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Ungheria, il governo propone una legge che vieta l’adozione a coppie dello stesso sesso. “I bambini devono essere cresciuti seguendo i valori cristiani”

20 Novembre 2020 4 min lettura

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Ungheria, il governo propone una legge che vieta l’adozione a coppie dello stesso sesso. “I bambini devono essere cresciuti seguendo i valori cristiani”

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Martedì 10 novembre la ministra della Giustizia ungherese Judit Varga – che fa parte di Fidesz, partito del primo ministro Viktor Orbán - ha sottoposto al parlamento un disegno di legge che vieterebbe l’adozione per coppie di persone dello stesso sesso. Secondo la proposta, potrebbero adottare dei figli solo le coppie sposate, mentre i single potrebbero farlo con un permesso speciale del ministero con la delega alla Famiglia. Il governo di Orbán ha anche presentato una modifica costituzionale che prevede che i bambini vengano cresciuti seguendo i cosiddetti “valori cristiani”.

“L’Ungheria protegge il diritto dei bambini di essere identificati con il sesso di nascita, e assicura loro un’educazione basata sulla cultura cristiana”, si legge nella proposta di modifica costituzionale. Al momento una coppia dello stesso sesso può adottare dei figli se viene fatta richiesta da una delle due persone come single. Secondo le nuove regole, invece, sarebbe consentito solo in caso di matrimonio. Nella Costituzione è già previsto che quest’ultimo possa essere solo tra un uomo e una donna, ma la modifica specifica che in una relazione genitoriale “la madre è una donna e il padre è un uomo”.

Il governo giustifica il disegno di legge spiegando che “ideologie nuove e moderne nel mondo occidentale sollevano dubbi circa la creazione del sesso maschile e femminile, e mettono in pericolo il diritto dei bambini di avere un sano sviluppo”.

La nuova normativa sarà discussa in parlamento, dove Fidesz ha una maggioranza di due terzi, sufficiente per l’approvazione di modifiche costituzionali.

Le opposizioni e i gruppi per i diritti hanno criticato la proposta – vista come l’ennesimo attacco alla comunità LGBTI da parte del governo – e anche il tempismo: poche ore dopo, il mercoledì successivo, nel paese sarebbero entrate in vigore nuove misure restrittive per ridurre i contagi di COVID-19 – tra cui il divieto di uscire di casa dalle 8 di sera, la chiusura di ristoranti e bar e uno “stato di emergenza” di 90 giorni che permette al governo di approvare regole riguardanti il contenimento della pandemia senza passare dal parlamento. La proposta, inoltre, è stata presentata senza alcun preavviso.

Secondo l’organizzazione Háttér Society – la più grande e risalente ONG per i diritti LGBTI in Ungheria – il timing non è stato infatti accidentale: “Questo è un momento in cui l’espressione del pensiero dei cittadini, come ad esempio una manifestazione, non è consentita”, si legge in una nota. Il gruppo ha anche criticato il merito della proposta, che limiterebbe le possibilità di adozione per i bambini: “Restringere la possibilità di adottare alle sole coppie sposate riduce il numero di potenziali persone adottanti, e quindi impedisce a bambini senza genitori di trovare una famiglia”.

La parlamentare indipendente Bernadett Szél ha commentato su Facebook che il governo “invece di combattere il virus, vuole combattere la comunità LGBTI”. Katalin Cseh, del partito di opposizione Momentum, ha scritto su Twitter che “mentre genitori, scuole, ospedali e piccole aziende si trovavano a poche ore da un lockdown, senza sapere cosa sarebbe accaduto” perché i dettagli delle norme non erano stati ancora resi pubblici, l’agenda del governo si concentrava su una modifica costituzionale per combattere l’ideologia gender.

Già a maggio l’Ungheria aveva approvato una legge che vieta il riconoscimento legale delle persone transgender o intersex sui loro documenti. Come scrive il Guardian, per anni il governo di Orbán ha puntato su posizioni anti migranti per ottenere consenso e cementare la sua base, ma adesso potrebbe spostare la sua attenzione sulla comunità LGBTI. Un po’ come sta facendo da diverso tempo in Polonia il partito di governo Diritto e Giustizia (PiS), che ha fatto della battaglia alla cosiddetta “ideologia LGBTI” uno dei punti centrali della sua agenda.

Anche per rispondere a queste spinte, giovedì 12 novembre la Commissione Europea ha presentato per la prima volta un piano in cinque anni per garantire i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersex, non binarie e queer, che include supporto legislativo e finanziario per le organizzazioni che promuovono la parità e l’aggiunta dei crimini d’odio contro la comunità LGBT+ alla lista dei reati riconosciuti a livello UE. Tra le misure, anche il sostegno e la protezione delle famiglie omogenitoriali in tutti i 27 Stati dell’Unione.

Parlando del piano, la commissaria per l'Uguaglianza Helena Dalli ha detto che «oggi l'UE si afferma come esempio da seguire nella battaglia per l'inclusione e la diversità. L'uguaglianza e la non discrminazione sono valori centrali e diritti fondamentali nell'Unione Europea».

https://twitter.com/helenadalli/status/1326920214907416577?s=20

«Ognuno dovrebbe sentirsi libero di essere chi è, senza paura e senza essere perseguitato. L’Europa è questo, e questo è quello che rappresentiamo», ha spiegato Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea responsabile per le politiche sui valori e la trasparenza.

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Jourová ha affermato che il piano arriva in seguito a delle «tendenze preoccupanti» riguardo i diritti delle comunità LGBTI in Europa. Secondo l’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali (FRA), il 43% delle persone LGBTI si è sentito discriminato nel 2019. Nel 2012 la percentuale era del 37%. Al momento, solo 21 Stati membri riconoscono una qualche forma di unione tra due persone dello stesso sesso, e solo in 14 è consentita l’adozione per le coppie omosessuali.

La vicepresidente ha citato il caso polacco, con le aggressioni ai cortei dei Pride e gli oltre cento comuni che si sono dichiarati zone “LGBTI-free”, e quanto sta accadendo in Ungheria. Riguardo quest’ultima, Jourová ha detto che le riforme costituzionali «dovrebbero essere sottoposte a un dibattito inclusivo e pubblico, non a discussioni in circoli politici», aggiungendo che il diritto di famiglia «è di competenza dello Stato, e noi questo lo rispettiamo pienamente. Ma quando applicano una legge nazionale, gli Stati membri devono rispettare anche i loro obblighi internazionali sui diritti umani e applicare la legge dell’UE».

Foto in anteprima: Justin van Dyke sotto licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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