Cosa può cambiare sul fronte ucraino dopo la caduta di Assad
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Il 6 dicembre scorso, in occasione della visita a Parigi di numerosi leader mondiali per la riapertura della cattedrale di Notre-Dame, il presidente francese Emmanuel Macron ha organizzato a sorpresa un incontro trilaterale con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il neoeletto presidente statunitense Donald Trump.
Il tema principale della riunione, durata circa 45 minuti, è stato la risoluzione della guerra tra Ucraina e Russia. Ovvero l’avvio di un processo diplomatico mirato a preparare eventuali trattative di pace, già annunciate come obiettivo della politica estera di Trump prima della sua elezione, un mese fa, e ribadite nella capitale francese. Si trattava anche del primo incontro dal vivo fra Zelensky e Trump dopo il voto per le presidenziali: secondo Axios, negli scorsi giorni Macron avrebbe insistito perché il presidente americano, inizialmente scettico, accettasse l’invito.
Il vertice all’Eliseo rappresenta infatti un successo comunicativo per Macron, che torna con forza sulla scena mondiale in una settimana segnata dalla crisi politica interna seguita al voto di sfiducia congiunto di Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon contro il governo di Michel Barnier, durato appena tre mesi.
Secondo alcuni osservatori, il caos politico a Parigi ha comportato un ulteriore smacco per la Francia sul piano europeo. Il giorno successivo alla caduta di Barnier, infatti, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen era a Montevideo per firmare l'accordo commerciale tra l'Unione Europea e i paesi del Mercosur, l'unione doganale dell'America Latina. Questo trattato, considerato storico e in discussione sin dai primi anni 2000, è stato fortemente sostenuto dalla Germania ma osteggiato dalla Francia, in particolare dallo stesso Macron.
Alla luce della recente visita a Kyiv del cancelliere tedesco Olaf Scholz, il quale non è riuscito a placare del tutto le critiche per la sua recente chiamata con Vladimir Putin, la mossa di Macron sembra anche mirata a riaffermare in Europa il ruolo centrale dell'Eliseo rispetto a Berlino nel processo di mediazione tra Ucraina e Russia.
Come scrive Alberto Simoni su La Stampa il trilaterale segna pure l’inizio ufficioso del secondo mandato di Donald Trump, almeno sul palcoscenico internazionale. Pochi giorni dopo la vittoria contro Kamala Harris, il Wall Street Journal riportava come Trump non avesse ancora scelto uno specifico piano d’azione per l’Ucraina fra quelli proposti dai suoi consiglieri, sebbene tutti prevedessero, in ultima istanza, il congelamento del conflitto: una prospettiva confermata il 10 novembre anche da uno dei principali alleati di Kyiv, il primo ministro polacco Donald Tusk.
In seguito all’ingresso di truppe nordcoreane nella guerra in supporto dell’esercito russo nella regione di Kursk, e alla decisione dell’attuale presidente Joe Biden di concedere all’Ucraina di colpire obiettivi in profondità nel territorio russo, nello scorso mese c’è stato un timore diffuso di un’escalation fra Washington e Mosca. Nonostante le ritorsioni russe sul territorio ucraino, fra cui il lancio del missile balistico a medio raggio Oreshnik su Dnipro, l’escalation è presto rientrata, in parte offuscata dalle evoluzioni sociali e geopolitiche in Georgia e soprattutto Siria.
Il giorno successivo al vertice con Zelensky e Macron, coincidente con la caduta del regime siriano, Trump ha pubblicato su Truth un post in cui metteva in relazione Damasco e Kyiv. Secondo Trump il dittatore siriano Bashar al-Assad è scappato dal paese perché “il suo protettore, la Russia guidata da Vladimir Putin, non era più interessata a proteggerlo [...]. Ha perso ogni interesse in Siria a causa dell’Ucraina, dove quasi 600 mila soldati russi sono morti o feriti [numeri simili alle stime dell’esercito statunitense in ottobre, NdA], in una guerra che non sarebbe mai dovuta cominciare, e che potrebbe andare avanti all’infinito”.
Allo stesso tempo, per Trump anche “Zelensky e l’Ucraina vorrebbero arrivare ad un accordo e fermare la follia”. Il futuro presidente ha fornito alcune cifre anche sulle perdite ucraine, senza però indicare le fonti di tali numeri. L’Ucraina “ha perso in modo ridicolo 400 mila soldati, e ancora più civili”, ha scritto.
Non è chiaro a cosa si riferisca Trump in entrambi i dati: l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha stimato a fine ottobre in circa 13 mila il numero di morti e 26 mila quello dei feriti tra le vittime civili dell’invasione russa dell’Ucraina. Riguardo ai soldati caduti, non è chiaro se Trump si riferisca ai morti o anche ai feriti; nel post usa “lost”. In risposta al presidente americano, Zelensky ha dichiarato che i soldati ucraini che hanno perso la vita sono 43 mila (sebbene si tratti di una cifra sicuramente sottostimata), mentre i feriti sarebbero 370 mila, di cui la metà tornata in servizio dopo la riabilitazione.
In un'intervista rilasciata a NBC News, uscita dopo il vertice (ma registrata lo scorso venerdì, cioè il giorno prima di incontrare Zelensky a Parigi) Trump ha pure dichiarato che un taglio degli aiuti a Kyiv è “probabile”. Il 22esimo pacchetto da 988 milioni di dollari annunciato dal Dipartimento della Difesa statunitense nell’ambito della Ukraine Security Assistance Initiative potrebbe essere uno degli ultimi per Kyiv; la scorsa settimana lo speaker repubblicano Mike Johnson ha rifiutato di autorizzare il voto della Camera sulla richiesta di 24 miliardi di dollari di aiuti supplementari avanzata dall'amministrazione Biden.
Sorprendentemente, e in controtendenza con il resto della leadership dell’Ucraina, Zelensky sembra disposto ad ascoltare Trump e venirgli incontro “su qualsiasi proposta”. Il presidente ucraino ha definito l’incontro “produttivo” ringraziando Trump per l’abituale “risolutezza”, ribadendo ancora una volta, però, la ricerca di una “pace giusta” per l’Ucraina. “Tutti vogliamo la pace. Ma è molto importante per noi che la pace sia giusta per tutti noi e che la Russia, Putin o qualsiasi altro aggressore non abbiano la possibilità di ritornare”, ha scritto Zelensky.
Il governo ucraino nutre comunque delle preoccupazioni riguardo alla prossima amministrazione americana. In particolare, a Kyiv si continua a temere uno scenario per cui gli Stati Uniti possano davvero accettare che la Russia occupi un quinto del territorio ucraino, qualora un accordo di pace dovesse congelare la mappa sulle attuali linee di contatto - quest’ultime tutt’altro che stabili, e sotto forte pressione dell’esercito russo, in seguito al mese peggiore per gli ucraini dal punto di vista militare dal 2022.
Nelle scorse settimane, Zelensky si è mostrato più aperto riguardo alla possibilità di concessioni territoriali temporanee, in cambio di garanzie per l'ingresso della restante parte dell'Ucraina nella NATO e di aperture diplomatiche per i territori occupati da Mosca. Tuttavia, sembra improbabile che sia proprio l’amministrazione Trump a spingere per l’ingresso dell’Ucraina in un'alleanza da cui gli stessi Stati Uniti “potrebbero ritirarsi”, come ha recentemente dichiarato, qualora gli altri membri non aumentino le proprie spese militari.
La direzione della futura politica estera americana in Europa orientale è diventata infatti più chiara quando a fine novembre Trump ha scelto il suo fedelissimo Keith Kellogg, generale in pensione e in passato consigliere per la Sicurezza nazionale dell’ex vicepresidente Mike Pence, come inviato speciale per l’Ucraina e la Russia. Kellogg è un forte critico della politica estera di Biden e co-dirige il Center for American Security dell’American First Policy Institute, uno degli istituti di riferimento della politica estera trumpiana. La sua strategia è ridurre gli aiuti a Kyiv per forzare Zelensky a sedere al tavolo delle trattative, ma anche di aumentare gli aiuti nel caso sia Mosca ad opporsi.
Allo stesso tempo, nessuna prospettiva di ingresso nella NATO è offerta a Kyiv in compensazione di una possibile perdita dei territori occupati dal Cremlino, ma solamente la promessa di un generico aiuto nella difesa per garantire il rispetto degli accordi di pace da parte russa. Di fatto, con le richieste russe immutate, il piano di Kellogg sembra prefigurare una resa di Kyiv con garanzie di sicurezza future da definire. Sarebbe però errato definire l’ex generale negli stessi termini di altri esponenti del circolo stretto MAGA, come il vice di Trump JD Vance, pronti a lasciare l’Ucraina in balìa del Cremlino. A differenza di altri trumpiani, Kellogg non ha affatto criticato la decisione di Biden sui missili a lungo raggio, dichiarando che questa mossa potrebbe garantire “maggior leva negoziale” nei confronti di Putin.
In ogni caso, per ciò che è stato reso pubblico finora, appare ancora difficile trovare gli elementi per cui Zelensky possa essere spinto ad accettare un tale accordo, pur tenendo conto della difficile situazione militare sul campo e di una popolazione che diventa gradualmente più propensa a concessioni in cambio di pace. Sebbene sia ancora a uno stato embrionale, la trattativa preliminare fra Trump e Zelensky potrebbe aver avvicinato i due, almeno nella misura per cui sembrano ascoltarsi l’un l’altro: il primo sembra aver abbandonato la retorica di abbandono incondizionato del fronte ucraino, i cui costi in termini di sicurezza sarebbero altissimi. L’ucraino ha aperto a possibili concessioni temporanee, qualora gli Stati Uniti forniscano garanzie serie e di lungo termine.
Gli ostacoli pratici rimangono. Zelensky è in teoria impossibilitato a trattare con la leadership russa per suo stesso decreto, ma sorpassare questo ostacolo è una questione di pura volontà politica. Formalmente, la Russia si è sempre dichiarata pubblicamente pronta a trattare, sebbene sul campo abbia dimostrato, anche in questi giorni, di voler arrivare sul tavolo negoziale occupando quanto più territorio ucraino possibile, e non ha mai mostrato alcuna considerazione riguardo alle richieste ucraine. Incalzato dai giornalisti, Trump non ha chiarito se ha già parlato o meno con Vladimir Putin: “Non voglio dire nulla che possa impedire le trattative”, ha detto. Il suo invito alla Cina ad aiutare nella mediazione, tuttavia, appare come un tentativo di inserire la pace in Ucraina nel più ampio scacchiere internazionale: le trattative sul sud-est ucraino non passeranno solo da Kyiv e Mosca.
(Immagine anteprima: via Flickr)