Coronavirus: perché la strategia di mitigazione proposta dal governo britannico è sbagliata
9 min letturaSe attuata, la strategia di "mitigazione" di COVID-19 annunciata nei giorni scorsi dal premier britannico Boris Johnson potrebbe mettere in ginocchio il sistema sanitario nazionale (e in particolare i reparti di terapia intensiva) e portare alla morte di centinaia di migliaia di persone.
È quanto emerge da un rapporto pubblicato il 16 marzo dall'Imperial College del Regno Unito che ha prefigurato alcuni scenari che potrebbero presentarsi a seconda delle misure adottate per contrastare la diffusione del nuovo Coronavirus. Nel dettaglio, lo studio si è focalizzato sulla situazione negli Stati Uniti e nel Regno Unito e si è basato sui dati sull'andamento dei casi di positività a COVID-19 e del ricorso all'ospedalizzazione e alle terapie intensive in Italia e UK, finora.
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Nei giorni scorsi il premier britannico e il suo consigliere scientifico, Patrick Vallance, avevano detto che non avrebbero seguito l'esempio di Italia e Cina, che avevano adottato misure più o meno drastiche con l'obiettivo di contenere la diffusione dell'epidemia, e che l'unica cosa da fare era piuttosto "ritardarla".
L'obiettivo del governo – che probabilmente si è ispirato alle linee guida di un documento del 2011 da adottare in caso di pandemia, come suggerisce Dario Bressanini – era quello di "far diffondere l’epidemia in modo controllato per far immunizzare almeno il 60% della popolazione e raggiungere, forse, la cosiddetta "immunità di gregge", cercando di rallentarla e di "spalmare" il picco dei casi, nella speranza di raggiungere l'immunità durante l'estate. Se gran parte di una popolazione diventa immune – di solito attraverso un vaccino – a una malattia, ci sono meno probabilità che altri individui suscettibili entrino in contatto con il virus che, non trovando nuovi soggetti ricettivi, circola di meno. In questo modo si riducono i rischi per la collettività. La soglia minima dell'immunità varia a seconda degli agenti patogeni. Ad esempio, nel caso del morbillo è intorno al 95%. Per quanto riguarda COVID-19, l'immunizzazione verrebbe raggiunta solo attraverso il suo contagio, non essendo ancora stato trovato un vaccino e dando per scontato che venire contagiati e guarire riesca a proteggere nel lungo periodo dal nuovo Coronavirus.
Si tratta di una strategia rischiosa, come l'ha definita su Twitter lo psicologo del comportamento social Ian Donald, perché presuppone che l'epidemia si debba diffondere in modo "innocuo" all'interno di una comunità senza che la popolazione corra gravi pericoli nonostante non sia stato trovato un vaccino. O quanto meno avventata, considerato che, come spiegato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, si sa poco di come funziona il virus e, come sottolineato dalla British Society for Immunology, senza vaccinazioni la ricerca di un'immunità di gregge è impensabile e finirebbe con l'esporre al rischio di una grave malattia proprio le persone più vulnerabili della società che invece andrebbero protette.
Lo scorso fine settimana, centinaia di scienziati hanno pubblicato una lettera aperta evidenziando che il paese si sarebbe avviato verso un disastro sanitario se il governo non avesse adottato "misure aggiuntive e più restrittive", in linea con i paesi di tutto il mondo, mentre l'ex ministro alla Salute, il conservatore Jeremy Hunt, aveva definito "sorprendente e preoccupante" la scelta della Gran Bretagna di non seguire l'esempio degli altri paesi europei.
Per perseguire la sua strada, Johnson aveva detto di essere intenzionato a mantenere le scuole aperte e aveva invitato le persone che manifestavano sintomi come febbre e tosse a rimanere a casa per una settimana, i familiari di eventuali contagiati a restare in quarantena auto-isolati per 14 giorni e gli over 70 a non uscire per diversi mesi.
Ma, spiegano gli autori del rapporto, adottare una strategia di "mitigazione", isolando i casi sospetti e i loro familiari senza alcuna misura di distanziamento sociale più restrittiva, come inizialmente pensato da Johnson, non è percorribile senza mettere sotto pressione, fino a schiacciarlo, il sistema sanitario di Regno Unito e Stati Uniti. Se davvero si vuole contrastare in modo efficace la trasmissione dell'epidemia e limitare la necessità di cure di terapia intensiva, i governi dovranno combinare più interventi di diversa natura tra di loro.
«Contavamo di costruire un'immunità di gregge, ma abbiamo realizzato che non è possibile farcela», ha commentato la professoressa Azra Ghani, a capo del settore di Epidemiologia applicata alle malattie infettive dell'Imperial College, riporta BuzzFeed News.
Nei giorni precedenti, Adam Kucharski, epidemiologo del London School of Hygiene and Tropical Medicine (che insieme all'Imperial College ha partecipato alla realizzazione del rapporto), aveva precisato in un thread su Twitter che l'immunità di gregge non era la strategia principale indicata dal loro lavoro che invece cercava di individuare delle soluzioni per ridurre la pressione sul sistema sanitario e il numero dei decessi per la diffusione del nuovo Coronavirus.
Nel complesso, la ricerca suggerisce che il distanziamento sociale applicato a tutta la popolazione, insieme all'isolamento dei casi di positività a COVID-19, la messa in quarantena delle persone venute a contatto con loro e la chiusura di scuole e università, sono gli interventi politici minimi efficaci per arrestare la trasmissione del nuovo Coronavirus e impedire che le strutture sanitarie siano schiacciate dal numero eccessivo di malati che necessitano di ricoveri in ospedale e di cure di terapia intensiva.
Alla luce anche dell'esempio delle decisioni adottate in Cina, conclude lo studio, "la soppressione dell'epidemia appare l'unica strategia praticabile al momento per invertire la crescita dei contagi, ridurre il numero di casi di positività e mantenerli bassi a oltranza", consapevoli che misure di questo genere "richiedono azioni drastiche e socialmente dirompenti rispetto a quelle di mitigazione". Gli effetti sociali ed economici di questi interventi saranno profondi, spiegano i ricercatori dell'Imperial College e della London School of Hygiene and Tropical Medicine, "molti paesi hanno già adottato queste misure e chi si trova in una fase iniziale dell'epidemia (come il Regno Unito) dovrà fare lo stesso quanto prima". Dall'osservazione di quanto avvenuto in paesi che hanno dovuto affrontare prima il dilagare del virus, si evince che è importante intervenire molto prima che la disponibilità di posti letto delle strutture ospedaliere venga superata. Nel caso del Regno Unito, significa agire prima che i ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 superino i 200 a settimana.
Nel loro lavoro, i ricercatori dell'Imperial College hanno prefigurato tre scenari diversi di diffusione e letalità della malattia e pressione esercitata sulle strutture sanitarie di Regno Unito e Stati Uniti. In assenza di interventi (o cambiamenti spontanei nel comportamento individuale), ci aspetta un picco di decessi giornalieri dopo circa 3 mesi (Figura 1A). In questo scenario, dato un indice di contagiosità del 2,4 (cioè, per ogni persona infetta, se ne contagiano quasi 2 e mezza), i ricercatori prevedono che l'81% degli abitanti di USA e Regno Unito possa contrarre la malattia e che, alla luce dell'estensione geografica dei due paesi e delle caratteristiche anagrafiche della popolazione (il Regno Unito è di dimensioni più ridotte rispetto agli USA e la sua popolazione più anziana di quella statunitense), possano esserci 510mila decessi nel Regno Unito e 2,2 milioni negli USA, "senza considerare ulteriori potenziali effetti negativi derivanti dall'eccessiva pressione esercitata dall'alto numero di contagi sui sistemi sanitari".
Inoltre, la capacità di posti letto in terapia intensiva potrebbe rivelarsi già insufficiente durante la seconda settimana, con una richiesta oltre 30 volte superiore alla disponibilità effettiva (Figura 2).
C'è poi la strategia di "mitigazione" inizialmente proposta dal governo britannico. Nel caso in cui fossero applicati alcuni interventi non esclusivamente ospedalieri e farmaceutici, come l'isolamento dei casi diagnosticati come positivi, la quarantena domestica dei contatti loro più vicini e il distanziamento sociale delle persone più a rischio (gli over 70), ci sarebbe già nei primi 3 mesi di epidemia una riduzione di circa due terzi dei malati ricoverati in terapia intensiva, un minor numero di casi di morbilità e il dimezzamento dei decessi, in generale, che scenderebbero a 250mila per il Regno Unito e poco più di 1 milione per gli USA. Tuttavia, anche in questo scenario "ottimale", si legge nel rapporto, ci sarebbe una richiesta di posti letto in terapia intensiva 8 volte superiore alla capacità massima dei due paesi.
Cosa fare, dunque, per contrastare in modo davvero efficace la diffusione dell'epidemia e allentare la pressione sul sistema sanitario? Secondo i ricercatori dell'Imperial College occorre combinare più strategie per almeno 5 mesi: misure di "distanziamento sociale" di tutta la popolazione, isolamento dei casi positivi e quarantena dei familiari venuti a contatto con loro, chiusura di scuole e università.
Sebbene ci siano ancora incertezze sull'effettiva efficacia di queste politiche perché il virus è poco conosciuto e i risultati a lungo termine che si possono raggiungere attraverso le azioni di contrasto sono allo stato attuale ignoti, i ricercatori stimano che la combinazione di tutti e quattro gli interventi possa portare a breve termine a una riduzione dei casi di positività e del numero di malati che necessitano di terapie intensive, dopo un picco di 3 settimane. Più efficace di questa misura, spiega il rapporto, c'è solo il blocco completo di tutte le attività che impedisce alle persone di andare al lavoro.
Sia l'isolamento dei casi che la messa in quarantena delle famiglie – proseguono i ricercatori – sono interventi epidemiologici fondamentali per la mitigazione delle malattie infettive perché agiscono riducendo le possibilità di contatto (e quindi di trasmissibilità del virus) di coloro che sono noti per essere infettivi (casi) o che possono ospitare infezioni (contatti stretti). Inoltre, la chiusura delle scuole e delle università, combinata con il distanziamento sociale in tutta la popolazione, può facilitare ulteriormente l'interruzione dei contatti sociali tra le famiglie e quindi recidere canali di contagio.
Tuttavia, per evitare un rimbalzo del contagio, è altamente probabile che queste politiche debbano essere mantenute fino a quando non saranno disponibili grandi scorte di vaccino per immunizzare la popolazione, il che potrebbe richiedere 18 mesi o addirittura di più. Dalla ricerca (Figura 3) appare certo, infatti, che "allentando prima del dovuto le disposizioni molto stringenti assunte in questo momento, il contagio possa riprendere rapidamente, portando a uno scenario paragonabile a quello che potrebbe verificarsi nel caso in cui non venga adottato alcun intervento". E non è affatto chiaro "come risponderanno le popolazioni e le società a misure di questo tipo così dilatate nel tempo: nessun intervento sulla salute pubblica con effetti così profondi sulla società è stato precedentemente tentato per così tanto tempo".
«Questo virus circolerà potenzialmente per un anno o due, quindi dobbiamo orientarci su queste scale temporali. Con il tempo, possiamo imparare a bilanciare la necessità di "abbassare la curva" con il modo migliore per vivere le nostre vite e rilanciare l'economia. È impensabile che il virus scompaia nelle prossime settimane. Abbiamo ancora tanta strada davanti», racconta a Vox ancora Kucharski.
Questo non vuol dire che il distanziamento sociale sia inutile ma che, se si rinuncia a questo approccio e non si dispone di una forte strategia di contenimento in atto per sostituirlo, il virus provocherà nuovi focolai. Una maggiore conoscenza del virus aiuterà a capire quale sarà il giusto mix tra le misure da adottare. Per questo motivo, il rapporto invita a osservare come la Cina gradualmente ridurrà le misure di contenimento.
«Tra un anno magari ci accorgeremo che alcune delle azioni intraprese adesso potrebbero non essere state necessarie. Ma, in questo momento, non possiamo lasciare nulla al caso perché non conosciamo bene questo virus», spiega Peter Hotez, a capo della National School of Tropical Medicine del Baylor College. «Se, ad esempio, si scopre che i bambini non hanno un ruolo importante nella trasmissione della malattia, potrebbe avere senso riaprire le scuole. Magari, se i divieti di viaggio si rivelano inefficaci, potrebbero essere revocati. Alle persone potrebbe essere ancora chiesto di lavorare da casa, ma potranno essere riaperti i ristoranti con posti a sedere limitati».
«Una volta che le cose miglioreranno, dovremo adottare un approccio graduale per rinunciare a queste misure e vedere come vanno le cose per evitare che le cose peggiorino di nuovo», aggiunge Krutika Kuppalli, medico di malattie infettive ed esperta di biosicurezza alla Johns Hopkins University Center for Health Security.
Nel frattempo, il 16 marzo, Boris Johnson ha annunciato l'adozione di interventi più drastici rispetto a quelli inizialmente preventivati e chiesto ai cittadini britannici di evitare "contatti non essenziali", di non andare nei pub, al cinema e a teatro per rallentare la diffusione del nuovo Coronavirus e di fare sport solo all'aperto a distanza di sicurezza dagli altri. Il premier britannico ha aggiunto che le persone in isolamento dovrebbero rinunciare a uscire di casa «anche per comprare cibo o cose essenziali».
Tuttavia, come spiegato dal rapporto dell'Imperial College, queste nuove misure non sembrano essere ancora sufficienti a contenere la diffusione del virus e a prevenire effetti disastrosi sul sistema sanitario e sulla salute delle persone. Johnson, commenta Therese Raphael su Bloomberg, dovrà dire chiaramente dove intende collocare il Regno Unito sulla scala della mitigazione-soppressione e fino a che punto il governo è disposto a spingersi per tenere bassi i tassi di letalità e ossigenare un'economia che rischia di andare in crisi se non arriverà presto un vaccino in grado di debellare COVID-19.
Immagine in anteprima via Repubblica