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Media a caccia di contenuti: lo sfruttamento di giornalisti e cittadini ucraini

2 Marzo 2022 4 min lettura

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Media a caccia di contenuti: lo sfruttamento di giornalisti e cittadini ucraini

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3 min lettura

di Raffaella Menichini

“Cari giornalisti. Non produrrò più contenuti gratis per voi. Ho del lavoro da fare. C’è una guerra nel mio paese. Scusate”.

Il tweet conciso di Nika Melkozerova, direttrice del sito The New Voice Ukraine, ha dato voce oggi alla frustrazione di molti giornalisti e citizen journalist che stanno lavorando sul campo (o lo hanno fatto in occasioni passate) e vedono i propri materiali utilizzati da grandi media, spesso senza credit e quasi sempre senza alcun riconoscimento economico. Se Melkozerova racconta poi nel suo account Twitter di volersi prendere una pausa per prendersi cura della sua famiglia e contribuire allo sforzo bellico del suo paese, il suo appello viene raccolto e amplificato da altri che si trovano nella sua stessa situazione.

Qualcuno, come l’americano Terrell Jermaine Starr che fa parte dell’Eurasia Center dell’Atlantic Council, lamenta l’approccio ipocrita di molti network, pronti a produrre un video tributo di 30 secondi “e passare subito al prossimo pezzo di lavoro sfruttato”.

Come molti altri freelance, Starr si è organizzato con una raccolta di fondi privata per autofinanziare il proprio lavoro. Ma il problema di come dare un valore economico al lavoro delicato, pericoloso e altrettanto vitale di chi in queste ore è in Ucraina e può documentare gli eventi, si sta ponendo con una certa urgenza. E molte sono le iniziative, dentro e fuori l’Ucraina, per strutturare forme di finanziamento: micropagamenti, consorzi, raccolte di fondi.

Si è appena formata la Ukrainian Volunteer Journalists Initiative (UVJI), un network di circa 200 volontari disseminati sul territorio ucraino che offrono ai grandi network, soprattutto americani, servizi di reporting di vario genere sul campo: ricerca di interviste, traduzioni di notiziari e media locali, report quotidiani sull’evoluzione della situazione bellica, materiale video fotografico, informazioni su come inviare donazioni alla popolazione.

Fuori dall’Ucraina, l’iniziativa forse più significativa è quella dell’Adami Media Prize, che dal 2015 sostiene lavori improntati alla tolleranza e alla diversità di giornalisti, scrittori, videomaker nei paesi dell’Est Europa, in collaborazione con la tv franco-tedesca Arte. Si chiama “Eye on Ukraine” ed è un hub di materiali - video, foto, reportage - che giornalisti, producer televisivi, film-maker attualmente in Ucraina possono utilizzare per distribuire i propri lavori in modo retribuito. “Non vi incoraggiamo a buttarvi sulle immagini sensazionali di carriarmati o esplosioni - si legge nel post di presentazione su Facebook - per favore rimanete più al sicuro possibile - ma di inviare materiali su tutti gli aspetti e gli argomenti di cui vi state occupando. L’Arte Journal non userà il vostro lavoro gratis ma gli daremo grande evidenza in Europa occidentale. Pagherà i diritti per ogni video/film/report che verrà utilizzato, per sostenere il vostro lavoro”.

Sempre dalla Germania si segnala l’iniziativa del magazine tedesco di “cartografia delle scienze sociali” Katapult che sta arruolando un team di citizen journalist in Ucraina e in Germania, con una paga di 1650 euro al mese per reportage, video, foto.

In un teatro di crisi ad alta intensità come quello ucraino, ai reporter freelance servono anche altri tipi di supporto. L’International Journalists’ Network raccoglie qui un po’ di risorse e iniziative messe a disposizione in Ucraina e fuori: il Media Assistance Coordination Center messo su dall’associazione ucraina Media Development Foundation per mettere in contatto giornalisti con chi può fornire riparo, vitto, kit di primo soccorso, cure mediche, trasporti, materiali di protezione. La tedesca Media Freedom Rapid Response fornisce assistenza logistica, legale, tecnica (come VPN e materiali) e supporto alle famiglie di giornalisti in pericolo o perseguitati. Il Rory Peck Trust, fondato in memoria del cameraman americano Rory Peck ucciso a Mosca nel 1993, ha istituito un “fondo di crisi” per l’acquisto di kit di protezione per giornalisti che si trovino già sul campo.

E già si pensa alla diaspora del giornalismo ucraino. In Polonia la Fundacja Reporterów in collaborazione con il Global Investigative Journalism Network e l’Organized Crime and Corruption Reporting Project hanno messo su una rete di aiuto ai giornalisti che decidono di lasciare il paese

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Immagine in anteprima: Un giornalista mentre documenta gli scontri in Independence square, a Kyiv, in Ucraina nel febbraio 2014 – Foto di Mstyslav Chernov, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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