Fuori da qui Post

Premio UNESCO per la libertà di stampa a Shawkan, fotoreporter egiziano in galera da 5 anni: “Un giorno qualcuno dovrà spiegarmi perché sto subendo tutto questo”

3 Maggio 2018 4 min lettura

author:

Premio UNESCO per la libertà di stampa a Shawkan, fotoreporter egiziano in galera da 5 anni: “Un giorno qualcuno dovrà spiegarmi perché sto subendo tutto questo”

Iscriviti alla nostra Newsletter

4 min lettura

di Monica Macchi

“Sono i fotogiornalisti a fare la storia,
non più gli storici”
Mohammed Abu Zeid alias Shawkan

“L'illusione che incarcerare i giornalisti cambierà la realtà
è una falsa speranza”
Joel Simon, direttore esecutivo Committee to Protect Journalists

L'UNESCO ha assegnato il premio mondiale per la libertà di stampa Guillermo Cano al fotogiornalista egiziano Mahmoud Abu Zeid, noto come Shawkan, e ha deciso di conferire ufficialmente il riconoscimento il 3 maggio 2018, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa.

Shawkan è detenuto nelle carceri egiziane dal 14 agosto 2013. Al momento dell’arresto, il fotogiornalista stava seguendo, per l’agenzia britannica Dimotix, la manifestazione dei sostenitori dell’ex presidente egiziano Mohamed Morsi vicino alla moschea Rabaa al-Adawiya, a est del Cairo. Durante il violento sgombero, le forze di sicurezza egiziane uccisero oltre 600 manifestanti. Shawkam, scrive Francesca Caferri su Repubblica, "è accusato di delitti punibili con la pena di morte: appartenere a un' organizzazione terroristica, di omicidio, di tentato omicidio e di resistenza a pubblico ufficiale. Ma prima di tutto è accusato di giornalismo".

Siamo nel 2012. Da poco gli attivisti egiziani hanno creato il Mursimeter, un sito dove monitorano tutte le promesse elettorali del presidente Mohammed Mursi il quale si è presentato come “ispiratore e continuatore” della rivoluzione. Sin da subito gli attivisti denunciano le proposte di legge che tendono verso un’islamizzazione dall’alto della società e smontano il concetto di identità come fisso, stabilito e immutabile, lanciando la campagna “cartellino rosso” per scendere in Piazza Tharir e riappropriarsi di quello spazio pubblico di politica diretta e dal basso.

E così, il 30 giugno 2013, il movimento Tamarrud (Ribelli) riesce ad organizzare un’imponente manifestazione per le dimissioni di Mursi, a cui se ne contrappongono altre a sostegno dell'allora presidente egiziano: in questa situazione di stallo, amplificata dal mese sacro di Ramadan, la svolta è data dalla Festa della rivoluzione di fine luglio in cui compaiono striscioni dedicati a Sisi, allora ministro della Difesa, con la scritta “Noi ti deleghiamo, o Sisi, contro il terrorismo”. La “delega” è l’esatto opposto dello slogan “il popolo vuole” e gli attivisti che scandivano "Madanyya" (intesa nel duplice significato, profondo e innovativo, di “non religioso e non militare”) prendono immediatamente coscienza del fallimento della rivoluzione in senso politico e sono costretti a subire il ritorno al potere dei militari.

Il 14 agosto scatta immediata la resa dei conti in quello che Human Rights Watch definisce “il peggior omicidio di massa della storia moderna dell’Egitto”: nella piazza di Rabaa al-‘Adawiyya dopo l’intervento delle forze di polizia si contano un migliaio di morti, quattromila feriti, sparizioni ed arresti. In questo sit-in erano presenti moltissimi reporter e fotografi tra cui l’egiziano Mahmoud Abou Zeid, conosciuto come Shawkan, il francese Louis Jammes e l’americano Mike Giglio. Vengono arrestati insieme ma mentre gli stranieri sono stati rilasciati pressoché subito, Shawkan nonostante la macchina fotografica, il tesserino da giornalista e le collaborazioni con Time Magazine, Die Zeit, Media Group, e l'agenzia di foto online, Demotix, è stato considerato un terrorista dei Fratelli Musulmani.

Da allora è nel carcere di Tora, in detenzione amministrativa rinnovata ogni 45 giorni senza accuse formali, interrogato una sola volta, senza aver accesso a cure mediche e medicine nonostante abbia l’epatite C, finché dopo più di 1000 giorni di carcere – periodo che supera il massimo previsto dall’articolo 143 del codice penale egiziano – nel marzo del 2016 gli sono stati mossi una decina di capi d’imputazione tra cui “partecipazione ad un’assemblea militante, blocchi autostradali, incitamento all'omicidio e tentato omicidio” ed è stato condannato a morte.

La prossima udienza è prevista per sabato prossimo, in un'attesa sempre più logorante, come racconta lo stesso Shawkam in una lunga lettera riportata da Amnesty International:

Perché?

Non è abbastanza aver trascorso 1000 giorni in una detenzione ingiusta sulla base di false accuse?

Perché impediscono ai miei anziani genitori di vedermi dopo aver fatto un viaggio di quasi un giorno e mezzo per portarmi cose di cui avevo bisogno?

Perché 10 persone devono ispezionare per due ore una cella grande come una scatola di cerini?

Un giorno qualcuno dovrà spiegarmi perché sto subendo tutto questo.

Nel frattempo la situazione in Egitto riguardo la libertà di stampa è continuamente peggiorata tra censure (il programma televisivo di Reem Magued è stato sospeso dopo l’intervista con Eman Helal, fotografa di Masry Al-Youm che ha mostrato anche il suo reportage a Rabaa al-ʿAdawiyya e parlato di Shawkan), arresti (come quello di Yahia Galash, presidente del sindacato dei giornalisti egiziani, accusato di “aver nascosto persone ricercate” o quelli di Hamdy Mokhtar, Mohamed Hassan e Osama al-Bishbishi, tutti con l’accusa di “pubblicazione di notizie false”e che in realtà stavano intervistando i passanti sulle ultime iniziative del Presidente) e denunce di torture (Hamdy Mokhtar, fotografo freelance per il quotidiano el-Shaab el-Jadeed, già arrestato mentre aspettava all'obitorio l'arrivo di corpi di presunti membri dei Fratelli Musulmani e picchiato, preso a calci e sottoposto a scariche elettriche).

Ma anche in questo pesante clima di intimidazioni, ci sono state molte iniziative a sostegno: pagine Facebook, petizioni on line (sottoscritte anche dai genitori di Giulio Regeni), premi di fotogiornalismo intitolati a Shawkan, definito da Amnesty International “prigioniero di coscienza” e riconoscimenti internazionali. Nel 2016 ha ottenuto l’International Press Freedom Awards insieme all’indiana Malini Subramaniam, al salvadoregno Oscar Martinez e al turco Can Dundar mentre quest’anno è il vincitore del Premio per la libertà della stampa UNESCO / Guillermo Cano che “rende omaggio al suo coraggio, resistenza e impegno per la libertà di espressione”.

E mentre domenica scorsa, il portavoce ufficiale del ministero degli Esteri egiziano ha espresso il suo rammarico per il premio internazionale così importante a un “imputato accusato di omicidio e vandalismo”, sottolineiamo e sottoscriviamo le parole che Shawkan è riuscito a far uscire dal carcere:

E a voi, ora che sapete di me, chiedo di non abbandonarmi
perché sono un fotoreporter, non un criminale

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

"I AM A PHOTOJOURNALIST I AM NOT A CRIMINAL"Photojournalist Mahmoud Abou Zeid aka 'Shawkan' #FreeShawkan www.shawkan.com

Pubblicato da Freedom For Shawkan su Giovedì 14 gennaio 2016

Foto in anteprima via Il Manifesto

Segnala un errore