Perché abbiamo deciso di lasciare X di Elon Musk
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Valigia Blu è nata ed è cresciuta anche grazie ai social media, alla capacità loro di creare connessioni e di mantenerle vive a distanza. Fin dall’inizio abbiamo creduto che questi spazi vadano abitati in maniera responsabile: sia come utenti, e quindi nel loro utilizzo consapevole, sia come cittadini, e quindi nel chiedere trasparenza verso le norme che regolamentano quegli spazi, e verso le piattaforme stesse. Sempre cercando di mantenerci il più possibile lontani da oscurantismi (“il far west del web”) o tecno-entusiasmi. Anche per questo motivo i nostri spazi digitali sono sempre stati contraddistinti da una moderazione attiva e dalla volontà di mettersi in ascolto.
L’esperienza maturata in più di dieci anni di attività ci ha portato quindi a prendere una decisione che ci sembra corretto comunicare nel modo più aperto possibile. Da oggi, non useremo più il nostro account X (in precedenza Twitter) @valigiablu. L’account resterà disponibile per chi vorrà consultarlo, poiché rappresenta un pezzo di storia di Valigia Blu e della comunità che si è costruita attorno a questo progetto. Ma per il resto, oggi ci troviamo a constatare che Twitter come piazza digitale non esiste più. Al suo posto, la piazza digitale X è stata arruolata in una battaglia frontale che minaccia diritti fondamentali, tra cui la libertà di espressione, se non addirittura lo Stato di diritto. Ecco perché abbiamo deciso di dare un segnale forte e chiaro, consapevoli che una presenza attiva sia tutto fuorché neutra.
La nostra consapevolezza è maturata attraverso tappe di un declino sotto gli occhi di tutti, dopo l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk, e a dispetto dei proclami di quest’ultimo come campione della libertà di espressione. Per brevità citeremo solo alcuni dei motivi più evidenti alla base della nostra decisione.
Il licenziamento del team responsabile del contrasto alla disinformazione nel settembre 2023, alla vigilia di un anno che vede più di 50 paesi nel mondo andare a elezioni, tra cui gli Stati Uniti. A ciò si aggiunge la disponibilità a censurare contenuti di voci critiche su richiesta di governi, come per la Turchia e l’India. Già i primi licenziamenti dell’azienda avevano colpito ruoli chiave, come per esempio quello ricoperto da Vijaya Gadde, la responsabile delle policy Twitter.
La causa contro il Center for Countering Digital Hate, una non-profit che ha documentato l’aumento di hate speech su X dopo l’acquisto di Musk. Anche se la causa è stata persa, siamo consapevoli dei motivi per cui è stata intentata: sortire un effetto di deterrenza sulla fondamentale accountability garantita da ricercatori e accademici.
Il ruolo attivo nel diffondere disinformazione, a partire dallo stesso account X di Elon Musk. Meme sul “Pizzagate”, bufale su migranti provenienti da account di disinformazione (che diventano “ufficiali” grazie alla spunta blu a pagamento), la benzina gettata sul fuoco delle sommosse anti-immigrati scoppiate questa estate nel Regno Unito. In questo ruolo, Musk è riuscito persino a guadagnare il plauso del Cremlino ed è diventato di fatto uno dei principali veicoli di disinformazione al mondo nel 2024. Sempre a proposito del Cremlino, i contatti personali tra Musk e Putin, iniziati dal 2022, devono preoccupare alla luce del ruolo di aziende come Starlink, e in contesti come l'invasione su larga scala dell’Ucraina o i rapporti tra Taiwan e Cina.
La continua minaccia costituita per le persone LGBTQIA+, sia nelle modifiche stesse alle policy di X, sia nell’opporsi attivamente a legislazioni che le tutelano. È questo il caso della minaccia di trasferire le sedi di X e Space X dalla California al Texas, per protestare contro una legge che protegge dall’outing d* student* transgender.
Il sostegno economico alla candidatura di Donald Trump, sempre più apertamente fascista nei toni e negli scopi dichiarati di un suo potenziale secondo mandato. Musk non solo ha inizialmente mentito - come spesso gli capita - negando le notizie che parlavano di un suo finanziamento alla campagna di Trump. Come riportato dal Wall Street Journal, il sostegno ai repubblicani comincia molto prima, e si è concentrato soprattutto su campagne contro gli immigrati e le persone transgender.
La degradazione del concetto stesso di democrazia e di libertà di voto con iniziative volte a sabotare entrambe. Dalla diffusione di deepfake sulla candidata democratica Kamala Harris, alla promessa di pagare le persone che negli Stati in bilico (ovvero dove è più incerto il margine di distacco tra Harris e Trump) si registreranno per votare sostenendo una petizione lanciata dal comitato istituito da Musk, trasformando il diritto di voto in una lotteria a consenso. Una iniziativa, quest’ultima, sulla cui legalità da più parti si stanno avanzando dubbi, e che fa il pari con l’uso di siti civetta per la registrazione dei votanti. Lungo questa direzione, il triste saltellare su un palco in modalità cheerleader di Trump è stata solo la penosa conferma di qualcosa già evidente.
C’è una linea netta che va tracciata quando in una democrazia, con tutte le sue problematicità, i suoi limiti e i suoi punti oscuri si provano a forzare le colonne portanti dell’edificio. Quando questa pressione vuole distruggere lo Stato di diritto per erigere un sistema di ben altro tipo. Oggi siamo consapevoli più che mai di come Elon Musk abbia puntato tutto sulla possibilità di operare questa distruzione da protagonista, e X è per lui una fondamentale infrastruttura comunicativa al servizio delle spinte autoritarie, negli Stati Uniti e non solo. Nel riconoscere questa spinta, c’è una responsabilità che non potevamo più rimandare. A nessuno dei grandi imprenditori delle compagnie di social media è mai stato garantito finora un simile livello di impunità e ingerenza: da questo punto di vista Musk rappresenta tanto un punto di svolta, quanto un pericolosissimo precedente che non va sottovalutato.
Chi ci ha seguito fino a oggi su X/Twitter potrà farlo su Bluesky (@valigiablu.bsky.social), dove abbiamo deciso di “traslocare”.
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Immagine in anteprima: frame video David Parkman Show via YouTube