Diritti umani, libertà di stampa, indipendenza dei giudici: la democrazia illiberale dell’Ungheria di Orbán nel cuore dell’Europa
11 min letturadi Kata Karàth
Il 18 marzo Fidesz, il partito ungherese al governo, ha lasciato il Partito popolare europeo (PPE), il gruppo politico di centrodestra più numeroso del Parlamento europeo, due anni dopo che era stato sospeso a causa di politiche definite autoritarie dai conservatori. L'uscita di Fidesz era inevitabile essendo il PPE orientato verso l'esclusione dal gruppo dopo il lungo scontro sugli evidenti passi indietro compiuti del governo ungherese sullo Stato di diritto e i diritti umani. «In realtà, Fidesz non voleva attendere un'espulsione che sarebbe stata umiliante», ha dichiarato Dániel Hegedűs, ricercatore del German Marshall Fund, aggiungendo che quando, il 3 marzo, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha ritirato la delegazione Fidesz dal PPE ha anche violato le regole del gruppo. Ciò presupponeva che, a partire dallo stesso giorno, il PPE sarebbe stato libero di rilasciare una dichiarazione sul procedimento di esclusione di Fidesz. Un finale di partita a cui Orbán non voleva assistere. «Presumibilmente i negoziati con il partito italiano della Lega e con quello polacco di Diritto e Giustizia avevano raggiunto un punto in cui Viktor Orbán pensava fosse giunto il momento di prendere quella decisione», ha proseguito Hegedűs.
Da tempo Orbán aveva promesso che avrebbe fondato un nuovo gruppo politico insieme ai partiti più allineati alla sua visione di estrema destra. È molto improbabile – sostiene Hegedűs – che il divorzio dell'Ungheria dal PPE inneschi un effetto domino che possa coinvolgere altri paesi membri come la Slovenia o la Croazia, spingendoli a seguire Fidesz e a formare insieme un nuovo blocco nazionalista. Il partito al governo ungherese dovrebbe entrare a far parte del gruppo euroscettico dei Conservatori e dei Riformisti europei (ECR), di cui uno dei più stretti alleati di Orbán, il partito al governo polacco, può contare sulla rappresentanza più forte con 24 eurodeputati. Un'altra soluzione potrebbe essere l'unione con Matteo Salvini e il suo partito della Lega nel gruppo di estrema destra Identità e Democrazia (ID), una compagine di partiti ancora più marginali.
Qualunque direzione prenderà Fidesz, il suo allontanamento dal PPE non avrà ripercussioni, o ne avrà poche ed eventualmente non nel breve periodo, sia nel Parlamento europeo che in Ungheria. Il PPE non rimarrà senza rappresentanti di partiti ungheresi al governo grazie al Partito popolare cristiano democratico (KDNP) – un partito che fa parte con Fidesz di una coalizione ma che ha pochissimo potere – e all'eurodeputato György Hölvényi. Mentre Fidesz non sarà più protetto dal PPE, dando alla Commissione europea più spazio per affrontare l'arretramento democratico dell'Ungheria, il primo ministro Orbán non verrà colpito da sanzioni o altre situazioni di conflitto nel prossimo futuro. Hegedűs ritiene che ciò sia dovuto al suo potere di veto sugli affari dell'UE, che l'Ungheria non perderà neanche dopo aver lasciato il PPE. Inoltre, da oltre un decennio, Orbán e la sua “democrazia illiberale” hanno potuto crescere in Ungheria praticamente senza opposizione, perché le istituzioni dell'UE non sono state in grado, né si sono rese disponibili ad affrontare in modo adeguato la repressione sistematica del governo ungherese su valori democratici come i diritti umani, la libertà di stampa o l'indipendenza della magistratura.
Le tensioni tra Fidesz e il PPE sono iniziate nel 2019, quando il partito di Orbán ha diretto la sua retorica anti-UE contro alte cariche del PPE organizzando una campagna con l'affissione di manifesti che demonizzavano il membro del PPE Jean-Claude Juncker, in quel periodo a capo della Commissione europea, e il filantropo miliardario di origine ungherese George Soros, che rimane uno dei bersagli preferiti della macchina di propaganda del governo ungherese. Presente su manifesti e cartelloni pubblicitari in tutto il paese, l'immagine dei due uomini era accompagnata dallo slogan “Anche tu hai il diritto di sapere cosa sta preparando Bruxelles”, accusando Juncker di promuovere un piano, sostenuto da Soros, a favore dell'immigrazione.
La guerra a colpi di manifesti era stata lanciata nel 2015 al culmine della crisi dei migranti, con i primi, giganteschi cartelloni pubblicitari con slogan che recitavano “Se vieni in Ungheria, non puoi sottrarre i lavori agli ungheresi!” o ancora “Se vieni in Ungheria devi rispettare la nostra cultura!”. Successivamente, quando l'afflusso di rifugiati e richiedenti asilo che cercavano di entrare in Ungheria è diminuito in modo significativo – per via della recinzione di filo spinato con cui il governo aveva chiuso i confini meridionali del paese – l'attenzione si è spostata su altri obiettivi: George Soros, l'opposizione ungherese e l'Unione europea. Per il fotoreporter ungherese Márton Magócsi l'obiettivo di queste campagne è “suscitare paura, rabbia e indignazione”. «I migranti devono apparire minacciosi. Sono sempre uomini, selvaggi e dall'aspetto criminale. Devono avere una vittima, preferibilmente bionda, di sesso femminile e bianca. I politici dell'opposizione devono sembrare stupidi, incompetenti ed essere raffigurati preferibilmente accanto a un detenuto o, naturalmente, a George Soros. I sostenitori dell'opposizione devono apparire minacciosi, stranieri, gay o quantomeno incapaci», ha detto Magócsi in un'intervista rilasciata all'Osservatorio Europeo di Giornalismo. Nonostante il numero di richiedenti asilo sia diminuito drasticamente negli ultimi anni, il governo ungherese e i media ad esso allineati seguono e rafforzano costantemente la retorica anti-immigrazione di Orbán. Insieme ai manifesti, anche campagne pubblicitarie, programmi di approfondimento e altre trasmissioni mandate in onda da media statali e privati, incluse le emittenti radiofoniche e televisive, e persino i canali dei social media, diffondono sempre un messaggio che sottintende che i “burocrati di Bruxelles” sono favorevoli all'immigrazione. Il primo ministro Viktor Orbán, invece, viene sempre dipinto come l'unico leader abbastanza forte da poter proteggere l'Europa “cristiana” dagli stranieri. Lo stesso Orbán include regolarmente questo tipo di retorica nei suoi discorsi. «L'Europa occidentale ha rinunciato a... un'Europa cristiana, sperimentando invece un mondo senza Dio, con famiglie arcobaleno, immigrazione e società aperte”, ha dichiarato ad agosto 2020, durante la cerimonia di inaugurazione di un monumento che ricorda il Trattato del Trianon.
Leggi anche >> Tutti i nostri articoli sull'Ungheria
Queste campagne ostinate contro l'UE, Soros e l'immigrazione sono spesso possibili perché la maggior parte dei media è controllata dal governo o da uomini d'affari compiacenti. Nel frattempo, la stampa indipendente viene a poco a poco eliminata, principalmente attraverso l'acquisizione di quote di società editoriali da parte di uomini d'affari che sostengono il governo o, come accaduto ultimamente a Klubrádió (la principale emittente radiofonica indipendente ungherese), grazie al Consiglio dei media nominato da Fidesz che ha stabilito di non rinnovare la licenza scaduta il 14 febbraio. Successivamente un tribunale ha confermato la decisione, nonostante le motivazioni addotte dal Consiglio dei media (di non essere stato informato sulle quote di musica e notizie nazionali e internazionali del palinsesto) siano state ritenute “banali” da Reporter Senza Frontiere. Il Consiglio dei media non ha perso tempo e subito dopo aver deciso di rifiutare la licenza di rinnovo a Klubrádió, a novembre 2020, ha annunciato una gara d'appalto per la sua radiofrequenza. Intervistato da Radio Free Europe, András Arató, presidente di Klubrádió, ha spiegato che le domande per questo genere di gare d'appalto sono eccessivamente complicate. L'offerta, illustrata in circa 80 pagine, contiene descrizione e condizioni e i candidati devono presentare proposte di circa 300-500 pagine inserendo fogli di calcolo, piani finanziari, rendiconti e certificazioni. Poiché il Consiglio dei media non accetta autenticazioni elettroniche, ogni dichiarazione deve essere autenticata singolarmente. «Queste condizioni di gara sono difficili da prevedere e soddisfare. Puoi essere escluso per un errore in un foglio di calcolo o l'arrotondamento sbagliato di un importo. E non c'è alcuna possibilità di correzione o integrazione di documenti mancanti», ha detto Arató, aggiungendo di ritenere che la procedura sia così complicata affinché sia “legalmente corretto” escludere partecipanti per motivi diversi da quelli professionali. Klubrádió ha presentato la sua domanda di offerta ma il Consiglio dei media ha prontamente escluso la sua proposta appellandosi a cavilli, nonostante l'emittente fosse l'unica candidata. Klubrádió prevede di presentare ricorso contro la decisione, ma Arató ha detto ai media locali che, se necessario, il caso sarà portato alla Corte di giustizia dell'Unione europea.
Un altro esempio della repressione di Orbán della libertà di stampa è il licenziamento di Szabolcs Dull, direttore di Index.hu, il più importante sito indipendente di notizie dell'Ungheria. Dull è stato licenziato nel luglio 2020 per aver avvertito che l'indipendenza di Index.hu era a rischio dopo che Miklós Vaszily, un imprenditore con stretti legami con il primo ministro, aveva acquistato una partecipazione del 50% della società madre nel marzo 2020. Vaszily è la stessa persona che qualche tempo prima aveva sovrinteso un cambiamento a favore del governo dell'allora più importante organo di informazione ungherese Origó. Per protestare contro il licenziamento di Dull più di 80 giornalisti di Index.hu si sono dimessi. Da allora il gruppo ha fondato un nuovo sito di notizie, Telex, grazie a una campagna di successo di crowdfunding. «Le fonti di entrata tradizionali come la pubblicità non possono sostenere in modo sicuro e affidabile una società di media in maniera equilibrata, soprattutto perché il più grande inserzionista è lo stesso Stato ungherese che sceglie come e dove spendere», ha raccontato a VOA la direttrice di Telex,Veronika Munk, che ha spiegato che molte aziende ungheresi evitano di pubblicare annunci pubblicitari su media critici nei confronti del governo per timori di rappresaglie.
L'altra faccia della medaglia è rappresentata dal controllo diffuso sui media filogovernativi che Reporter Senza Frontiere ha descritto come "senza precedenti nell'Unione Europea". Nel 2018, quasi 500 media filogovernativi ungheresi sono stati posti sotto il controllo della Central European Press and Media Foundation (KESMA), un agglomerato mediatico guidato dai lealisti di Orbán. Secondo Mérték Media Monitor i 476 media rappresentano circa il 40% di tutti i ricavi degli organi di informazione in Ungheria.
Anche il lavoro dei giornalisti indipendenti è diventato sempre più difficile, con l'accesso alle informazioni limitato o categoricamente negato. Sono spesso esclusi dagli eventi ufficiali e impossibilitati a porre domande liberamente ai politici in parlamento. Generalmente i rappresentanti del governo non rilasciano interviste ai media critici del loro operato. Ai giornalisti indipendenti viene spesso negato l'accesso alle informazioni consultabili pubblicamente impedendo di comunicare con i funzionari pubblici. Questo trattamento ha toccato il punto più basso all'inizio della pandemia della COVID-19, quando il governo ha approvato una legge sul "coronavirus" nel marzo 2020, consentendo al primo ministro Viktor Orbán di governare per decreto durante lo stato di emergenza. Il provvedimento includeva anche una disposizione che consentiva l'applicazione di pene detentive fino a cinque anni per chi diffondeva notizie false o distribuiva informazioni che "precludono il successo nella difesa" dalla pandemia. Mentre le misure sono state revocate a giugno 2020, il governo potrà applicare le leggi sulle notizie false in future situazioni di emergenza.
La repressione del governo Orbán della libertà di stampa iniziata nel 2010 è stata monitorata anche dal governo degli Stati Uniti, che nel 2019 ha approvato la riapertura dei servizi ungheresi di Radio Free Europe dopo 27 anni di assenza. Più recentemente, per la prima volta da decenni, l'emittente internazionale tedesca Deutsche Welle ha ripreso a pubblicare notizie in lingua ungherese, spinta dalle preoccupazioni per il declino della pluralità dei media e della libertà di stampa.
Dal 2013 l'Ungheria ha perso 33 posizioni nella classifica della libertà di stampa di Reporter senza frontiere. Nel corso degli anni, i gruppi a sostegno dei media, inclusa la Federazione europea dei giornalisti, si sono ripetutamente lamentati della situazione con la Commissione europea, esortandola a intraprendere azioni significative contro l'Ungheria, soprattutto perché i fondi dell'UE vengono costantemente utilizzati per finanziare i media filo-governativi e diffondere messaggi anti-UE.
Oltre allo smantellamento della libertà di stampa, altri tre fattori si sono rivelati fondamentali per la "democrazia illiberale" dell'Ungheria. Il primo è il sistema elettorale, con il suo forte elemento maggioritario risalente all'epoca della transizione post-comunista. Potendo contare su una maggioranza di due terzi in parlamento, Fidesz è essenzialmente libero di approvare qualsiasi legge voglia. Il secondo elemento è il ricordo sconfortante della crisi politica che ha colpito il paese tra il 2006 e il 2010. Nel maggio 2006, durante una riunione di partito, il primo ministro socialista Ferenc Gyurcsány dichiarò che il suo governo non era riuscito ad ottenere nulla nonostante fosse stato quattro anni al potere, mentendo ai suoi elettori. Ciò ha provocato un diffuso sdegno pubblico utilizzato ancora oggi da Fidesz come tema ricorrente nella campagna di propaganda per cementare il sostegno dell'elettorato. Nel 2008 la crisi economica mondiale ha innescato le misure di austerità imposte dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). Orbán e Fidesz hanno capitalizzato il malcontento promettendo più giustizia, efficienza e democrazia e assicurando la rimozione delle élite ex comuniste dalle istituzioni pubbliche.
L'ultimo fattore è che Orbán è un leader molto carismatico seguito da una schiera di eccellenti esperti di comunicazione. Fidesz ha condotto una campagna ben finanziata per cambiare cuori e menti degli ungheresi. Dal 2015, il governo ha speso più di 100 milioni di euro per convincere gli elettori di varie teorie del complotto, che coinvolgono principalmente George Soros e l'UE, entrambi accusati di voler portare milioni di immigrati in Europa.
Intanto il sostegno all'opposizione resta confinato esclusivamente a Budapest, senza il supporto delle periferie che potrebbe essere abbastanza forte da sfidare la base degli elettori di Fidesz costituita dai lavoratori della classe media. Molti cittadini, soprattutto nei centri più piccoli, temono che un eventuale voto dato all'opposizione finirebbe – se si venisse a sapere – per mettere a rischio lavoro e sussidi.
Nonostante l'odio di facciata nei confronti dell'UE, il primo ministro Viktor Orbán ha bisogno dell'Unione europea per gli ingenti fondi che garantisce e in quanto principale destinatario delle esportazioni ungheresi. L'Ungheria è in cima alla lista dei paesi in cui sono state scoperte irregolarità commesse con i fondi dell'UE.
Secondo Direkt 36, un collettivo di giornalismo investigativo ungherese, la quota dei progetti finanziati dall'UE costituisce il 94% del valore totale dei contratti di appalto pubblico firmati tra il 2010 e il 2014 da Elios, la società del genero di Orbán. Elios è stata anche segnalata per corruzione dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF). Inoltre, un amico d'infanzia di Orbán, Lőrinc Mészáros, la persona più ricca dell'Ungheria, beneficia in misura ancora maggiore dei fondi dell'UE che costituiscono il 99% del valore totale del contratto di appalto pubblico vinto dalla sua azienda. Uno studio recente del Corruption Research Center Budapest, un ente che si occupa di raccolta dati per contrastare la corruzione nel paese, ha mostrato che, nei primi quattro mesi del 2020, la corruzione in Ungheria ha raggiunto il livello più alto dal 2005, con una quota di contratti affidati senza gara che ha raggiunto il 41%.
A causa dell'alto livello di abuso di fondi, l'OLAF ha raccomandato alla Commissione europea di recuperare il 3,93% dei pagamenti effettuati all'Ungheria nell'ambito dei fondi strutturali e indipendenti e dei fondi agricoli dell'UE. Una percentuale dieci volte superiore a quella della media del blocco europeo (0,36%).
Le prossime elezioni in Ungheria si svolgeranno nel 2022 e Orbán probabilmente continuerà a insistere con la campagna diffamatoria contro l'UE, ora che Fidesz ha lasciato il PPE. È altamente improbabile che l'UE imponga sanzioni all'Ungheria prima del voto. L'UE sta attualmente indagando su sospette violazioni dello Stato di diritto dell'Ungheria ai sensi della procedura dell'articolo 7, che possono determinare la sospensione del diritto di voto di uno Stato membro. La pandemia COVID-19 ha rallentato gran parte delle procedure, in particolare quella che prevede che qualsiasi decisione importante possa essere presa solo con il voto in presenza (con la Polonia che molto probabilmente avrebbe posto il veto). Ungheria e Polonia hanno presentato una denuncia alla Corte suprema dell'UE riguardo all'applicazione della sospensione. Ciò significa che l'attuazione della nuova regola di finanziamento potrebbe slittare fino a due anni, assicurando a Orbán che l'Ungheria non sarà colpita da sanzioni significative in vista delle elezioni cruciali del 2022. «L'Unione europea può rendere più difficile per il governo ungherese l'uso improprio dei fondi dell'UE con le modalità già previste, ma non credo che ci siano molte possibilità che possa fondamentalmente compromettere il sostegno al regime», conclude Hegedűs, sottolineando che l'opposizione ungherese ha promesso di essere unita per la prima volta alle elezioni parlamentari del 2022.
Intanto la pazienza dell'UE sembra che stia per esaurirsi. Il 25 marzo il Parlamento europeo ha votato per portare la Commissione europea in tribunale a meno che non applichi rapidamente le nuove regole di finanziamento che subordinano l'accesso a miliardi di fondi dell'UE al rispetto dello Stato di diritto. Approvata da un'ampia maggioranza di parlamentari, la risoluzione ha concesso alla Commissione di scrivere le linee guida entro l'1 giugno per evitare di dover affrontare una causa presso la Corte di giustizia dell'UE.
Immagine in anteprima: European People's Party, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons