Referendum sull’accoglienza dei rifugiati: l’Ungheria sfida l’Europa
4 min letturaAggiornamento 8 novembre 2016, ore 12:03 >
Dopo il referendum fallito lo scorso 2 ottobre, il parlamento ungherese ha respinto la proposta del governo guidato da Viktor Orban di modificare la Costituzione per vietare il reinsediamento dei migranti in Ungheria. La modifica costituzionale è stata votata da 131 parlamentari (sui 199 totali), non raggiungendo la maggioranza dei due terzi dei componenti, necessaria per poter cambiare la Costituzione.
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Aggiornamento 2 ottobre 2016, ore 22:23 >
Il referendum non ha raggiunto il quorum. Ha votato infatti il 43% degli aventi diritto. Il 98% di chi ha partecipato al voto ha scelto il "No".
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È il 17 ottobre 2015 quando l'Ungheria di Viktor Orban blocca il flusso dei migranti lungo la cosiddetta “rotta balcanica”. Da un giorno all'altro il paese che era divenuto in pochi mesi una tappa obbligata per le centinaia di migliaia di profughi in fuga decide di alzare una barriera invalicabile. I migranti sono bloccati al confine serbo, in un limbo senza tempo e senza speranza.
Oggi, a poco meno di un anno dal blocco anti-migranti eretto da Orban, il cerchio potrebbe chiudersi. Domenica 2 ottobre l'Ungheria si reca alle urne per dire sì o no a un quesito che è non solo un via libera alla politica di aperta ostilità verso i profughi da parte del governo di destra, ma che è soprattutto una sfida aperta all'Ue e all'idea che la pressione migratoria possa essere condivisa tra tutti gli Stati membri. Autarchia magiara e nessun dovere verso l'Europa, ecco l'obiettivo del primo ministro ungherese.
Si tratta infatti di decidere se accogliere o respingere le quote obbligatorie decise dall'Unione Europea per la ricollocazione dei migranti negli Stati membri senza l'approvazione dei parlamenti.
L'incognita quorum
Volete che l’Ue possa obbligarci al ricollocamento forzato di cittadini non ungheresi in Ungheria, senza l’autorizzazione del Parlamento ungherese?
Così recita la scheda referendaria e stando ai sondaggi è certo che i No surclasseranno i Sì. Non solo Fidesz, il partito del premier Viktor Orban, ma anche l'estrema destra radicale di Jobbik e altri partiti minori confidano nelle urne per assestare un colpo anti-Ue.
Nonostante ciò, non è certo che i votanti superino il 50%, ovvero la soglia che garantisce la validità del referendum e la conseguente spallata alla già fragilissima politica di ricollocamento dei rifugiati in Europa. Fino a poche settimane fa, l'astensione – appoggiata da tutte le opposizioni – era ancora maggioritaria e solo la recente campagna di propaganda voluta da Orban ha rimesso in pista i No.
È il vento della propaganda populista che spazza l'Europa dall'Atlantico (il voto sulla Brexit si è giocato anche sulla bufala dell'“invasione” della Gran Bretagna) alle Alpi (il “prima gli svizzeri”, esito del recente referendum elvetico).
L'Ungheria e i rifugiati
Con la crescita impetuosa del flusso lungo la rotta balcanica, nel 2015 l'Ungheria ha scalato la classifica degli arrivi in Europa. Tra il primo gennaio 2015 e il 20 gennaio 2016, l'Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha registrato che 391.384 migranti-rifugiati hanno varcato il confine dalla Serbia e dalla Croazia. Una cifra che, di fatto, è stata raggiunta già il 17 ottobre quando – come si è detto – Budapest ha chiuso la porta ai profughi in fuga. Oggi, dai due corridoi sul confine blindato tra Ungheria e Serbia, passano ormai solo 15 persone al giorno. Per l’Unhcr, il periodo d’attesa per entrare in territorio ungherese è di 60-70 giorni a Röszke per famiglie e minori non accompagnati, 40-60 giorni a Tompa e 50-75 giorni per maschi da soli.
Non tutti quelli che arrivano fanno richiesta di asilo
Dei quasi 400mila migranti giunti l'anno scorso, meno della metà ha chiesto protezione in Ungheria, mentre i restanti hanno proseguito la marcia verso i paesi più attrattivi del nord Europa. Secondo i dati Eurostat, sono 177.135 le richieste d'asilo presentate, il quadruplo rispetto al 2014, una crescita che nell'Ue è seconda solo alla Finlandia. Tuttavia la burocrazia di Budapest è riuscita a far fronte a una piccolissima parte di esse.
Le decisioni prese sono state solo 3415 – meno del 2% delle domande – con una percentuale di risposte positive del 14,9% (scesa al 10% nel secondo trimestre 2016) che in Europa è inferiore solamente a quella della Lettonia (8,8%): nel 2015, l'Ungheria ha riconosciuto lo status di rifugiato a 145 richiedenti (che salgono a 480 se si tiene conto di chi vince il ricorso dopo una bocciatura). Interessante notare come le autorità magiare siano estremamente rigide nel rispondere in maniera positiva anche a cittadini provenienti da paesi con un alto (o altissimo come la Siria) tasso di riconoscimento in tutta Europa.
Dunque, a una chiusura ermetica del paese (e il parallelo prosciugamento del flusso proveniente dalla Turchia) non corrisponde uno stop alle domande di protezione internazionale presentate in Ungheria. Malgrado una sensibile diminuzione rispetto al 2015 (e un crollo relativo negli ultimi mesi verosimilmente collegato all'inasprimento della legge sull'asilo approvata da poco), da gennaio ad agosto 2016, sono già 25.755 le richieste presentate nel paese.
In sintesi
- Il referendum ha come tema la relocation dei rifugiati da altri paesi europei (in particolare da Italia e Grecia).
- Nell'autunno scorso l'Ungheria, nell'ambito degli accordi Ue, aveva messo a disposizione per il programma di ricollocamento dei rifugiati 1294 posti.
- A oggi nessun rifugiato è stato ricollocato in Ungheria (qui i dati dei ricollocamenti aggiornati al 28 settembre 2016).
- Sui rifugiati, l'autarchia ungherese potrebbe ricevere un'accelerazione decisiva da una vittoria del No verso una nuova legge incompatibile con le politiche europee e al tempo stesso rappresenterebbe un antipasto di uscita dall'Ue con l'abbandono di uno dei pilastri dell'Unione ovvero il sistema comune d'asilo.
Foto via The Telegraph
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Riguardo la differenza terminologica tra "rifugiato" e "profugo", la Treccani scrive:
Da un punto di vista linguistico i due vocaboli, pur essendo spesso usati come sinonimi, indicano due fenomeni legati, ma non coincidenti. Il rifugiato, infatti, è colui che ha lasciato il proprio Paese, per il ragionevole timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità e appartenenza politica e ha chiesto asilo e trovato rifugio in uno Stato straniero, mentre il profugo è colui che per diverse ragioni (guerra, povertà, fame, calamità naturali, ecc.) ha lasciato il proprio Paese ma non è nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale. Nella prassi, di fatto, i due termini vengono impropriamente sovrapposti, ma è lo status di rifugiato l’unico sancito e definito nel diritto internazionale fin dalla Convenzione di Ginevra del 1951.