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La storia del giovane russo fuggito dal suo paese per andare a combattere dalla parte dell’Ucraina

5 Settembre 2023 17 min lettura

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La storia del giovane russo fuggito dal suo paese per andare a combattere dalla parte dell’Ucraina

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di Meduza (Kristina Safonova)

Dani Akel Tammam ha 25 anni, è nato a Mosca ma si è trasferito ad Aleppo con il padre dopo la separazione dei genitori, avvenuta quando aveva solo tre anni. Per tutta l'infanzia ha continuato a visitare la madre a Mosca e alla fine degli anni zero, rendendosi conto che in Siria si stava preparando un conflitto armato, si è trasferito definitivamente in Russia. "Abbiamo dovuto abbandonare tutto", ha raccontato a Meduza. "Molti dei miei parenti sono stati uccisi". Dopo un periodo nell'esercito russo, si è iscritto all'università e ha iniziato a partecipare alle proteste pro-democrazia, che hanno portato a pestaggi da parte della polizia, minacce alla sua famiglia e, infine, ad accuse penali. Poi è arrivata l'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte della Russia. Poco dopo l'inizio della guerra, Akel ha attraversato illegalmente l'Estonia a piedi e ha chiesto asilo. Ora fa parte della Legione "Libertà per la Russia", un'unità di soldati russi che combattono per l'Ucraina. Meduza racconta la sua storia.


Nel tribunale del distretto moscovita di Preobrazhensky è estate, siamo nel 2021. Un giovane che indossa una t-shirt con un motivo a palme e pantaloncini dai colori vivaci si avvicina alla sbarra su dei pattini a rotelle, lasciando la giudice Marina Leonova incredula.

"Dove pensi di andare così?", chiede la giudice.

"Ero di nuovo in ritardo", risponde il giovane.

Il processo fa parte del "Caso Sanitario", un'azione legale avviata nel gennaio dello stesso anno contro una dozzina di sostenitori dell'oppositore russo Alexey Navalny. Secondo l’accusa, invitando le persone a partecipare alle proteste a favore di Navalny seguite al suo arresto, gli indagati hanno istigato a violare le restrizioni pandemiche.

Gli imputati rischiano fino a due anni di carcere. Tra loro è presente nella stanza Lucy Shtein, consigliera comunale e membro delle Pussy Riot. Shtein ha inviato diversi tweet poco prima della manifestazione a sostegno di Navalny:

"È bello scherzare, ma il 23 gennaio dobbiamo davvero uscire e mandare affanculo il Caro Leader e i suoi amici (anche se non credo in nulla e non mi aspetto nulla, non possiamo stare a casa)"

"Vestitevi per il CALDO domani"

"Gli agenti dei servizi segreti hanno bussato a tutte le porte, ma domani usciremo lo stesso (non conto di andare oltre la stazione, in ogni caso), perché questa è una situazione di merda - facciamo appello A TUTTI VOI".

Ora le autorità si aspettano che Dani Akel - il giovane sui pattini a rotelle - testimoni contro Shtein, dichiarando di essersi convinto a partecipare alla manifestazione dopo aver letto i tweet della donna.

Il manifestante

Su Instagram, Akel sembra un uomo russo qualsiasi di vent'anni. Una foto del periodo lo mostra seduto su un divano con una bottiglia di whisky; in un'altra è sempre seduto, stavolta insieme ai suoi amici intorno a un narghilè.

Parlando con Meduza, Akel si descrive come "un ragazzo qualunque". A scuola gli interessavano la storia e la politica, e a 16 anni arriva l'illuminazione: "Le persone sono più felici nei paesi che operano secondo i principi democratici". Così decide che farà tutto il possibile per cambiare la Russia. Quattro anni dopo si è arruolato nell'esercito russo.

"Credevo di potermi costruire una carriera militare e di poterla usare per diventare un'avanguardia dei cambiamenti democratici nell'esercito", racconta. "Era, in parte, una fantasia. Ho una fervida immaginazione".

Durante l'anno trascorso come cecchino al confine con la Russia, abbandona l'idea. "Ho visto abbastanza di quello che stava accadendo nell'esercito russo", spiega."L'esercito è in declino. È a pezzi".

Una volta tornato, si iscrive al corso di filosofia all'Università Statale di Mosca. Subito organizza  "eventi di ogni tipo”, come concerti e mostre d'arte. Poi, nel gennaio 2021, lo arrestano per la prima volta durante una protesta in difesa di Navalny.

Non è stata la sua prima manifestazione contro le politiche antidemocratiche, come racconta a Meduza. Aveva preso da poco la COVID-19, ma dopo un test negativo ha deciso di andare a manifestare il suo sostegno al dissidente incarcerato.

Così durante la protesta la polizia lo arresta e lo picchia. In poco tempo, i media di Stato scoprono che ha violato le regole della quarantena per partecipare alla manifestazione, e la notizia diventa di dominio pubblico.

"La situazione è peggiorata velocemente", ha dichiarato in un video su YouTube. "Non solo per me, ma per tutta la mia famiglia. Ci sono state telefonate minatorie. Non minacce dirette, ma quando i tuoi genitori ricevono telefonate dal lavoro e cose del genere, ti spaventi. Non tanto per te, quanto per loro".

Nonostante ciò, il 31 gennaio partecipa a un'altra protesta. La polizia gli riserva lo stesso trattamento. "Vai nelle strade della tua città, nel paese di cui sei un cittadino, esprimi la tua opinione su qualcosa che non ti piace, e questi delinquenti arrivano a picchiarti. E devi pure pagare per questo", racconta a Meduza. Il riferimento è alla multa di 20 mila rubli (191 euro) per la partecipazione a una manifestazione non autorizzata.

Dopo migliaia di arresti e numerosi episodi di violenza contro i manifestanti, le proteste a sostegno di Navalny cessano gradualmente. Akel pensa allora che anche l’interesse delle autorità nei suoi confronti stia scemando. Ma all'inizio di aprile, il Comitato investigativo Russo gli invia una convocazione per posta, chiamandolo a testimoniare nel "Caso Sanitario".

Un testimone dell'accusa

Akel non nega di aver violato le norme sulla pandemia per partecipare a una protesta. "Date le circostanze, dire: ‘Non ho violato le regole della quarantena, mi dichiaro non colpevole!' sarebbe stato stupido", spiega il suo avvocato, Mikhail Biryukov. Così Akel accetta un patteggiamento, in base al quale il giudice non può condannarlo a più di due terzi della pena massima prevista dalla legge. "Pensavano che dopo il patteggiamento ed essersi dichiarato colpevole Akel sarebbe andato oltre, facendo i nomi delle persone i cui appelli avevano provocato la sua partecipazione alle proteste", dice Biryukov.

Il tribunale impone ad Akel una serie di restrizioni preprocessuali, come il divieto di uscire di casa tra le 22 e le 8 del mattino o di comunicare con altri imputati del caso. I mesi precedenti l'udienza sono emotivamente difficili. "Ero stressato dal pensiero che avrei dovuto lasciare il paese o andare in prigione", racconta. "La prigione russa è un'esperienza terribile, terribile per chiunque". Durante il periodo perde rapidamente peso.

Mentre i suoi amici lo sostengono, i suoi genitori sono in gran parte indifferenti:

Per come la vedono loro, la Russia ha i propri interessi e vanno soddisfatti a prescindere. Non vedono l'ovvio, che il nostro intero paese sta assecondando solo gli interessi e i desideri di Putin.

Poco prima del processo, il capo dell'unità investigativa telefona a casa, gli chiede di uscire a parlare. "L'ho fatto e abbiamo parlato a tu per tu. Cercava di entrare nella mia testa, ma non ho mai pensato di fare un patto con il diavolo".

Allo stesso tempo, si rende conto che, a prescindere dalla decisione, gli imputati del caso e i loro sostenitori lo sospetteranno di lavorare segretamente con l'accusa. Uno degli imputati, Oleg Navalny, in una circostanza lo accusa direttamente: "Siamo sicuri che ti sei fatto comprare e li stai aiutando a ottenere una qualche versione di comodo". (Sentito da Meduza, Navalny sostiene di non aver mai parlato con Akel e di "non aver mai detto una cosa del genere", ma ricorda che Akel è stato testimone dell'accusa).

"Quando non sapevamo nulla di lui e non avevamo visto le sue interviste, pensavamo si trattasse di un falso testimone ingaggiato contro di noi", dice Lucy Shtein. "Ma alla fine ha parlato onestamente in tribunale, dicendo che non aveva letto i nostri post su Twitter e che andare alla protesta era stata una sua idea".

Nell'agosto 2021, il giudice di Mosca, Marina Leonova, condanna Shtein a un anno di arresti domiciliari parziali. Altri sospettati sono condannati a pene simili; molti di loro, tra cui la stessa Shtein, lasciano la Russia il prima possibile. Dani Akel riceve una multa di 100 mila rubli (953 euro).

Akel trascorre l'anno successivo in una profonda depressione. L'Università lo espelle per aver partecipato alle proteste, e lui perde ogni motivazione a lavorare. Allo stesso tempo, a causa della condanna, la polizia lo chiama più volte al mese per interrogarlo. "Hanno cercato di addestrarmi a vivere e pensare come volevano loro", racconta. "Dicevano sempre le stesse cose, che tutte le proteste erano finanziate dall'Occidente, che i paesi occidentali vogliono distruggere il nostro paese e che stavo dando la mia vita per persone a cui non importa nulla di me".

A volte questi "colloqui" si tengono a casa sua. Si presentano agenti di polizia e agenti in borghese che secondo Akel lavorano al Centro E., o Centro per la lotta all'estremismo. "Anni di lavoro spazzati via. Guardavo il soffitto e pensavo: 'Come è potuto succedere? Cosa posso fare ora?' Non avevo idea di quale direzione dare alla mia vita, in quei momenti".

Poi la Russia invade l'Ucraina. L'inizio della guerra su larga scala colpisce Akel "più duramente dell'accusa di aver commesso un reato", racconta a Meduza. "È stato orribile rendersi conto che la Russia l'aveva fatto davvero. Perché le conseguenze per il paese saranno disastrose. Questo era chiaro, soprattutto quando sono entrati i primi convogli di carri armati russi, quando sono uscite le foto dei cadaveri. Ero furioso".

La maggior parte dei suoi amici sostiene la guerra a prescindere, e secondo lui non cambieranno idea. Così gli resta una sola strada, "prendere le armi e combattere".

Un fuggitivo

"Il piano era molto semplice e, mi sembrava, molto solido", racconta Akel: attraversare la Lettonia, presentarsi all'ambasciata ucraina e dichiarare di volersi unire alle forze armate ucraine.

Annuncia le sue intenzioni in un video su Instagram. Poi, a metà marzo 2022, esce di casa.

Si trova su un treno da Mosca a San Pietroburgo quando i genitori lo avvertono che casa loro è stata perquisita dalle autorità. "La polizia ha cercato di fare irruzione in casa di mia madre", racconta. "Hanno detto che avrebbero aperto un secondo procedimento penale contro di me, stavolta con l'accusa di estremismo".

Invece di trattenersi a San Pietroburgo, prende il primo taxi disponibile e va a Pskov, la città più vicina al confine lettone. L'idea è di entrare in Lettonia illegalmente. "Ero sicuro che non mi avrebbero fatto uscire dal paese. Soprattutto perché avevo pubblicato un video in cui annunciavo dove stavo andando e cosa avevo intenzione di fare".

A causa del terreno impervio, i primi due tentativi di attraversare il confine falliscono. Quando Akel sta per mettere in atto il terzo tentativo, torna all'hotel di Pskov dove ha lasciato gli effetti personali e viene a sapere che le autorità sono già passate a cercarlo. "Non sono nemmeno salito in camera. Mi sono voltato e sono uscito".

Stavolta va in direzione del confine verso l'Estonia. Spegne il telefono per assicurarsi di non essere rintracciato, con sé ha soltanto una bussola e una mappa cartacea per orientarsi nella foresta.

"C'erano un sacco di animali, uccelli di tutti i tipi", racconta."Persino tracce fresche di orso. Ero un po' nervoso. C'era anche un piccolo fiume, ci sono caduto dentro e non è stato piacevole". Vicino al confine c'erano delle guardie di pattuglia. Quando le ho viste, mi sono dimenticato degli uccelli, degli orsi e di tutto il resto, mi sono sdraiato in un cespuglio e ho aspettato".

Quando la via sembra libera, si rimette in cammino e raggiunge un recinto di filo spinato, che scavalca. "Oh, finalmente ho attraversato il confine!" pensa. Ma dopo altri 300 metri incontra un altro recinto di filo spinato, ancora più grande.

All'inizio, Akel non capisce come superare la recinzione, perciò si limita a camminare. "Poi mi sono tolto i vestiti esterni, li ho gettati sul filo spinato e l'ho scavalcato", ha raccontato.

Il 26 marzo 2022, Dani Akel si è trovato in Estonia per la prima volta nella sua vita."Non sono fuggito", insiste. "Ho solo lasciato il paese temporaneamente - finché avremo a che fare con questo governo. Tornerò sicuramente".

Un rifugiato

Nel giro di poco tempo Akel finisce al Centro di detenzione temporanea dell'Estonia, una struttura in un sobborgo di Tallinn che definisce una "prigione". Il centro è diviso in due sezioni: una per i sospetti sotto indagine e una per i migranti che hanno attraversato illegalmente il confine e sono in attesa di un procedimento legale.

Secondo Uliana Ponomareva, avvocato del Centro estone per i diritti umani, non tutti coloro che chiedono asilo finiscono nella struttura. La maggior parte dei richiedenti asilo può vivere in istituti aperti in attesa della risposta del governo e deve essere presente solo di notte. Ma la polizia e la guardia di frontiera estoni possono chiedere che una persona sia tenuta in custodia in determinate situazioni, ad esempio se rappresenta un rischio per la sicurezza o si pensa che possa fuggire.

Nel caso di Akel, il giudice opta per quest'ultima argomentazione. "Quando è stato arrestato per la prima volta, ha detto che sarebbe andato in Ucraina per combattere contro la Russia", spiega Ponomareva. "Molto probabilmente avrebbe lasciato l'Estonia prima che fosse presa una decisione in merito alla protezione internazionale, e sulla base di ciò si è deciso per la detenzione". 

Stando a quanto Akel ha riferito a Meduza, non c'era modo di comunicare con il mondo esterno. Nel maggio 2022, tuttavia, due mesi dopo l'inizio della detenzione, riesce a ottenere l'accesso a Internet. "Ho scritto a Lucy Shtein", racconta. "Mi sono ricordato che era fuggita nei paesi baltici. Ci conoscevamo per via del nostro caso penale. Non eravamo amici intimi, ma ci eravamo già parlati".

Dopo aver condannato Shtein a un anno di "libertà di movimento limitata" nel "caso sanitario", il tribunale le ha ordinato di indossare un dispositivo di localizzazione. Nell'aprile del 2022, la donna pubblica online un video che la ritrae mentre taglia il localizzatore dalla caviglia. "La separazione è una piccola morte, ma sono stata costretta a porre fine alla mia relazione con la Federazione Russa", scrive su Twitter, aggiungendo: "Questa non è una fuga, è un'operazione speciale di cazzeggio".

Per Shtein il messaggio di Akel è una sorpresa. "Aveva un passaporto straniero e nessun braccialetto di tracciamento”, racconta a Meduza. “Mi sembrava che in quella situazione ci fossero modi più semplici per uscire dalla Russia. Ma ormai l'aveva fatto, quindi ho dovuto aiutarlo".

Non conoscendo nessun attivista estone per i diritti umani, Shtein pubblica un post su Facebook. Nel giro di poco tempo le risponde Konstantin Chadlin, un attivista russo che ha ricevuto asilo in Estonia nel 2018 e che da allora aiuta le persone in situazioni simili alla sua.

Chadlin va così a trovare Dani Akel. "Mi ha detto di condannare la guerra e di voler combattere per l'Ucraina", spiega Chadlin. "Un giovane appassionato. Che altro aggiungere? Gli ho consigliato di concentrarsi sulla regolarizzazione del suo status".

Grazie a Chadlin, il Centro estone per i diritti umani viene a conoscenza del caso di Akel. Secondo l'avvocata Uliana Ponomareva, dall'inizio dell'invasione su larga scala il carico di lavoro del Centro è aumentato di cinque volte. "Prima ricevevamo ogni anno circa 100 domande di asilo da tutti i paesi. Solo nei primi sei mesi del 2023, invece, ne abbiamo ricevute 107. Una buona parte di esse, quasi tutte, sono state accolte. La maggior parte, quasi la metà, proveniva dalla Russia". 

Ponomareva inizia a lavorare al caso di Akel nel giugno dello scorso anno. Dopo circa due mesi, all'inizio di agosto ottiene il rilascio. Contestare la detenzione è stato difficile: "Abbiamo costruito la nostra linea sul fatto che il desiderio di andare a combattere per l'Ucraina non fosse l’unico obiettivo, e che aveva i requisiti per la protezione internazionale in base alle idee politiche", racconta.

Poco dopo il rilascio dalla detenzione, Akel ottiene un passaporto per rifugiati e un permesso di soggiorno in Estonia. Ha ancora in mente di andare in Ucraina. "Ad essere sincero, persino io sono sorpreso", racconta. "In prigione ho iniziato a pensare di essere pazzo. Magari la mia è solo un'ossessione, mi dicevo. Perché molti al posto mio avrebbero lasciato perdere, mentre io continuavo a insistere nei miei propositi".

"Non l'ho preso sul serio", spiega Lucy Shtein a proposito del progetto di Akel di unirsi alla guerra. "Molte persone dicono che andranno, ma poche lo fanno davvero".

Nel breve periodo in cui si sono conosciuti in Russia, Shtein ha avuto l'impressione di un "ragazzo moscovita ben curato" e "un po' hipster". "Se mi avessero chiesto chi dei miei amici sarebbe andato a combattere per le forze armate ucraine, non avrei mai pensato lui", spiega.

Il fatto che Akel abbia mantenuto quella direzione è perciò una piacevole sorpresa per lei. "Per rimanere fedeli a una decisione del genere, bisogna avere una forte convinzione interiore. Vuol dire che crede in una Russia libera. Crede che sia possibile".

"Queste persone vedono uno scenario diverso", dice Konstantin Chadlin a proposito di Dani Akel e degli altri russi che scelgono di combattere dalla parte dell'Ucraina. "Vedono un'opportunità storica in questa situazione. Capiscono che la libertà passa attraverso il fucile".

Un foreign fighter

Dopo numerose lettere e telefonate senza esito a funzionari militari ucraini, e due tentativi falliti di entrare in Ucraina dalla Polonia, Akel prende contatti con la Legione "Libertà per la Russia". Formatosi nel marzo del 2022, è un battaglione di volontari composto da cittadini russi. Alla fine dell'estate di quell'anno è in grado di schierare piccoli gruppi sul campo di battaglia.

"All'inizio dell'invasione, secondo la legge ucraina, ai cittadini dei paesi aggressori (Russia e Bielorussia) era vietato unirsi al loro esercito", spiegano i rappresentanti della Legione. "Allo stesso tempo, si è fatto strada un numero considerevole di russi che, in base ai propri principi morali, non potevano restare a guardare. È diventato di estrema importanza creare norme giuridiche che garantiscano i diritti di tutti i volontari, prevenendo allo stesso tempo l'infiltrazione dei servizi segreti russi. Questo è uno dei motivi per cui la divisione ha impiegato così tanto tempo a costituirsi".

Della Legione "Libertà per la Russia” si sa poco. Non ha reso disponibili dati sulle dimensioni e poco si conosce sul ruolo avuto finora nel corso della guerra. Ma i suoi obiettivi sono invece molto chiari. Il post su Telegram più discusso dell'unità recita: "Senza dubbio, la nazionalità più umiliata e depotenziata nella Federazione Russa sono i russi. Ogni tentativo di difendere i loro interessi nazionali porta ad accuse di sciovinismo".

Nel post si legge anche che il compito della legione è "mantenere una Russia unificata e indivisibile nei confini stabiliti nel 1991", dove "ogni nazionalità sarà ascoltata" e "avrà l'opportunità di preservare la propria cultura e il proprio stile di vita", e dove le regioni diventeranno tutte economicamente e finanziariamente più indipendenti. La dichiarazione si conclude con le parole: "Dio ci aiuti nella nostra sacra lotta! Per la Russia! Per la libertà!".

La Legione è un'unità ufficiale delle forze armate ucraine. "Coordiniamo tutte le nostre azioni sul territorio ucraino con il comando militare", afferma l'ufficio stampa della formazione. Inoltre, riceve il sostegno dell'ex deputato della Duma di Stato russa Ilya Ponomarev, che attualmente vive in Ucraina.

Lo scorso agosto, Ponomarev, che sostiene di rappresentare un altro gruppo segreto pro-Ucraina chiamato Esercito della Repubblica nazionale, e un combattente di "Libertà per la Russia" conosciuto col nome di battaglia Caesar, hanno firmato un accordo noto come "Dichiarazione di Irpin". Tra le altre cose, il documento proclama:

Il nostro obiettivo è una Russia libera e democratica, costruita sui principi dell'autogoverno dei cittadini e della giustizia sociale; una Russia senza oligarchia e corruzione, violenza della polizia, abuso di potere da parte dei funzionari, guerre e annessioni, o colonie e territori occupati; un paese in cui ogni gruppo nazionale scelga la propria strada.

L'idea di una Russia libera sta molto a cuore a Dani Akel. "L'unità ha attirato la mia attenzione", spiega. "Ho letto il loro canale Telegram e ho visto che si presentano nel modo giusto. Mi è piaciuto che parlassero di democrazia".

Akel si unisce alla Legione nell'inverno del 2023. All'inizio, spiega, capisce di avere ancora molto da imparare: le competenze acquisite nell'esercito russo si rivelano infatti inadatte a prendere parte a una vera guerra.

Una volta completato l'addestramento, Akel è assegnato come artigliere al 1° battaglione della Legione. Come nome di battaglia sceglie "Apostolo". Così lo descrive il suo comandante:

ha dimostrato di essere un soldato pronto ad assumersi più compiti contemporaneamente e a portarli a termine. Impara in fretta e si sforza di essere utile alla sua unità. Può avere alterchi su argomenti che gli stanno a cuore, ma gode del rispetto dei suoi compagni d'armi.

"La prima volta che si va in battaglia è più dolce della prima volta che si fa sesso. Davvero, vi consiglio di provarlo", recita un post che Akel ha pubblicato su Instagram nel giugno 2023. Nella foto indossa un'uniforme militare e impugna una mitragliatrice.

Tra maggio e giugno, la Legione unisce le forze con un altro gruppo anti-Cremlino, il Corpo dei volontari russi, ed effettua due grandi incursioni nella regione russa di Belgorod. Durante la seconda, ottengono temporaneamente il controllo del villaggio di Novaya Tavolzhanka, nel distretto di Shebekino. In seguito l'Ucraina ha ufficialmente negato ogni coinvolgimento nelle incursioni.

Akel racconta che durante il raid ha provato grande orgoglio per la sua unità. Nonostante l’inferiorità numerica, sono riusciti a costringere i soldati russi alla ritirata. "Avevano veicoli blindati, ma hanno abbandonato l'equipaggiamento e lasciato cadere le armi. In pratica sono scappati nella foresta".

Il raid si conclude il 6 giugno, dopo vari giorni. Più tardi, nello stesso mese, le autorità russe riferiscono che 14 persone sono morte, mentre altre 10 sono prigioniere. Sempre secondo le autorità russe, inoltre, le forze filo-ucraine avrebbero subito pesanti perdite, circostanza però smentita da quest’ultime.

Ad Akel non interessa sparare ai soldati russi. "Non capirò mai cosa spinge una persona a rinunciare alla propria vita per attaccare un altro paese. Le cose sarebbero molto più semplici se quei ragazzi deponessero le armi e si rifiutassero di eseguire ordini criminali", dice. Per lui, ogni giorno di guerra significa case distrutte, vite rovinate e morti continue.

"Ho iniziato a provare angoscia, una certa amarezza per il fatto che la gente muore. Mi fa sentire aggressivo, e prima non mi succedeva", spiega. "Preferirei non vedere tutto questo, ma non posso evitarlo".

Alla fine dello scorso luglio, la Legione "Libertà per la Russia" ha prestato giuramento di fedeltà al popolo russo. In piedi in un campo di fiori, le 33 nuove reclute hanno ripetuto all'unisono: "Gloria all'Ucraina! Libertà alla Russia!". Dani Akel era tra loro.

"Amo il mio paese", spiega. "Mi piacerebbe che diventasse un paese prospero, dove vivono persone felici che aspirano a prosperare. Questo fa di me un patriota, no?".

Secondo l'Agenzia russa di informazione legale (RAPSI), sono già stati aperti almeno 20 procedimenti penali contro i membri della Legione, con accuse che comprendono tradimento dello Stato, terrorismo e sabotaggio. I membri della Legione "Libertà per la Russia" rischiano anche di essere incriminati per aver formato un gruppo terroristico, un crimine punibile con l'ergastolo.

Akel insiste che non sta combattendo contro i suoi connazionali, ma contro lo Stato che sta "distruggendo" le loro vite. I suoi parenti vivono ancora in Russia.

"Sono stato messo in una situazione di fatto senza speranza. Voglio tornare a casa, voglio tornare, ma non posso", racconta. "Non posso stare seduto 30 anni ad aspettare che la situazione si risolva in qualche modo non-violento, solo per entrare nel paese sulle spalle di altri e organizzare elezioni per il mio interesse".

Per quanto riguarda il futuro, Akel ha già scelto la propria strada: si vede come una persona che si batte per "difendere la bontà":

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Se qualcuno si impossessa della tua casa, non ti lascia entrare, ti picchia, ti ruba i soldi, cosa fai? Non puoi chiamare la polizia: non c'è. Ci sei solo tu, la tua casa e i banditi. Chiunque, in una situazione del genere non starebbe con le mani in mano e proverebbe a risolvere il problema.

Articolo originale pubblicato sul sito indipendente russo Meduza con licenza CC BY 4.0 (la traduzione in inglese della versione in russo è di Sam Breazeale). Per sostenere Meduza si può donare tramite questa pagina.

(Immagine in anteprima: grab via YouTube)

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