Post Fuori da qui

Come è nata la campagna ignobile “uomini che picchiano le donne sul ring” e il gioco facile della propaganda

7 Agosto 2024 16 min lettura

Come è nata la campagna ignobile “uomini che picchiano le donne sul ring” e il gioco facile della propaganda

Iscriviti alla nostra Newsletter

16 min lettura

La presunta notizia di due pugili “uomini” alle Olimpiadi del 2024, dalla sua origine alla sua circolazione, è un caso da manuale di come funziona ormai l’ecosistema dell’informazione, annullando qualunque filtro o distanza tra posizioni radicali e mainstream, e tra voci, insinuazioni, diffamazioni e fatti. A farne le spese sono state l’algerina Imane Khelif e la taiwanese Lin Yu-ting, ma sono le ultime vittime di una guerra che parte da molto prima, e che non finirà dopo le Olimpiadi di Parigi, o introducendo qualche nuova regola per la prossima edizione.

L’antefatto ormai noto all’opinione pubblica mondiale è la squalifica delle due pugili dai Mondiali di Boxe Femminile nel 2023. Su quella circostanza e sugli aspetti dubbi legati ai test rimandiamo all’articolo scritto per Valigia Blu da Marialaura Scatena. Qui ci occuperemo di alcune dinamiche legate alla circolazione della notizia, e a quei segmenti di opinione pubblica che hanno spinto e alimentato la narrazione di “uomini che picchiano le donne” alle Olimpiadi. 

Prima di proseguire un avvertimento: nel corso dell’articolo si menzioneranno espressioni o immagini dai contenuti transfobici, omofobici, sessisti, o razzisti, per motivi esemplificativi. Se questo tipo di contenuti vi provocare disagio, sconforto o sofferenza di qualunque tipo, l’invito è a leggere seguendo il vostro ritmo e le vostre esigenze. Potreste preferire leggere per piccole sezioni, aspettare di sentirvi pronti a leggere per intero, oppure interrompere senza continuare. 

La squalifica del 2023: Imane Khelif accusata di essere una "pugile transgender"

Partiamo da marzo 2023, quando Imane Khelif e Lin Yu-ting vengono squalificate dal Mondiale, che si disputa a Nuova Delhi. Il Times of India attribuisce la squalifica di Khelif a “ragioni mediche” e “alti livelli di testosterone”, citando come fonte i media algerini. Nello stesso articolo si cita la squalifica di Lin Yu-ting, “per gli stessi motivi”: “mancato rispetto dei requisiti di ammissibilità”. Una motivazione molto formale per ovvie questioni di privacy. Dello stesso tenore l’agenzia Reuters che il giorno prima titola: “Due pugili squalificate per non aver rispettato i criteri di idoneità ai campionati del mondo”. Anche Reuters cita l’alto livello di testosterone e i media algerini. 

In Taiwan è dato rilievo alla squalifica di Lin Yu-ting, per ovvi motivi. Come riportato da TaiwanNews l’atleta è stata squalificata “per una presunta anomalia nel test di genere prima dell'incontro”, mentre Mirror Media parla di “test biochimici del sangue”. Il sito specifica anche: “In passato, Lin Yu-Ting non aveva mai fallito un test di genere prima di una gara”, dando spazio all’ipotesi che il problema possa riguardare l’assunzione di farmaci ormonali per controllare il peso e regolare le mestruazioni. 

La notizia viene data anche in Russia, paese d’origine del presidente dell’IBA Umar Kremlev, oligarca amico di Vladimir Putin, nonché di Azalia Amineva, pugile in precedenza sconfitta da Khelif e prima di allora imbattuta. Il modo in cui Kremlev dà la notizia è fuori dai toni dei protocolli ufficiali, o dal rispetto della privacy dovuto in questi casi. È piuttosto un giudizio di merito sulle atlete, teso a denunciare il loro presunto imbroglio. Così dichiara il 25 marzo a Tass, rilanciato poi anche da Russia Today: “In base ai risultati dei test del DNA, abbiamo identificato un certo numero di atleti che hanno cercato di ingannare i loro colleghi e di spacciarsi per donne. I risultati dei test hanno dimostrato che hanno cromosomi XY. Questi atleti sono stati esclusi dalla competizione" . 

Il sottotesto è rivolto anche all’opinione pubblica interna: la nostra pugile non ha perso la sua imbattibilità non ha perso contro un'avversaria, ma contro un uomo che ha barato. Ricorre in questo caso un tropo specifico della transmisoginia, ossia degli stereotipi sessisti che colpiscono le donne trans: il cosiddetto “predatore sotto mentite spoglie”. Con la differenza che di solito questo tropo è usato per attaccare la presenza di donne trans in spazi come bagni o spogliatoi, e per estensione tutti quei corpi che non si conformano a una precisa idea di femminilità. Qui invece il predatore avrebbe agito su un ring, durante una competizione internazionale, con un agguato fatto di ganci e uppercut.

Su X/Twitter, a dare risalto alla notizia è l’account dell’Independent Council on Women’s Sports (ICONS), che appartiene alla cosiddetta galassia gender critical. Termine che nei paesi anglofoni indica quei femminismi trans-escludenti, e che col tempo è diventato un termine ombrello per definire organizzazioni e persone con un’agenda marcatamente anti-trans. 

ICONS, recita il sito, “protegge e promuove gli sport femminili”, attraverso campagne, incontri e fornendo assistenza legale. La principale attività dell’organizzazione, però, consiste nell’opporsi alle presenza di atlete trans nelle categorie sportive femminili, in particolare con cause contro la NCAA (National Collegiate Athletic Association), che regola le attività sportive di oltre mille college tra Stati Uniti, Canada e Portorico. In pratica tutte le cause evidenziate nell’apposita sezione sul sito vanno a colpire l’accesso agli sport delle persone trans, in nome della difesa degli “spazi femminili”. 

Nel tweet per commentare la squalifica ai mondiali del 2023, ICONS cita l’incontro di pugilato che si è tenuto nel dicembre 2022 tra Khelif e la pugile messicana Brianda Cruz (chiamata erroneamente “Brianna”). Secondo ICONS all’epoca Khelif era stata accusata di “essere un uomo”, e di aver colpito troppo violentemente Cruz, anche se non ci sono dettagli sul contesto in cui sarebbero state mosse queste accuse. La stessa pugile messicana, nei giorni della squalifica, ha ricordato l’incontro e il dolore dei colpi presi: “Non credo di essermi mai sentita così nei miei 13 anni di pugilato, nemmeno negli incontri con gli uomini”.

Il match tra Khelif e Cruz è menzionato per esempio dal sito del quotidiano messicano Excelsior, che nel dare notizia della squalifica a marzo parla di “pugile transgender” e la notizia arriva anche a siti di informazione peruviani. Questa circolazione in lingua spagnola attraverso l’America Latina è probabilmente il motivo per cui nell’estate di quell’anno arriva un articolo di fact-checking della piattaforma indipendente Misbar, dal titolo “La pugile algerina Imane Khelif non è transessuale”. La notizia circola quindi attraverso pagine sportive o della galassia femminista gender critical, tra cui Femminismo anti-liberale.

Nello stesso periodo troviamo anche meme in lingua araba dove si può vedere la classica “transinvestigazione” all’opera, ovvero l’atteggiamento inquisitorio con cui si analizzano dettagli anatomici di una persona in cerca delle prove che sia transgender. 

A quest’altezza cronologica, il parlare delle due atlete squalificate in termini di corpi maschili evoca immediatamente contenuti transfobici, e la parvenza di scientificità sui “cromosomi XY” è in secondo piano, o assente. Le voci si concentrano su Khelif, sia per il precedente dell’incontro con Brianda Cruz, sia per le differenze fisiche tra le due atlete squalificate, a livello di peso, muscolatura e stazza. Identica è la notizia della squalifica, ma solo a una delle due calza l’immagine del “predatore sotto mentite spoglie”. Così su Khelif si ha una direttrice di stereotipi che combina razzismo e sessismo, una formula che detona più facilmente attraverso la transfobia. La logica sottesa è: una pugile può essere forte, ma una pugile magrebina con quel fisico lì, e che per giunta ha alti livelli di testosterone non può essere così forte. Questa chiave di lettura transfobica resterà sottotraccia, come uno strato più antico, quando durante le Olimpiadi si torna a parlare della squalifica.

Olimpiadi di Parigi: e allora il cromosoma XY?

Il primo sito di rilievo a dare la notizia di due pugili squalificate dall’IBA che parteciperanno alle Olimpiadi di Parigi è Reduxx. Sito di “notizie femministe”, anche se pubblica solo ed esclusivamente articoli negativi su persone trans, dando prevalenza a chi è accusato o condannato per reati sessuali. Un po’ come quei siti o quelle pagine razziste che pubblicano solo notizie di reati commessi da immigrati, e che per inferenza creano la percezione di pericolosità dell’intero gruppo sociale. L’esempio non è casuale, perché tra le co-fondatrici di Reduxx c’è Anna Slatz, che ha collaborato in passato o collabora attualmente con siti di estrema destra come Rebel News o The Publica, dove ai contenuti transfobici si accompagnano anche contenuti razzisti o sulle morti sospette per via dei vaccini. 

L’articolo è pubblicato il 27 luglio. Slatz non parla di “atlete transgender” o “maschi”, ma usa eufemismi o insinuazioni, ad esempio con virgolettati ("female boxers", come a dire “le cosiddette donne”), avanzando l’ipotesi che abbiano un Disordine dello Sviluppo Sessualea (DSD). Slatz cita la questione dei “cromosomi” nel titolo, informazione per cui rimanda al lancio dell’agenzia Tass del marzo 2023 e all’articolo in inglese di Russia Today. Nell’articolo è intervistata anche la co-fondatrice di Independent Council on Women’s Sports, che ne approfitta per ribadire l’importanza di re-introdurre alle Olimpiadi i test del sesso. Smith fa capire poi che per lei le due atlete sono due uomini, e che le federazioni dei loro paesi abbiano approfittato del contenzioso tra IBA e CIO per “continuare a far salire pugili maschi sul ring contro le donne, e competere per le medaglie olimpiche femminili”. 

L’articolo è rilevante quindi sia per la tempistica, sia perché mette in circolo le parole di Kremlev e il sospetto che le due atlete siano “uomini”. Il framing sui “corpi maschili” e la transfobia esplicita è sostituito da disquisizioni su cromosomi, livelli di testosterone e DSD. A contribuire alla diffusione dell’articolo di Reduxx non sono solo i circuiti del femminismo gender-critical, ma anche quelle personalità di spicco che ne condividono le posizioni contro “l’ideologia gender”, come ad esempio il biologo evoluzionista Richard Dawkins. Il quale in pratica fa sue le parole di Kremlev, parlando di “uomini mascherati da donne”.

A sdoganare ulteriormente la voce sui cromosomi messa in giro da Kremlev è il Guardian, con un articolo del 29 luglio firmato dal giornalista sportivo Sean Ingle. Ingle si è occupato spesso delle diatribe sull’ammissione di atlet* trans nelle federazioni sportive, in particolare per quelle femminili. Ingle cita Kremlev senza specificare né il contesto, né le accuse transfobiche, né i dubbi su come sono stati condotti i test: ad esempio il fatto che per l’IBA le due atlete non avessero passato un test al Campionato Mondiale del 2022, ma fosse stato loro permesso di partecipare l’anno successivo, effettuando il test nelle fasi finali. O che la decisione di squalifica nel 2023 fosse stata presa da Kremlev e un altro dirigente, e successivamente ratificata dal direttivo. O che la federazione taiwanese avesse svolto successivamente test di verifica. La decisione del CIO di ammettere le due atlete è invece “controversa”: per sostenere ciò è linkato un tweet del pugile Barry McGuigan, ex campione del mondo, che commenta l’articolo di Reduxx

Un altro aspetto peculiare di come Ingle ha gestito il caso è in un tweet dove condivide le  domande inviate al CIO. La prima recita: “Il CIO pensa sia giusto che chi ha è passato attraverso una pubertà maschile abbia la possibilità di competere nelle categorie femminili - dove i rischi per la sicurezza sono alti?”. Mentre la seconda chiede un commento su chi accusa la CIO di “sminuire le fondamenta stesse della categoria femminile”. La domanda insinua così un’informazione non vera, ossia che le due atlete squalificate siano passate attraverso una pubertà maschile, o che alle Olimpiadi ci siano “maschi biologici” nelle categorie femminili. 

Sono quindi domande che portano nello scenario concreto (il caso della squalifica e dei test) degli scenari fittizi e dei sospetti, in un clima già inquinato dalla disinformazione. Difatti poi nella fase finale dell’articolo si riporta un dato scientifico che serve solo ad alimentare il framing “uomini che picchiano le donne sul ring”: “Le ricerche scientifiche”, scrive Ingle “hanno dimostrato che la potenza media di un pugno di chi è passato attraverso una pubertà maschile è superiore del 162% rispetto a quello di una donna”.

Dopo la pubblicazione dell’articolo, il caso dilaga ed è ormai discusso ovunque, dalle editorialiste gender critical della stampa britannica a Donald Trump ed Elon Musk, con tanto di meme che recitano "2024: l'anno in cui la violenza contro le donne è diventata una disciplina olimpica". A parlare di “uomini che picchiano le donne sul ring”, con particolare riferimento a Khelif è per esempio l’account Libs of Tik Tok, che è solito aizzare il proprio seguito contro persone LGBTQIA+ o contro organizzazioni che le supportano. Questo tipo di attacchi ha innescato in passato vere e proprie campagne di odio, persino con minacce di morte o allarmi bomba

C’è poi la scrittrice JK Rowling, di cui già avevamo ampiamente scritto nel 2020 per il suo ruolo nel normalizzare la transfobia presso l’opinione pubblica britannica e internazionale. Oltre a rilanciare l’articolo del Guardian con toni allarmistici (“Cosa deve succedere ancora perché questa follia finisca? Una pugile deve riportare ferite che le cambieranno la vita per sempre? Oppure deve restare  uccisa?”), Rowling ne produce numerosi nei giorni successivi. Commentando il ritiro di Angela Carini contro Khelif, per esempio, attribuisce alla seconda “il sorrisetto del maschio che sa di essere protetto da un sistema sportivo misogino e gode della sofferenza di una donna”. 

I tweet di Rowling fanno infuriare anche l’opinione pubblica taiwanese. Non solo per le accuse rivolte anche a Lin Yu-ting, ma perché la storia della pugile dovrebbe essere un esempio di lotta contro la violenza di genere. A indirizzarla verso la boxe, infatti, è stata la violenza del padre contro la madre, e il desiderio di volerla proteggere. Da lì ha poi scoperto la sua vocazione, misurandosi in un ambiente dove spesso doveva allenarsi con uomini. Anche il percorso sportivo di Khelif è all’insegna dell’emancipazione e della lotta contro gli stereotipi di genere.

In un simile clima arrivano i tentativi di disturbo e interferenza dell’IBA e del suo presidente Kremlev, che trovando già un vasto incendio in corso non hanno dovuto nemmeno buttarci sopra troppa benzina. Il caos informativo e la messa sotto accusa del CIO per questioni di agenda politica hanno fatto il resto: l’area gender critical, infatti, preme per reintrodurre i test del sesso, sospesi dal 2000, e con essi un ferreo binarismo. E poiché questo movimento di opinione non ha interessi certo a riformare l’IBA, ecco che il dibattito pubblico finge che questa federazione non sia al di sotto di qualunque standard di affidabilità, etica e trasparenza, e prende dall’IBA ciò che serve finché fa comodo. Perciò qua e là si legge che le ragioni della squalifica dell’IBA da parte della CIO non sono rilevanti ai fini del caso. 

Prima l’IBA pubblica un comunicato in cui dichiara che il test effettuato nel 2023 non riguardava i livelli di testosterone, poi arrivano gli annunci pubblici di premi per Carini e la Federboxe (rifiutati). A questi, secondo le accuse mosse dal presidente del CONI Giovanni Malagò, si sono affiancati messaggi diretti a Carini dall’IBA

Umar Kremlev, invece, dopo aver definito le Olimpiadi di Parigi un “luogo di sodomiti”, lunedì ha partecipato in collegamento alla conferenza stampa dell’IBA, assieme ad altri due alti dirigenti dell’IBA, Chris Roberts e Gabriele Martelli, dove ha cercato di presentare l’IBA come una paladina degli sport femminili. Questo mentre reiterava i richiami biblici a “Sodoma e Gomorra”, dipingendo le Olimpiadi di Parigi e i vertici del CIO come un luogo di corruzione per via della cerimonia di apertura.

Kremlev ha spiegato che se le “due atlete vogliono provare di essere donne, dovranno pensarci loro”, perché lui “non è in grado di dire cos’hanno in mezzo alle gambe”. Più volte i giornalisti hanno chiesto di poter vedere i risultati dei test, senza successo. Ioannis Filippatos, ex responsabile medico dell’IBA, ha ribadito che le due atlete sono “uomini”, senza fornire ulteriori dettagli rispetto alle voci già circolate. Kremlev ha parlato di “alti livelli di testosterone”, tuttavia Roberts, intervistato da BBC Sports ha detto che sono stati effettuati “test del sangue”. Ecco un passaggio dell’intervista:

Cosa dovevano dimostrare quei test? Il suo presidente ha detto che erano per il testosterone.
Si trattava di cromosomi. Servivano a identificarlo. In pratica un test di genere.
Cosa intende dire?
In pratica, quale livello di cromosoma si associa a XX XY. In base a questo criterio. L'avete visto nel regolamento tecnico delle competizioni. Quindi, se lo guardate, capirete cosa significa.
Umar Kremlev ha detto che avete eseguito l'esame del testosterone...
No, sono state fatte le analisi del sangue. Era basato sui criteri stabiliti... era un test di genere, un test del sangue. Non ho intenzione di affermare che Kremlev si sia sbagliato.
Ha parlato di elevati livelli di testosterone...
Beh, ci sono livelli elevati di testosterone in quel test. Si evidenziano un paio di cose diverse. Identifica diverse cose in quel test.
Il medico ha detto che le atlete sono "geneticamente maschi". Cosa significa di preciso?
Non lo so. Non so cosa voglia dire. Dovreste chiederlo a lui. Dico solo che sono stati fatti dei test a Istanbul e poi in India. I risultati sono arrivati. L'inammissibilità dimostra che è in contrasto con i criteri e quindi è per questo che è avvenuta la squalifica.

Commentando su X la conferenza stampa, la giornalista sportiva americana Nicole Auerbach ha detto: “È stata così disastrosa che il moderatore, una volta fuori, sul marciapiede, si è scusato con alcuni di noi giornalisti e ha detto che è stata la cosa più imbarazzante a cui abbia mai partecipato”.

Conclusione: la dittatura del cromosoma

Il problema dibattuto non è certo l’affidabilità dell’IBA, tema che è stato fortemente messo da parte, e che in effetti sarebbe dovuto venire prima di ogni altra cosa. Come notava la giornalista Katelyn Burns, “Non ci sono atlete trans alle Olimpiadi di Parigi. Quindi i bigotti le hanno inventate”:

Tutta questa "controversia" mostra fino a che punto il movimento anti-trans si spingerà nel tentativo di eliminare dalla società la non conformità di genere. Ha già escluso le donne trans dallo sport. Ora se la prende con chiunque abbia una mascella forte o un fisico muscoloso. Quale sarà la prossima mossa? Le donne con livelli elevati di testosterone (che possono derivare da malattie come la sindrome dell'ovaio policistico) saranno dichiarate uomini? Dove finirà?

Dogmi come “Le donne hanno la vagina, gli uomini il pene”, “le donne hanno i cromosomi XX, gli uomini XY”, “donna: essere umano adulto femmina”, hanno accompagnato i discorsi degli ultimi anni, provocazioni per smascherare la corruzione caotica della cosiddetta “ideologia gender”; oggi anche “wokismo”, secondo un vocabolario che si fonda sul potere simbolico di definire i nemici controllando le loro stesse parole. La contrapposizione è stata di volta in volta tra le voci della ragione e della scienza da una parte, e le “lobby trans”, i “trans-attivisti” e il “culto trans” dall’altra. Questo discorso pseudo-scientifico, fatto per “proteggere le donne “ o “proteggere i bambini”, solo negli Stati Uniti nei primi sei mesi del 2023 ha prodotto centinaia di leggi anti-LGBTQIA+, in Stati dove poi si è andati anche ad attaccare i diritti riproduttivi, mentre facoltosi think-thank dibattono sull’opportunità di sfruttare il lavoro minorile.

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

L'ossessione per il cromosoma, questo prendere la vita di una persona, la sua storia e i suoi tratti biologici presunti, triturando il tutto per determinare chi è, chi è sempre stata e chi sarà, è tutto fuorché un dibattito centrato su libertà, emancipazione o inclusione, su scienza e verità. Le gerarchie di dominio hanno bisogno di plausibilità e di nemici da combattere. Il "sesso biologico" (che esclude le variazioni, "tanto sono pochi casi"!) e i discorsi sui "cromosomi" rispondono al primo requisito, mentre "l'ideologia gender" viene incontro al secondo. Così, di fronte a una federazione totalmente inaffidabile, a una gestione personalistica e priva di qualunque trasparenza, a test condotti non si sa bene come e perché, non contano le procedure e le regole che ci siamo dati, le metodologie; contano il sospetto e l’idea assoluta che tiene insieme le gerarchie, la tesi di fondo che è origine e fine di tutto. I dogmi diventano allora flessibili, poiché la loro validità è funzionale a combattere il nemico, senza eccezione. E questo vale per Kremlev come per Richard Dawkins, e come per i vostri amici dalle buone letture. I mostri non vengono da fuori a disseminare sospetto, paura e odio, piuttosto trovano la fila quando provano a bussare alle nostre porte.

Di fronte a una simile agenda, che va avanti da anni, gli effetti sul piano legislativo e sul piano dell’avanzata o della regressione dei diritti possono ormai essere valutati, a voler essere obiettivi. Si può anche comparare, per ogni problema discusso attraverso la lente del “problema transgender” e “dell’ideologia gender”, dalle carceri alla violenza di genere passando persino per il cambiamento climatico, quanto di quel problema invece passi per tutt’altro, e quanto quel tutt’altro non venga mai discusso, magari tacciando di “benaltrismo” chi lo fa presente. 

Facciamo perciò i benaltristi, una volta tanto. Parlando di “donne silenziate” nel Regno Unito, avete mai sentito nulla sull’abuso degli accordi di non divulgazione nei casi di abusi sessuali nelle università? Parlando di “predatori sotto mentite spoglie”, quanto avete letto in Italia sulle migliaia di denunce e reclami per reati sessuali e violenza domestica contro le forze dell’ordine britanniche? Quanto sugli abusi in carcere commessi dal personale? Circa gli spazi sicuri, avete mai letto nulla sulle buffer zone? O, per chi vuole restare a Parigi, quanti hanno sentito parlare di Van de Velde?

Se pensate che alle due atlete bullizzate su scala mondiale basti un tampone per togliersi dagli impicci significa due cose. O siete molto ingenui, e avete seguito distrattamente il dibattito di questi anni e gli esiti che produce, oppure avete scelto il ruolo di chi, di fronte al bullo, è troppo debole per resistergli, troppo opportunista per non schierarsi dalla sua parte vedendone i vantaggi, e abbastanza vigliacco da rivolgersi al bullizzato fingendosi voce del buon senso e della ragione. Questo escludendo ovviamente che facciate parte della cricca del bullo.

Segnala un errore