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La mobilitazione internazionale per aiutare la popolazione ucraina

15 Giugno 2022 8 min lettura

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La mobilitazione internazionale per aiutare la popolazione ucraina

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Dall’assistenza sanitaria alla distribuzione di kit alimentari e igienici, dagli interventi educativi a quelli di ricostruzione, fino all’organizzazione delle evacuazioni dei civili. Dopo l’invasione dell’Ucraina si è mobilitato un grande movimento internazionale, con ONG e associazioni che da vari paesi hanno dato supporto alla popolazione civile. Le organizzazioni più piccole hanno portato il loro supporto soprattutto nelle zone di confine, in particolare in Romania, Polonia e Moldavia, mentre quelle più strutturate sono arrivate anche all’interno del territorio ucraino, fino alle zone di combattimento.

Oltre all’aiuto umanitario, esistono anche organizzazioni (soprattutto ucraine, nessuna italiana) che si sono attivate per supportare i combattenti al fronte, raccogliendo fondi per acquistare e inviare scorte alimentari e aiuti logistici, ma anche strumentazione tecnologica utilizzata nei combattimenti. Quella più nota è Come back alive: nata nel 2014, è diventata oggi la più grande organizzazione che fornisce supporto alle forze armate ucraine, finanziando attività non offensive ma difensive. Dall’inizio dell’anno fino al 30 maggio, Come back alive ha raccolto più di 100 miliardi di dollari per l’esercito, più altre donazioni in criptovaluta. Questi soldi servono per acquistare termocamere, droni, tablet con il software Armor per fermare l'artiglieria russa, ma anche per organizzare corsi di formazione per varie figure militari, e per fornire riabilitazione sportiva, psicologica e reinserimento lavorativo ai veterani di guerra. 

“La maggior parte delle donazioni arriva dagli Stati Uniti, in secondo luogo dai paesi dell’Unione Europea e infine dall’Ucraina”, spiega Andrii Rymaruk, capo del dipartimento militare di Come back alive. “Le donazioni alla nostra organizzazione funzionano molto attraverso il passaparola: gli ucraini che vivono all’estero condividono le informazioni e questo ci aiuta a farci conoscere anche in altri paesi”. 

Anche Rymaruk è un veterano di guerra: ha combattuto dall'inizio del 2015 alla metà del 2016 come comandante di un comando di fanteria regolare. “Io stesso, quando ero nell’esercito, ho ricevuto strumenti tecnologici da parte di Come back alive: è stato un grande aiuto in quella fase della guerra”, racconta. “Adesso applico la mia esperienza sul campo al mio nuovo lavoro. I fondi ai combattenti sono fondamentali per vincere una guerra: inviare aiuti umanitari è importante, certo, ma se non si supporta l'esercito non ci saranno più persone libere che avranno bisogno di essere soccorse”.

Si moltiplicano le donazioni per i combattenti ucraini

A marzo, anche la Banca nazionale dell’Ucraina ha lanciato un crowdfunding per supportare le forze armate. Nelle prime settimane di guerra, poi, alcuni privati cittadini hanno fatto nascere dal basso nuove campagne per raccogliere donazioni per i combattenti, come #SupportUkraine.

“Abbiamo iniziato con un piccolo gruppo di amici ucraini e bielorussi che ora vivono nella baia di San Francisco”, racconta Nick, uno dei fondatori. “Quando è partita l'invasione russa noi, come molti altri, abbiamo cominciato a mandare soldi alle nostre famiglie, agli amici, e anche ad associazioni umanitarie: in quel periodo però stavano comparendo su internet molte truffe che spingevano a fare donazioni a progetti fasulli. C’erano persino pagine create da troll russi, che si fingevano organizzazioni no profit ucraine. Così abbiamo aperto il sito supportukraine.co, pubblicando una lista di associazioni di cui potersi fidare”.

Parallelamente, alcuni loro amici e conoscenti erano stati arruolati o si erano uniti alle forze di difesa territoriale ucraine. “Molti di loro combattevano senza protezioni, alcuni addirittura non avevano neanche un paio di stivali adeguati e in Ucraina era ancora inverno”, spiega Nick. “Abbiamo iniziato a ricevere da loro richieste del tipo: ‘Ehi ragazzi, potete inviare delle scarpe, ginocchiere, lacci emostatici dagli Stati Uniti?’”. 

Così il gruppo ha acquistato attrezzature e si è organizzato per inviare una prima spedizione di materiali su un volo commerciale per la Polonia. Da lì, un volontario ha attraversato il confine con l’Ucraina, dove poi il materiale è stato smistato. “È stato così che abbiamo deciso di lanciare una vera e propria raccolta fondi”, dice Nick. “Ha funzionato: non compriamo grandi strumentazioni, a volte sono le cose basilari a mancare, come le scarpe, le protezioni per gli occhi o i kit di primo soccorso. Tutti vogliamo che questa guerra finisca, ma sfortunatamente i combattimenti sono ancora in corso: fino ad allora non dobbiamo dimenticarci delle persone che difendono l’Ucraina”.

L’aiuto umanitario dall’Italia

Anche molti cittadini ucraini che hanno trovato asilo in Italia mandano donazioni per supportare i militari, mentre le ONG e le associazioni italiane si sono attivate sul fronte umanitario. Tra le più importanti, la Croce Rossa si è subito mossa con attività di primo soccorso e ha distribuito oltre 100mila pacchi di cibo e kit di igiene. Inoltre, sta dando supporto socio-sanitario e psicologico e aiutando le famiglie che sono state separate dal conflitto a riunirsi. La carovana per la pace “Stop the war now”, promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII con altre 150 associazioni, in rappresentanza della società civile nonviolenta e pacifista, lo scorso aprile ha scaricato a Leopoli 52 tonnellate di aiuti umanitari ed è tornata in Italia con 65 mezzi e 300 profughi ucraini provenienti da tutto il Paese. A maggio la rete ha realizzato l’evacuazione di un gruppo di 63 orfani degli istituiti di Mariupol e Kramatorsk. Una seconda carovana per la pace è pronta a partire il prossimo 14 luglio. Nel frattempo, Save the children ha allestito undici spazi a misura di bambino, dove viene fornito supporto psicosociale ai minori, per aiutarli a elaborare il trauma della guerra: sul territorio vengono distribuiti kit rifugio e studio a chi ha dovuto abbandonare la propria casa. In 23 ospedali vengono fornite medicine e viene fatta formazione con un focus specifico sulle cure pre e post parto.

E poi c’è Caritas italiana, che dal 24 febbraio al 6 maggio ha raggiunto un milione e mezzo di persone. Attraverso le Caritas nazionali (Caritas Ucraina e Caritas Spes), è stata potenziata la rete dei centri di prima accoglienza (oggi 30 su tutto il territorio ucraino), per assistere gli sfollati interni e chi all’inizio provava ad attraversare la frontiera. “Dopo lo shock iniziale, abbiamo dovuto riconvertire le nostre strutture, come i centri parrocchiali, i centri per disabili o i centri per le famiglie, in centri di accoglienza, per riadattarli ai nuovi bisogni”, spiega Laura Stopponi, responsabile per l’Europa di Caritas italiana. “All’inizio la priorità era di assistere le persone di passaggio che scappavano e dare tutte le informazioni per arrivare alla frontiera. Successivamente abbiamo potenziato l’assistenza alle persone che si trovavano in maniera più stabile nelle città di frontiera, aiutandole nella ricerca di un alloggio, nell’assistenza sanitaria e nelle loro necessità primarie”. 

Contemporaneamente, Caritas ha cercato di arrivare nelle zone dove continuavano i combattimenti, organizzando la logistica per far arrivare i beni di prima necessità di cui c’era bisogno: sono stati creati sei poli di smistamento, che si appoggiavano a diversi magazzini sul territorio: dall’Italia sono state inviate più di 84 tonnellate di cibo e beni di prima necessità. E poi c’è l’accoglienza dei profughi: oltre 10.500 persone (di cui 4.800 minori) sono stati accolti in 148 diocesi italiane. Sono stati organizzati corsi di italiano, percorsi di accompagnamento psicologico e sanitario, inserimento scolastico e lavorativo e attività educative per bambini. 

“Oggi siamo nella terza fase dell’emergenza: stiamo accompagnando le persone che stanno tornando nelle loro case nelle zone liberate”, continua Stopponi. “E poi forniamo supporto psicologico, anche per lo staff, che è stato molto sotto stress negli ultimi mesi e che oggi ha bisogno di respiro. Siamo ancora in una fase di emergenza, ma la guerra si sta prolungando. Per fortuna il livello di attenzione è ancora alto, ma con il tempo i media inizieranno a occuparsi d’altro e le donazioni caleranno. È il grande problema di tutti i conflitti dimenticati: ecco perché stiamo cercando di diluire l’invio di fondi nel tempo, in modo da riuscire a garantire l’assistenza anche sul lungo periodo”.

Il treno-ospedale che trasporta i feriti in salvo

E poi c’è chi ha pensato a come mettere in sicurezza i feriti di guerra sfruttando la linea ferroviaria. Medici senza frontiere ha trasformato un treno in una clinica d’urgenza per trasportare i pazienti dalle linee del fronte agli ospedali più sicuri.

“Il 24 febbraio tutti i progetti che portavamo avanti in Ucraina sono stati sospesi e la nostra azione si è dovuta riadattare al nuovo contesto di guerra”, spiega Maurizio Debanne, responsabile dell’ufficio stampa di Medici Senza Frontiere, che ha trascorso un mese in Ucraina a documentare le attività dell’organizzazione. “Inizialmente la priorità era di riuscire a fare entrare nel paese le forniture mediche necessarie per gli ospedali, per continuare a operare: allora abbiamo stretto un accordo con le ferrovie ucraine, per utilizzare i treni e raggiungere le varie città. A quel punto abbiamo avuto un’intuizione: perché non usare le stesse linee della ferrovia anche per evacuare i feriti?”.

Il 31 marzo è partito così il primo treno-ospedale di Medici senza frontiere, due vagoni e una locomotiva con i posti sventrati all’interno e un’apertura allargata per fare passare le barelle: in poco più di due mesi sono già stati trasportati circa 600 pazienti, più 78 orfani evacuati da un orfanotrofio, per un totale di 22 trasferimenti. Si tratta di pazienti giovani con ferite da trauma, ma anche anziani provenienti da case di cura e persone fragili, come i bambini, impossibilitati a fuggire dal conflitto. A fine aprile si è aggiunto anche un secondo treno più grande, con otto carrozze e un piccolo reparto di terapia intensiva con cinque posti.

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“Le persone vengono portate da est verso ovest, di solito con meta Leopoli, e i viaggi durano circa una ventina di ore più le soste”, racconta Enrico Vallaperta, che ha lavorato come infermiere a bordo del treno-ospedale dal 9 aprile al 31 maggio. “Durante il tragitto di andata si prepara il treno per ricevere i pazienti, poi si fanno due o tre fermate per prelevare le persone in diverse città e si inizia l’attività medica in base ai loro bisogni.  Poi si rientra verso Leopoli”. Dall’inizio del conflitto le esigenze sono cambiate: in una prima fase i pazienti erano soprattutto vittime dirette della guerra, feriti da esplosione, principalmente da schegge, persone con fratture o amputazioni. In una seconda fase sono diminuiti i feriti diretti del conflitto e sono aumentate le persone con problemi sociali: anziani con difficoltà motorie, persone disabili o bisognose di assistenza medica.

“Una cosa che mi ha colpito molto è che durante il viaggio nessuno guardava fuori dal finestrino, molti chiudevano le tendine e non volevano vedere quello che succedeva intorno”, dice Vallaperta. “Tra i primi pazienti che abbiamo trasportato c’era una infermiera di 25 anni che aveva perso entrambe le gambe e una parte di una mano per lo scoppio di una mina. È arrivata sul treno accompagnata dal fidanzato, aveva sempre il sorriso e conviveva già con la sua disabilità come se ce l’avesse da lungo tempo. Dopo qualche giorno ho visto una sua foto sui social network: a Leopoli, in ospedale, si è sposata. È stata una delle tante storie che ho incrociato mi ha insegnato molto”.

Immagine in anteprima: L'arrivo a Lviv del primo treno sanitario di Medici Senza Frontiere l'1 aprile 2022. MSF ha effettuato la sua prima visita medica su un treno a due carrozze appositamente convertito – Foto: MSF

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