione Delta. Su 881 sequenze depositate sul database internazionale GISAID nelle ultime quattro settimane, il 5,9% (52) corrispondono alla variante delta. Qui la mappa con la diffusione della variante su GISAID.

È più contagiosa?

Secondo le stime del governo britannico, dove è stata rilevata la prima volta a febbraio, la variante Delta è circa il 60% più trasmissibile della variante Alpha (la cosiddetta variante inglese), a sua volta stimata tra il 43% e il 90% più contagiosa della versione precedenti di SARS-CoV-2.

Secondo alcuni studi alcune piccole modifiche nella proteina spike potrebbero aumentare la capacità della variante Delta di agganciarsi al recettore ACE2, utilizzato per entrare nelle cellule umane, e stando a un’altra ricerca, non ancora sottoposta a revisione paritaria, una particolare mutazione potrebbe migliorare la sua capacità di fondersi con le cellule umane. Se il virus riesce ad agganciarsi e a fondersi più facilmente, è in grado di infettare più cellule e riesce a sopraffare meglio le nostre difese immunitarie.

Oltre a queste mutazioni, riporta National Geographic, uno studio recente, non sottoposto a revisione paritaria, mostra una variazione alla proteina spike che consentirebbe alla variante Delta di sfuggire ad anticorpi neutralizzanti deboli. Questa mutazione è diventata sempre più comune anche nelle varianti SARS-CoV-2 negli Stati Uniti, in Messico e in Europa dall'inizio del 2021.

Quali sono i sintomi?

Stando a quanto rilevato da studi svolti nel Regno Unito e nel sud-est della Cina, dove la variante si sta diffondendo, i sintomi principali potrebbero essere leggermente diversi. I dati raccolti dallo studio Zoe Covid Symptom, i cui partecipanti tengono traccia dei loro sintomi quotidiani tramite un’app per smartphone, hanno suggerito che la tosse e la perdita dell’olfatto sono diventati due eventi più rari. Il sintomo più riportato è il mal di testa, seguito da mal di gola, naso che cola e febbre. “Il rischio è che i più giovani – che hanno già meno probabilità di sviluppare malattie gravi – possano avere maggiori probabilità di scambiare tali sintomi per un brutto raffreddore e non autoisolarsi, migliorando ulteriormente la diffusione di Delta”, ha affermato il professor Tim Spector, che sta conducendo lo studio.

In Cina, i medici hanno riferito che le condizioni dei pazienti peggiorano più velocemente rispetto alle persone prese in cura all’inizio della pandemia.

È più pericolosa?

Secondo uno studio scozzese pubblicato su Lancet il 14 giugno, la variante Delta è associata a un rischio ospedaliero quasi il doppio rispetto alla variante Alpha. Lo studio ha esaminato i dati di 19.543 casi di COVID-19 e 377 ricoveri segnalati in Scozia tra l’1 aprile e il 6 giugno 2021. L’epidemiologo Eric Feigl-Ding ha stimato un rischio di ricovero quattro volte maggiore rispetto alla prima versione rilevata di SARS-CoV-2.

Riguardo ai decessi, non ci sono dati sufficienti per fare comparazioni sistematiche e giungere a conclusioni. Al 14 giugno, riporta Gavi Alliance, il Regno Unito aveva registrato 42 decessi tra le persone infette dalla variante Delta. Di questi, 23 erano persone non vaccinate, sette avevano ricevuto una prima dose di vaccino e dodici completamente vaccinati. Tuttavia, coloro che hanno ricevuto due dosi di vaccino nel Regno Unito tendono a essere i più anziani e le persone con più patologie, e questo rende difficile esaminare l'impatto attuale della variante Delta sui tassi di mortalità.

I vaccini sono efficaci?

Sempre lo studio scozzese pubblicato su Lancet suggerisce che le persone vaccinate hanno meno probabilità di essere ricoverate in ospedale pur contraendo la variante Delta rispetto ai non vaccinati. A due settimane di distanza dalla seconda dose, prosegue la ricerca, il vaccino Pfizer & BioNTech sembra fornire il 79% di protezione contro l'infezione con la variante Delta (è il 92% contro la variante Alpha).

Il 15 giugno il Public Health England (PHE) ha pubblicato nuovi dati in pre-print secondo i quali due dosi del vaccino AstraZeneca sono efficaci al 92% contro i ricoveri dovuti alla variante Delta (86% contro i ricoveri per la variante Alpha) e al 64% contro la malattia sintomatica (74% contro la variante Alpha). Il vaccino Pfizer & BioNTech è risultato efficace all'88% contro la malattia sintomatica della variante Delta (94% contro la variante Alpha) due settimane dopo la seconda dose e al 96% nel prevenire l’ospedalizzazione (95% contro i ricoveri per la variante Alpha). 

Inoltre, sempre nel caso della variante Delta, quattro settimane dopo la prima dose, il vaccino AstraZeneca offre una protezione di circa il 30% contro la malattia sintomatica ed è efficace al 71% contro i ricoveri (76% nei ricoveri per variante Alpha), mentre il vaccino Pfizer offre una protezione di circa il 36% contro la malattia sintomatica ed è efficace al 94% contro i ricoveri ospedalieri (83% nei ricoveri per variante Alpha). Entrambi i vaccini offrivano una protezione di quasi il 50% con una dose rispetto alla malattia sintomatica legata alla variante Alpha.

Cosa dobbiamo fare?

Solo quando avremo dati più solidi sulla diffusione della variante Delta, sulla risposta dei vaccini e sulla capacità degli anticorpi di neutralizzare il virus dopo la dose di richiamo, sapremo se dovremo ricorrere a ulteriori richiami. 


Come ha commentato su Twitter la virologa Angela Rasmussen e ha osservato anche il direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIHAID), Anthony Fauci, la strada maestra è vaccinare con due dosi quante più persone possibile e continuare ad avere tutte le precauzioni finora adottate per prevenire le infezioni e la circolazione del virus.

AstraZeneca e la vaccinazione eterologa: qual è la strategia vaccinale in Europa?

Dopo l’autorizzazione all'immissione in commercio condizionata arrivata negli scorsi mesi da parte dell’Ema (cioè l’Agenzia europea per i medicinali), attualmente in Europa possono essere somministrati contro la COVID-19 quattro vaccini: Pfizer, Moderna, AstraZeneca e il vaccino Janssen prodotto da Johnson & Johnson. Tutti questi vaccini autorizzati nell'Unione Europea possono essere utilizzati in persone di età pari o superiore a 18 anni, ad eccezione  del vaccino Pfizer il cui utilizzo è stato esteso a fine dello scorso maggio anche ai ragazzini e ragazzine dai 12 ai 15 anni. 

Come riporta un rapporto pubblicato il 14 giugno sulle strategie vaccinali in atto in Europa, redatto dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), complessivamente, da dicembre 2020 – inizio della campagna vaccinale in Europa – all’11 giugno 2021, Pfizer rappresenta il 67,3% del totale delle dosi distribuite ai paesi dell'UE tramite la strategia vaccinale della Commissione europea, AstraZeneca il 19,5%, Moderna il 9,6% e J&J il 3,3%.

Numero assoluti e percentuali dei cittadini europei che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino e quelli che hanno fatto la vaccinazione completa. Dati: ECDC, 14 giugno 2021

In Ue, però, le strategie delle campagne vaccinali non sono tutte uguali. Sempre l’ECDC riporta che ventuno paesi raccomandano determinati vaccini in base a determinati target e/o all’età delle persone. Tre paesi hanno invece sospeso la somministrazione dei vaccini a vettore virale (cioè AstraZeneca e J&J) contro la COVID-19: in Danimarca, AstraZeneca e J&J non vengono più utilizzati nella campagna vaccinale; la Norvegia ha sospeso la somministrazione di AstraZeneca ai propri cittadini, mentre per quanto riguarda J&J il governo ha recentemente deciso che sarà offerto al di fuori del programma di vaccinazione, cioè se i cittadini lo vorranno potranno ricevere questo vaccino; in Svezia, infine, il vaccino J&J non viene utilizzato

Si tratta di decisioni prese dalle autorità sanitarie dopo le notizie di possibili rari casi di eventi avversi sviluppati in alcune persone (tendenzialmente giovani donne) dopo la somministrazione dei vaccini a vettore virale, in particolare dopo l’utilizzo del vaccino AstraZeneca. Ad aprile l’EMA, dopo un’analisi approfondita su 62 casi di trombosi cerebrale e 24 dell'addome (18 dei quali fatali), riportati al 22 marzo 2021 nel database sulla sicurezza dei farmaci dell'UE (EudraVigilance), aveva valutato un possibile legame “tra alcuni casi estremamente rari di trombosi e la somministrazione del vaccino prodotto da AstraZeneca”. Questi casi, proseguiva EMA, “dovrebbero essere elencati come effetti collaterali molto rari di Vaxzevria (ex COVID-19 Vaccine AstraZeneca)”. L’Agenzia aveva tuttavia ribadito che i benefici offerti dal vaccinazione erano superiori ai rischi degli effetti collaterali, ricordando che il vaccino riduce il rischio di ospedalizzazione e morte a causa della COVID-19. Una posizione ribadita dall’agenzia nei giorni scorsi: «Questa è la situazione: il rapporto rischi/benefici del vaccino AstraZeneca è positivo e rimane autorizzato per tutte le popolazioni». 

Analizzando nel dettaglio il quadro a livello europeo, si vede però che, al di là del parere dell’EMA, i paesi hanno preso decisioni differenti sui gruppi di persone a cui somministrare AstraZeneca. In Belgio e in Francia questo vaccino è raccomandato alle persone con un’età maggiore dei 55 anni, in Estonia e in Finlandia alle persone sopra i 50 anni, in Germania, in Olanda, in Portogallo e in Spagna a persone sopra i 60 anni, in Svezia a quello sopra i 65 anni, in Irlanda alle persone tra i 50 e i 69 anni (non viene raccomandato alle donne incinte, come in Lettonia), in Polonia alle persone sotto i 69 anni, in Bulgaria è sconsigliato a donne sotto i 60 anni con una storia di trombocitopenia, mentre a Malta è raccomandato alle persone tra i 18 anni e i 70 anni e in Grecia a quelle maggiori di 30 anni. 

In Italia a inizio del 2021, l’AIFA aveva autorizzato il vaccino AstraZeneca per la prevenzione della malattia COVID-19 preferenzialmente per la popolazione tra i 18 e 55 anni e senza patologie gravi. A metà marzo, dopo la segnalazioni di rari possibili gravi reazioni avverse al vaccino, l’Agenzia italiana del farmaco ha deciso di sospendere “in via del tutto precauzionale e temporanea, in attesa dei pronunciamenti dell’EMA, il divieto di utilizzo del vaccino AstraZeneca”. Dopo la posizione dell’EMA che confermava il favorevole rapporto rischi/benefici, l’AIFA ha riavviato le somministrazioni del vaccino in Italia. Il giorno Dopo l'analisi pubblicata ad aprile dall'EMA, il Ministero della Salute ha diramato una circolare in cui si leggeva che “ribadendo che il vaccino AstraZeneca è approvato a partire dai 18 anni di età, sulla base delle attuali evidenze, tenuto conto del basso rischio di reazioni avverse di tipo tromboembolico a fronte della elevata mortalità da COVID-19 nelle fasce di età più avanzate, si rappresenta che è raccomandato un suo uso preferenziale nelle persone di età superiore ai 60 anni” (in Italia anche il vaccino di J&J è raccomandato per un uso preferenziale per le persone con più di 60 anni). Dopo questa raccomandazione, però, le Regioni hanno continuato a somministrare (con numeri diversi) il vaccino in questione agli under 60, organizzando anche degli “open days” per i più giovani. Il 10 giugno una ragazza di 18 anni ligure muore dopo una trombosi al seno cavernoso. Era stata vaccinata con AstraZeneca il 25 maggio nell'open day per gli over 18. Sul caso è in atto un’indagine della magistratura. 


Il giorno successivo alla morte della ragazza, il Ministero della Salute emana una circolare in cui dichiara che il vaccino AstraZeneca venga somministrato “solo a persone di età uguale o superiore ai 60 anni (ciclo completo)”, mentre per quelle under 60, “che hanno ricevuto la prima dose di tale vaccino, il ciclo deve essere completato con una seconda dose di vaccino a mRNA (Comirnaty o Moderna), da somministrare a distanza di 8-12 settimane dalla prima dose”. 

Questa pratica di utilizzare vaccini diversi tra le prima e la seconda dose, chiamata vaccinazione eterologa, è in uso in un certo numero di paesi in UE, spiega in un altro rapporto di giugno l’ECDC: “Dopo casi di trombosi con sindrome da trombocitopenia a seguito della vaccinazione con AstraZeneca, alcuni paesi hanno iniziato a raccomandare una seconda dose di un vaccino mRNA”. Tra questi ci sono ad esempio Francia, Germania, Spagna. Fuori dall’Europa, la vaccinazione eterologa viene effettuata (o sperimentata) in Bahrain, Canada, Cina, Russia, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti.

Vaccinazione eterologa: cosa dicono le ricerche fin qui pubblicate?

Il ricorso alla vaccinazione eterologa da parte di molti Stati europei ha suscitato un dibattito molto vivo tra esperti e non. Utilizzare due vaccini diversi, uno per la prima dose e un altro per la seconda, è sicuro ed efficace? I vantaggi di questa scelta sono superiori ai rischi? Gli studi finora a disposizione sono scientificamente robusti? Va lasciata libertà di scelta alle persone? Sono queste le domande che hanno animato la discussione pubblica.

Come funziona? 

La vaccinazione eterologa consiste nel variare la tipologia di vaccino usato nella prima e nella seconda somministrazione. Non è la prima volta che si tenta di combinare e abbinare vaccini diversi per indurre una risposta immunitaria adeguata, con risultati a volte positivi (come nel caso di un vaccino promettente per Ebola, dello pneumococco e della poliomielite), a volte ancora vani (come per le sperimentazioni in corso per contrastare l’HIV).

In questo caso, alcuni gruppi di ricerca hanno cercato di vedere se è possibile abbinare la prima dose con il preparato AstraZeneca (che induce la risposta del sistema immunitario utilizzando un adenovirus di scimpanzé reso innocuo e modificato) e la seconda con quello Pfizer-Biontech (che trasporta direttamente nelle cellule le istruzioni per riconoscere e contrastare SARS-CoV-2 senza usare come vettore un adenovirus), e in seguito fare eventuali richiami con altri vaccini. 

È sicura?

Finora sono stati pubblicati cinque studi: uno condotto nel Regno Unito e presentato a metà maggio sulla rivista The Lancet, uno in Spagna e tre in Germania, pubblicati in pre-print e quindi non soggetti ancora a revisione paritaria. Tutti gli studi concordano nel sostenere che l’uso di due vaccini diversi non comporta reazioni avverse particolari.

Nello studio svolto nel Regno Unito (che ha coinvolto 830 adulti sopra i cinquant’anni scelti a caso per ricevere prima una dose di Pfizer-Biontech e poi una di AstraZeneca, o viceversa) si è osservato che le persone che hanno ricevuto vaccini diversi hanno avuto una maggiore probabilità di avere effetti collaterali lievi e moderati (brividi, affaticamento, febbre, mal di testa, dolori articolari, malessere, dolori muscolari e dolore sul punto di iniezione) dopo la seconda dose rispetto al gruppo a cui è stato somministrato lo stesso vaccino. Tuttavia, si è trattato di reazioni di breve durata e i seppur limitati dati ematologici e biochimici a disposizione non hanno destato preoccupazioni. Successivamente i ricercatori hanno approfondito lo studio per capire se l’uso preventivo e regolare del paracetamolo riduca la frequenza degli effetti collaterali. Entro fine giugno sono attesi i nuovi risultati. 

A risultati simili è giunto anche lo studio CombivacS, condotto in Spagna lo scorso aprile su 673 persone, di cui a 448 è stata somministrata una dose di Pfizer & BioNTech otto settimane dopo aver ricevuto una dose di AstraZeneca e a 232 (gruppo di controllo) è stata data la sola prima dose di AstraZeneca, e presentato a metà maggio dall’Istituto Superiore di Sanità Carlos III (ISCIII). Secondo i risultati della ricerca, pubblicati a fine maggio in pre-print, la maggior parte degli effetti collaterali è stata lieve o moderata e di breve durata (da due a tre giorni) e del tutto simile a quelli derivanti dall’assunzione di due dosi dello stesso vaccino.

È efficace?

Secondo gli studi pubblicati finora la risposta immunitaria con la vaccinazione eterologa sembra essere migliore di quella ottenuta con due dosi di AstraZeneca, anche se si tratta di osservazioni fatte su campioni ancora troppo piccoli. Sono le conclusioni a cui sono giunti lo studio CombivacS in Spagna e le tre ricerche svolte in Germania.

A metà giugno, l’Università della Saarland, in Germania, ha pubblicato i risultati preliminari della sua ricerca che ha coinvolto 250 persone. Chi ha ricevuto il vaccino Pfizer come seconda dose ha prodotto anticorpi dieci volte maggiori di chi ha ricevuto solo AstraZeneca. Ora i ricercatori dell’Università della Saarland svolgeranno studi più approfonditi per capire qual è la risposta del sistema immunitario in relazione all’età e al sesso dei pazienti e cercheranno di capire quali combinazioni possono innescare effetti collaterali più gravi.

All’inizio di giugno erano stati pubblicati, sempre in pre-print, i risultati di altri due studi, coordinati rispettivamente da Leif Erik Sander, esperto di malattie infettive presso l'ospedale universitario Charité di Berlino, e dal Janis Muller, dell’Università di Ulm.

La ricerca condotta da Sander ha rilevato che 61 operatori sanitari sottoposti a vaccinazione eterologa hanno sviluppato in 10-12 settimane cellule T – quelle che hanno il compito di eliminare le cellule infettate – in numero leggermente superiore a quelle sviluppate in 3 settimane dal gruppo di controllo che ha ricevuto due dosi di Pfizer. A risultati simili è giunto anche il gruppo dell’Università di Ulm che ha interessato, però, un campione più piccolo. 

Va precisato che – sottolinea Lorenzo Ruffino su Pagella Politica – “questi studi non sono stati progettati per valutare la protezione effettiva contro la COVID-19”, come fatto nelle sperimentazioni di fase 3 dei diversi vaccini autorizzati dalle agenzie del farmaco, ma “si basano sulla misurazione del livello degli anticorpi e delle cellule T dopo la somministrazione del vaccino”. Tuttavia, come ha evidenziato un articolo pubblicato su Nature a maggio, il livello degli anticorpi neutralizzanti prodotti con la vaccinazione eterologa potrebbe corrispondere alla protezione reale effettiva. 

Sono maggiori i vantaggi o gli svantaggi?

Se gli studi futuri dovessero confermare quanto rilevato dalle ricerche finora svolte, la vaccinazione eterologa potrebbe garantire una risposta più efficace contro il nuovo coronavirus e garantire ulteriori vantaggi in prospettiva futura.

Nello specifico, scrive Gretchen Vogel su Science, la combinazione di due vaccini diversi potrebbe fornire al sistema immunitario più modi per riconoscere e reagire a un agente patogeno. Se da un lato, “i vaccini mRNA sono davvero, davvero bravi nell'indurre risposte anticorpali”, dall’altro “i vaccini basati sui vettori [ndr, come quello sviluppato da AstraZeneca] sono migliori nell'innescare le risposte delle cellule T”, spiega sempre a Science Eric Sander, coordinatore di uno degli studi svolti in Germania sulla vaccinazione eterologa AstraZeneca/Pfizer. Tuttavia, ha spiegato a Science Matthew Snape, esperto di vaccini dell’Università di Oxford, per quanto i risultati siano promettenti, andrà appurato se la migliore risposta rispetto alle cellule T sia stata determinata da intervalli più lunghi tra una dose e l’altra o della combinazione di vaccini diversi. 

A più lungo termine la possibilità di fare due vaccini diversi potrebbe consentire di avere una maggiore flessibilità con i programmi vaccinali e “di rispondere meglio ai limiti dell’offerta globale”, osservano Fiona Russell e John Hart su The Conversation [ndr, qui la traduzione su Internazionale]. “Se manca un vaccino, invece di interrompere l’intero ciclo per attendere la fornitura delle dosi, si può continuare con un vaccino diverso, indipendentemente da quale sia stato somministrato come prima dose”, e “se un vaccino si rivelasse meno efficace di un altro contro una determinata variante, i programmi mix and match potrebbero garantire che chi ha ricevuto la prima dose di un vaccino con un’efficacia bassa può ottenere un richiamo con un prodotto più efficace contro la variante”.

Alcuni esperti hanno, però, invitato alla cautela e obiettato sulle modalità attraverso le quali i diversi enti regolatori hanno autorizzato la vaccinazione eterologa. Nella ricerca di un vantaggio presunto e immediato, si potrebbe rischiare di far perdere fiducia (e autorevolezza) nei processi regolatori e nel metodo scientifico, qualora a lungo termine le cose non dovessero andare come sperato e gli effetti collaterali dovessero rivelarsi maggiori.

“Perché si sta seguendo una strada che potremmo imboccare con tranquillità, una volta terminata la sperimentazione clinica in corso, incamminandoci invece in anticipo al buio, nonostante disponiamo di tutte le dosi di vaccino necessarie a completare il percorso vaccinale come approvato dagli enti regolatori a suo tempo sulla base di clinical trial rigorosi? Come sarà possibile difendere, domani, il ruolo del percorso regolatorio, dei dati, dell’evidenza scientifica, se persino l’AIFA, il ministero, il Comitato tecnico scientifico e un variegato insieme di singoli ricercatori non si avvedono che ne stiamo negando l’importanza in nome dell’emotività e del supino compiacimento dei politici e dell’opinione pubblica?”, si chiede su Il Foglio il biologo Enrico Bucci.

“La decisione di approvare la strategia combinata con prima dose di AstraZeneca e seconda di un vaccino a mRna si basa su dati promettenti ma molto preliminari. Piuttosto che gestire e comunicare il rischio, si è preferito seguire l'emozione”, ha commentato su Twitter la giornalista scientifica Roberta Villa. Che poi in un articolo su Wired, si chiede: “A chi ci ascoltava abbiamo spiegato che le evidenze scientifiche possono cambiare nel tempo, ma in ogni momento sono l’appiglio più solido che abbiamo. (...) Se i dati non contano più nulla, se i trattamenti non devono provare sicurezza ed efficacia (e non per una situazione di necessità, ma per scelta)”, vuol dire che “era tutto uno scherzo? Non abbiamo capito niente noi?"


Inoltre, aggiunge in un’intervista a La Stampa, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, c’è una questione giuridica. “La circolare del Ministero impone un vaccino a mRNA come seconda dose, però la determina AIFA in Gazzetta Ufficiale parla di possibilità. Occorre una nota congiunta di Ministero e AIFA per chiarire”, spiega Cartabellotta, considerato che “la legge 648 prevede il consenso informato che lascia al paziente la libertà di decidere” e si corre il rischio di “lasciare il medico con il cerino in mano”. Alla luce dei dati a disposizione, conclude il presidente della Fondazione GIMBE, la vaccinazione eterologa dovrebbe essere un’opzione, non una scelta obbligata.

Sulla questione è intervenuto anche Marco Cavaleri, responsabile della strategia vaccinale dell'Agenzia Europea del Farmaco (EMA). “Abbiamo dati limitati sul mix di vaccini contro la COVID-19 ma alcuni studi preliminari mostrano che la risposta immunitaria sia soddisfacente e non emergono problemi per quanto riguarda la sicurezza”, ha detto Cavaleri. “Sembra che sia una strategia che potrebbe essere adottata. Ma dobbiamo ancora raccogliere tutte le informazioni. Dal punto di vista dell'EMA non è facile in questo momento fornire una raccomandazione a causa dei dati limitati”.

In sintesi, alla luce dei pochi dati disponibili non sono emersi elementi che destano preoccupazione. Gli esiti degli studi sono promettenti e sembrano fornire “un supporto scientifico alla decisione politica degli Stati di usare due vaccini”, seppure fondati su dati preliminari.

I minori vanno vaccinati?

A fine maggio l’EMA ha raccomandato l’utilizzo del vaccino Pfizer per i ragazzi tra i 12 e 15 anni (questo vaccino era già stato approvato per gli adulti e gli adolescenti a partire dai 16 anni di età). Nella sua valutazione l’Agenzia europea riporta che lo studio, “a causa del numero limitato di bambini inclusi” (2.260 ragazzi di età compresa tra 12 e 15), non avrebbe potuto rilevare effetti collaterali rari". L’EMA ha comunicato anche di star valutando casi molto rari di miocardite (infiammazione del muscolo cardiaco) e pericardite (infiammazione della membrana intorno al cuore) che si sono verificati dopo la vaccinazione con Pfizer, principalmente in persone di età inferiore a 30 anni, ma che attualmente non ci sono indicazioni che questi casi siano dovuti al vaccino. Per l’EMA, però, i benefici del vaccino nei ragazzi di età compresa tra 12 e 15 anni superano i rischi, in particolare in coloro che rischiano di contrarre una forma grave della COVID-19. La raccomandazione per vaccinare i ragazzi a partire dai 12 con Pfizer è arrivata anche dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) negli Stati Uniti d’America. Nel comunicato si legge che “sebbene i bambini si infettino meno rispetto agli adulti, i ragazzi possono comunque infettarsi con il virus che provoca la COVID-19, ammalarsi e diffondere il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 alle altre persone”. 

Ma sull’opportunità della vaccinazione ai più giovani in questo momento della pandemia c’è un dibattito aperto in diversi paesi, spiega il Centro europeo per la prevenzione e il controllo, con ad esempio la possibilità di vaccinare per il momento solo ragazzi che presentano fattori di rischio. Ad esempio in Germania, lo scorso 10 giugno, la Commissione permanente per le vaccinazioni (Stiko) del Robert Koch Institut (organizzazione responsabile per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive nel paese) ha raccomandato l’uso del vaccino Pfizer nei bambini e negli adolescenti con malattie pregresse a causa di un possibile aumento del rischio di contrarre un forma grave COVID-19, mentre non è attualmente raccomandato per i ragazzi di età compresa tra 12 e 17 anni senza precedenti malattie.

Dopo il via libera dell’EMA, anche In Italia è arrivata l’approvazione dell’AIFA per il vaccino Pfizer alla fascia di età 12-15 anni. Per ora le Regioni in Italia stanno procedendo con tempistiche differenti nella vaccinazione delle fasce della popolazione. Ad esempio, il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha dichiarato: «Voglio aspettare un po’, perché vedo ancora troppe opinioni diverse nella comunità scientifica. Per evitare di assistere a quello che abbiamo vissuto con AstraZeneca preferisco che si stabilizzino le opinioni, avere maggiori garanzie sul fatto che i vaccini a Rna messaggero si possano utilizzare negli adolescenti. Il comitato tecnico scientifico del governo ha dato il via libera con un obiettivo, quello di avere i ragazzi fra i 12 e i 15 anni vaccinati per l’inizio dell’anno scolastico, perché è quello il momento in cui entrano in contatto con i compagni e con gli insegnati e possono diventare propagatori di contagio. Quindi li vaccineremo ma man mano che si avvicina il ritorno a scuola, ovvero dal 16 agosto al 16 settembre».

Il confronto però non è solo a livello politico. Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, intervistato da La Stampa, ha detto che ad esempio che bisognerebbe rimandare «la vaccinazione dei giovani per finire gli over 50 e anche per raccogliere più dati sulle conseguenze nei ragazzi», come ad esempio sulle pericarditi nei giovani dopo la somministrazione di Pfizer. La BBC riporta che nel Regno Unito, dopo l’approvazione da parte dell’MHRA, cioè l'autorità britannica del farmaco, dell’uso di Pfizer per i ragazzi tra i 12 e 15 anni, il Comitato congiunto per la vaccinazione e l'immunizzazione del paese potrebbe attendere ulteriori dati sulla sicurezza sui bambini che sono stati vaccinati in altri paesi, come gli Stati Uniti e Israele, prima di prendere una decisione.

A questo aspetto, si aggiunge un’altra questione: se dare priorità ai minori nei paesi ricchi o mandare le loro dosi alle nazioni più povere, ad esempio tramite il programma COVAX, progetto della GAVI Alliance (una cooperazione di soggetti pubblici e privati con lo scopo di migliorare l'accesso all'immunizzazione per la popolazione umana in paesi poveri) che comprende OMS, Banca Mondiale, UNICEF e la Bill & Melinda Gates Foundation. Lo scorso 14 maggio, il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus aveva detto: «Capisco perché alcuni paesi vogliano vaccinare i propri ragazzi e adolescenti, ma li esorto a ripensarci e donare piuttosto i vaccini al COVAX perché nei paesi a basso e medio reddito, la fornitura di vaccini anti-COVID non è stata sufficiente neanche a immunizzare gli operatori sanitari e chi si occupa di assistenza, e gli ospedali sono stati sommersi da persone che hanno bisogno di cure salvavita». 

Dall’altra parte, però, c’è da considerare il rischio che più a lungo il virus circola, ad esempio nei giovani non vaccinati (nuove evidenze sembrano infatti dimostrare che i vaccini anti COVID-19 riducano la trasmissione di SARS-CoV-2), e più a lungo dura la pandemia, maggiori sono la possibilità che emergano nuove varianti con una certa resistenza ai vaccini, afferma a Nature Julian Tang, virologo dell'Università di Leicester, nel Regno Unito. Per questo Tang considera la vaccinazione dei minori un punto cruciale per tenere sotto controllo la pandemia, perché eviterebbe che i giovani diventino un potenziale serbatoio di infezioni asintomatiche e proteggerebbe dall'emergere di nuove varianti. Inoltre, per Deepti Gurdasani, epidemiologa e medica dell’università Queen Mary di Londra, “non è accettabile esporre alcun gruppo alla trasmissione di un virus di cui ancora non sappiamo molto, che provoca disturbi debilitanti non solo acuti ma anche cronici, e che conosciamo a malapena”.

Foto anteprima Gerd Altmann via Pixabay

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