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Vaccini Pfizer, si è protetti solo dopo la seconda dose. Modificare i piani aumenta i rischi di mutazione del virus e per la salute pubblica

6 Gennaio 2021 9 min lettura

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Vaccini Pfizer, si è protetti solo dopo la seconda dose. Modificare i piani aumenta i rischi di mutazione del virus e per la salute pubblica

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Sta facendo discutere la decisione del Regno Unito di differire la somministrazione della seconda dose del vaccino di Pfizer & BioNTech nei confronti delle persone già vaccinate e, addirittura, di utilizzare per il richiamo un vaccino prodotto da un’altra casa farmaceutica e sviluppato con una tecnologia diversa.

Di fronte all’aumento repentino dei contagi registrato nelle ultime settimane, a causa anche della maggiore contagiosità della cosiddetta “variante inglese” di SARS-CoV-2 (variante B.1.1.7), nei giorni scorsi il Regno Unito ha deciso, infatti, di modificare il piano di somministrazione dei vaccini, allungando fino a tre mesi, invece delle tre o quattro settimane consigliate, l’intervallo di tempo tra le due dosi da somministrare, e ricorrendo al cosiddetto “mix-and-match” tra due vaccini diversi nel caso in cui quello utilizzato per la prima dose non fosse più disponibile.

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In una lettera agli operatori sanitari pubblicata alla vigilia di Capodanno, il Chief Medical Advisor per il governo del Regno Unito, Chris Whitty, ha spiegato che il principale ostacolo affinché il maggior numero di persone venga vaccinato è la bassa disponibilità di vaccino. E siccome la “carenza di vaccini è una realtà che non può essere eliminata”, dilatare l'intervallo di tempo “è di gran lunga preferibile in termini di salute pubblica”, per quanto non risolutiva. 

La decisione, ha aggiunto Whitty, è stata presa “in seguito a un’analisi approfondita dei dati da parte del gruppo di lavoro di esperti chiamati a valutare la sicurezza e l’efficacia dei vaccini".

Rispetto alla possibilità di utilizzare nelle due somministrazioni vaccini prodotti con tecnologie differenti, il Libro verde del governo per le vaccinazioni afferma che si ricorrerà a due vaccini diversi in casi molto circoscritti. Secondo le linee guida, concentrandosi sulla proteina spike del virus (che si aggancia ai recettori delle cellule umane), i vaccini di Pfizer e AstraZeneca condividono la stessa modalità di azione e per questo si ritiene “probabile che la seconda dose possa contribuire ad aumentare la risposta della prima dose”.

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Sulla decisione l’Independent SAGE, un gruppo di esperti che fornisce consulenza scientifica indipendente al governo del Regno Unito, ha espresso riserve di carattere scientifico, etico e organizzativo. Per quanto sia “ormai chiaro che la nuova variante del virus è sostanzialmente più contagiosa rispetto alle varianti precedenti del 40-80% (aumentando il tasso di contagiosità “R” del nuovo coronavirus tra lo 0,4 e lo 0,8)”, la decisione di vaccinare il più alto numero di persone e il più rapidamente possibile deve essere presa sulla base di studi randomizzati e deve essere accompagnata da misure restrittive di contenimento del virus e un piano vaccinale chiaro per chi dovrà poi attuarlo nei territori, spiega il gruppo di scienziati. “In caso contrario, si tratterà di scelte politiche basate su supposizioni che rischiano di minare la fiducia nel piano di vaccinazione. Un aspetto particolarmente rilevante se si propone che la popolazione possa ricevere due dosi di vaccini diversi”. 

I medici del Regno Unito, riporta il Financial Times, hanno manifestato tutto il loro disappunto perché costretti a rivoluzionare all’improvviso il calendario delle vaccinazioni, cancellando le prenotazioni di chi doveva fare il richiamo e perdendo ulteriore tempo per contattare nuove persone da vaccinare inizialmente non prese in considerazione.

Anche le case farmaceutiche Pfizer & BioNTech hanno messo in guardia sulla decisione del governo britannico. Pfizer ha sottolineato che il vaccino garantisce l’immunizzazione (con un’efficacia del 95%) solo una volta che sono state somministrate due dosi e che “non ci sono evidenze che dimostrano che la protezione sia mantenuta oltre i 21 giorni dalla prima dose”.

BioNTech ha aggiunto che “la sicurezza e l'efficacia del vaccino non sono state valutate su diversi schemi di dosaggio poiché la maggior parte dei partecipanti allo studio ha ricevuto la seconda dose entro i 21 giorni”. Secondo gli studi clinici di fase 3 – che hanno coinvolto più di 43.000 persone in sei paesi – il vaccino era in grado di dare una protezione parziale 12 giorni dopo la prima somministrazione. Tuttavia, non è stato possibile quantificare la durata della protezione ottenuta perché i partecipanti hanno ricevuto la seconda dose appena nove giorni dopo. Una revisione del New England Journal of Medicine, pubblicata il mese scorso, ha rilevato un tasso di efficacia del 52% dopo la prima dose. 

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Tuttavia, nonostante i dubbi espressi da gruppi di scienziati e dalle case farmaceutiche che hanno prodotto i vaccini, anche gli altri paesi stanno valutando se seguire l’esempio del Regno Unito di fronte al dilemma tra la necessità di vaccinare più persone possibili per arginare il contagio dei più vulnerabili e quella di garantire il richiamo a quanti si sono già vaccinati in modo tale che il vaccino sia pienamente efficace.

La Germania e la Danimarca stanno valutando l’ipotesi di ritardare la somministrazione della seconda dose. Il ministero della Salute tedesco ha detto al Financial Times di aver chiesto alla commissione per le vaccinazioni del paese “di rivedere e valutare i dati e gli studi disponibili al riguardo”. 

L'Agenzia Europea del Farmaco (EMA) ha però precisato che il vaccino sviluppato da Pfizer & BioNTech è stato approvato per l’uso di emergenza sulla base di due dosi somministrate entro 21 giorni di distanza e, pertanto, “qualsiasi modifica richiederebbe una nuova autorizzazione”.

Negli Stati Uniti, l’Agenzia del Farmaco americana (FDA) ha dichiarato che non è in agenda una dilatazione della somministrazione delle due dosi del vaccino e che ci si deve piuttosto concentrare “sul miglioramento della logistica, delle catene di approvvigionamento e della forza lavoro disponibile per fornire vaccini a coloro che ne hanno bisogno”.

Modificare il piano di vaccinazione potrebbe essere “controproducente” e comportare rischi per la salute pubblica se le persone crederanno di essere protette contro COVID-19 dalla prima dose di vaccino Pfizer per un periodo più lungo di quanto dimostrato dai dati disponibili, ha aggiunto la FDA in una nota ufficiale.


Inoltre, secondo i Centri statunitensi per il controllo delle malattie, i vaccini contro il coronavirus non sono intercambiabili. Negli Stati Uniti, per ora, si sta optando per conservare la metà delle dosi consegnate in modo tale da essere sicuri di poter garantire la seconda dose. Ma anche questa decisione è stata soggetta a molte discussioni. 

La Gran Bretagna come un laboratorio a cielo aperto?  

La Gran Bretagna si sta trasformando in un laboratorio a cielo aperto, commenta l’editorialista di Statnews ed esperta di malattie infettive, Helen Branswell. 

Le sue decisioni si basano su evidenze ricavate da "sottoinsiemi di sottoinsiemi" di partecipanti agli studi clinici e su principi generali di vaccinologia piuttosto che su ricerche effettive sui vaccini specifici utilizzati. Se questa grande sperimentazione collettiva non risulterà efficace, il mondo avrà anche acquisito informazioni importanti, ma a costi che rischiano di essere elevati, osserva Branswell. 

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In particolare, diversi esperti temono che estendere l'intervallo tra la prima e la seconda dose possa aumentare il rischio di mutazioni del nuovo coronavirus resistenti al vaccino, se si mette il virus nelle condizioni di essere trasmesso tra milioni di persone che sono parzialmente ma non completamente protette contro l'infezione.

“Se volessi creare un ceppo resistente ai vaccini, quello che farei sarebbe costruire una coorte di individui parzialmente immunizzati nel bel mezzo di una pandemia”, spiega Paul Bieniasz, virologo della Rockfeller University, in passato ricercatore sull’HIV e ora dedicatosi allo studio di SARS-CoV-2. Bieniasz sta studiando come il nuovo coronavirus acquisisca mutazioni che gli consentono di eludere gli anticorpi protettivi che le persone sviluppano dopo aver contratto la malattia o dopo essere stati vaccinati. “In pratica rischiamo di apparecchiare per il virus l’opportunità migliore di conoscere il nostro sistema immunitario, di informarsi sugli anticorpi che sviluppiamo e di imparare a come evitarli. Da virologo, questa cosa mi preoccupa”, aggiunge Bieniasz che a Capodanno era intervenuto sulla questione postando su Twitter le sue “riflessioni di un virologo anonimo e incazzato”.

Le posizioni di Bieniasz sono condivise anche da altri studiosi. “Se non usiamo questo vaccino in modo buono, danneggeremo l'intero campo della vaccinologia per molti, molti anni, erodendo la fiducia delle persone nei vaccini”, commenta a Statnews Isabella Eckerle, ricercatrice sul nuovo coronavirus presso il Centro di Ginevra per le malattie virali emergenti. Mentre secondo Stephen Goldstein, virologo dell'Università dello Utah, specializzato in coronavirus, se esauriamo tutte le scorte adesso e poi nel momento in cui sarà necessario fare il richiamo, ritardato, non avremo dosi a disposizioni, ci troveremo in un disastro: persone parzialmente immunizzate che rischiano di infettarsi.

Non tutti gli esperti, tuttavia, ritengono che la decisione presa dal Regno Unito possa avere effetti così disastrosi. Alcuni ritengono che sia una scelta sensata, soprattutto di fronte alla rapida diffusione della variante B.1.1.7.

“Dentro di me, vorrei davvero che potessimo aderire al programma originale dei vaccini, perché questa è la cosa più sicura da fare. Ma vedendo cosa sta succedendo nel mondo e pensando anche alle difficoltà di garantire la distribuzione sufficiente, dobbiamo cercare altre opzioni. Data l'urgenza, possiamo ritardare la seconda dose fino a quando non saranno disponibili più vaccini”, ha twittato Akiko Iwasaki, virologa e immunologa della Yale University. 

Tuttavia, Iwasaki ha espresso grosse riserve sull’indicazione data dal Regno Unito ai medici di usare una seconda dose di vaccino diverso da quello usato nella prima senza aver fatto prima una sperimentazione clinica. Al riguardo, Jonathan Stoye, virologo del Francis Crick Institute, ha detto che mescolare diversi vaccini in caso di emergenza “non è irragionevole ed è simile alla medicina in tempi di guerra, sebbene è preferibile che non diventi una pratica di routine senza indagini rigorose”.

Le non-notizie dei medici appena vaccinati positivi al nuovo coronavirus

Nel frattempo, da quando sono cominciate le campagne di vaccinazione in Europa, più testate giornalistiche stanno riportando notizie di infermieri e medici che hanno ricevuto la prima dose di vaccino e che sono risultati positivi al nuovo coronavirus, salvo precisare poi nel corpo degli articoli che l’infezione non aveva alcuna correlazione con la vaccinazione.

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Notizie date con grande enfasi ma che sono in realtà delle non-notizie. Siamo partiti a fine anno con la storia, rivelatasi per giunta falsa, dell’infermiera spagnola “positiva dopo il vaccino”, abbiamo proseguito con l’infermiere americano risultato positivo otto giorni dopo la prima dose del vaccino e la dottoressa siciliana infettata a sei giorni di distanza dalla prima vaccinazione, passando per la dottoressa pugliese positiva cinque giorni dopo il “vaccine-day” del 27 dicembre, fino ad arrivare al medico di base di Sondrio delle scorse ore.

Che una persona appena vaccinata contro il nuovo coronavirus possa infettarsi non è qualcosa di così clamoroso al punto da diventare di per sé una notizia. Come abbiamo visto, il vaccino è in grado di dare una protezione a 12 giorni di distanza dalla prima somministrazione. Quindi, se qualcuno risulta contagiato a meno di 12 giorni dalla vaccinazione non significa che il vaccino non funzioni. Inoltre, dopo la prima somministrazione, il livello di protezione è superiore al 50%, ma non è altissimo. Solo dopo il richiamo sale al 95%. Infine, come specificato praticamente in tutti gli articoli, a dispetto dei titoli roboanti, le persone contagiate potrebbero aver contratto il virus prima di vaccinarsi e aver manifestato i sintomi successivamente. 

Immagine in anteprima: U.S. Secretary of Defense, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

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