Il destino dell’Ucraina, il futuro dell’Europa [podcast]
5 min letturaIl 24 febbraio 2022 ha inizio l’invasione russa in Ucraina. Dopo quasi 2 mesi, sono migliaia i civili uccisi e milioni di cittadini ucraini sono stati costretti ad abbandonare il paese. E ancora non si vede la fine.
Con Simone Attilio Bellezza, abbiamo cercato di capire come si è arrivati fin qui, dando una prospettiva storica alla comprensione del presente.
Simone Attilio Bellezza è ricercatore di Storia Contemporanea nel Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università di Napoli Federico II e autore di diversi libri sull’Ucraina tra cui Il destino dell'Ucraina. Il futuro dell'Europa, dove ricostruisce come l’Ucraina post-sovietica abbia compiuto un percorso di democratizzazione ed europeizzazione e come l’allontanamento dal polo attrattivo russo abbia causato delle crisi che erano al tempo stesse interne e internazionali. Man mano che questo accadeva, la Russia ha cercato di riconquistare terreno perso con mezzi sempre più violenti.
Con Bellezza abbiamo ripercorso la storia delle proteste ucraine, dalla dichiarazione di indipendenza nel 1991 alla rivoluzione arancione, fino alla piazza di Euromajdan, che gli ucraini chiamano "Rivoluzione della dignità". Proteste e rivoluzioni che hanno segnato la formazione di una coscienza civica nazionale, un patriottismo civile non legato alla concezione etnica della nazione, ma a quella di cittadinanza. Abbiamo poi affrontato il problema della presenza di forze ultranazionaliste, di estrema destra violente e razziste e la figura di eroe nazionale di Stepan Bandera; e, ancora, l'annessione della Crimea e la guerra nel Donbass, la presidenza di Porosenko, caratterizzata da una forte spinta identitaria - leggi liberticide volte al revisionismo storico, strategia di 'de-comunistizazzione' e 'de-russificazione'. Infine l'irruzione sulla scena di un personaggio improbabile come Zelensky, l'invasione russa su larga scala di questi giorni con una riflessione finale su come mettere fine a questa guerra.
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«Le radici del conflitto stanno negli anni ‘90, che sono gli anni nei quali questi due Stati (Russia e Ucraina) dopo il crollo dell’Unione Sovietica acquistano l’indipendenza e devono costruire una nuova società con il libero mercato, con la democrazia, con le elezioni che prima non c’erano», spiega Bellezza. «Gli anni ‘90 sono anni di crisi, molto violenti, anni di corruzione, anni di mancanza di legislazione. Dalla fine degli anni '90, secondo me l’anno svolta per entrambi i paesi è il 1999, Putin diventa per la prima volta capo del governo in Russia e poi Presidente: inizia uno sviluppo in principio basato sull’idea che Putin sia l’unica persona in grado di gestire la politica russa garantendo un benessere man mano crescente ai propri cittadini ma a patto di rinunciare a una politica democratica. Dall’altra parte, invece, in Ucraina dal 1999 diventa primo ministro Juschenko (che poi ritroveremo come presidente dal 2005 al 2010) che inizia a sviluppare la società ucraina come una società che si rifà ai valori occidentali, alla europeizzazione, alla democrazia liberale con i partiti, con la pluralità dell’informazione e da quel momento l’identità nazionale ucraina inizia sempre più a definirsi in opposizione a quella russa: dall’altra parte ci sono i russi che non sono democratici, che hanno Putin. Noi siamo diversi siamo democratici, vogliamo stare con l’Europa, con gli Stati Uniti, abbiamo il coraggio di scendere in piazza e protestare per la democrazia e questo è diventato sempre di più un elemento costitutivo delle identità ucraina e della differenza con la Russia».
«È necessario parlare del fatto che l’ordine internazionale così com’è non funziona più, che le Nazioni Unite hanno bisogno di una riforma, non è il mondo bipolare della guerra fredda… La Cina non vuole interpretare un ruolo globale, di grande soggetto internazionale. Dall’altra parte, c’è il pericolo che gli USA vogliono vedere questa guerra come l'occasione per affermarsi come potenza in quell’area contro la Russia, che chiaramente è uno Stato in declino…».
“La Russia nell’ultimo decennio - scrive Attilio Bellezza in “Il destino dell’Ucraina” - si è sempre più chiusa in se stessa, divenendo una vera e propria dittatura: proprio per questo motivo l’esistenza di un’Ucraina democratica è considerata problematica dalla classe dirigente putiniana. Russia e Ucraina sono due paesi con una storia comune di secoli e con grandissime affinità culturali, che la rendono l’una l’alter ego dell’altra… L’esistenza di un’Ucraina democratica è per Putin la dimostrazione tangibile che un diverso sviluppo della Russia era possibile ed è quindi considerata di per se stessa un pericolo.
Per questo motivo Putin e il suo circolo hanno elaborato un filone di propaganda ideologica volto a negare ogni pretesa di indipendenza e di specificità dello Stato ucraino nato nel 1991: il 12 luglio 2021 Putin ha pubblicato sul sito della Presidenza russa un articolo intitolato Sull’unità storica di russi e ucraini nel quale sostiene, in maniera rocambolesca, che fin dai tempi della Rus’ di Kyiv, russi e ucraini costituiscono uno stesso popolo e che quindi uno Stato ucraino non ha ragione di esistere…”. Per Mosca l’Ucraina è una minaccia perché è diventata il simbolo di un’europeizzazione e di una democratizzazione riuscite.
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Sulla rivista Il Mulino, Simone Attilio Bellezza l'1 marzo a conclusione di un suo articolo dal titolo 'Un nuovo Afghanistan per la Russia?' scriveva: “Stati Uniti e Unione Europea hanno fatto bene a non indietreggiare di fronte alle minacce russe e ad annunciare il sostegno anche militare all’Ucraina: la Russia di Putin ragiona secondo le linee di una politica di potenza che si potrebbe definire ottocentesca e per essere presi sul serio bisogna dimostrare una certa forza. Ora però è necessario che l’Occidente e l’Ucraina escogitino una via d’uscita dal conflitto accettabile per Putin, perché l’alternativa è una guerra nella quale la distruzione del paese e una quantità enorme di vittime civili sarebbero inevitabili. Salvare la vita degli ucraini sarebbe la vera vittoria di Zelens’kyj”.
Dopo due mesi di guerra, gli chiediamo, cosa pensa oggi.
«Zelensky non ha salvato le vite ucraine ancora, ma può ancora farlo, deve essere molto abile a cercare di capire quando è arrivato il momento di scendere a compromesso. Il suo problema qual è? Al di là delle perdite territoriali che possono turbare e che sarebbero chiaramente ingiuste, il problema di Zelensky è salvare le vite degli ucraini, e bisogna capire quando fermarsi… Quando pensiamo al regime putiniano pensiamo a un regime dittatoriale quindi tutti noi sogniamo probabilmente che il regime crolli. Il problema è che noi non dobbiamo trasformare questa guerra in una guerra a tutto campo contro Putin, perché quelli che ne fanno le spese sono i civili ucraini che morirebbero in questo conflitto. Quindi l’Occidente, anche l’Europa, deve sapere che sì, si mandano le armi, ma poi si può far sentire la propria voce e dire all’Ucraina che bisogna fermarsi e pensare ai civili: questo è un ruolo che possiamo ancora ritagliarci anche noi come soggetto politico indipendente come Stati europei. Aiutare l’Ucraina altrimenti da sola potrebbe soccombere, sapere anche dire quando è arrivato il momento di fermarsi. Dobbiamo mostrarci soprattutto noi europei, che non sono percepiti dalla Russia come un interlocutore in grado di discutere qualcosa, in grado di fare una politica di potenza.
Questa guerra deciderà il destino dell’Ucraina, il futuro dell’Europa. Se noi non riusciamo a imporre ai due contendenti di trovare un compromesso il destino dell’Europa sarà quello di assistere a una guerra che si prolungherà per tantissimo tempo, magari per anni, ai confini dell’Europa e che produrrà una crisi economica civile grandissima anche per l’Europa, oltre che per la Russia che già ne è colpita. Questa è una sfida per l’Europa che deve cercare di far finire questa guerra in una maniera tale da riaffermare quei valori che sono gli stessi che gli ucraini professano di voler avere nelle proprie vite, nel proprio regime politico, a Kyiv, che devono essere riaffermati con un trattato di pace. Tutto sta nel come riusciamo a gestire la fine di questo conflitto».
Immagine anteprima Evgeny Feldman, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons