Dazi, tagli e instabilità: come Trump sta riscrivendo l’economia USA a beneficio di pochi
10 min letturaL’economia di un paese è un sistema complesso che dipende da molteplici fattori, domestici e internazionali, spesso non controllabili da un singolo governo. Per questo è necessario procedere con cautela quando si fanno affermazioni sui meriti di un governo, ad esempio quando si parla di record nell’occupazione, dichiarazioni che abbiamo visto più e più volte nel corso di questi anni.
Quello che sta succedendo negli Stati Uniti è però un caso particolare. I segnali negativi per la crescita economica e per la situazione in generale dipendono, quasi interamente, dall’amministrazione Trump, dalle affermazioni del Presidente e della sua amministrazione nonché dai proclami e dalle azioni dell’agenzia DOGE gestita dall’oligarca Elon Musk.
La situazione è tale per cui anche il Presidente è intervenuto. Durante un'intervista rilasciata ai, rispondendo a una domanda sulle prospettive di una recessione, Trump ha dichiarato che si aspetta un “periodo di transizione”. Quello che si immagina, d’altronde, è una completa riconfigurazione dell’economia americana, puntando maggiormente sulla produzione domestica nel tentativo di rilanciare il mercato dei beni americani e le imprese. Tuttavia, come evidenziano gli esperti, se questo piano necessariamente passa da costi di breve periodo, che potrebbero essere tollerati, non è facile intravedere i benefici sul lungo periodo che invece Trump si aspetta.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Dai mercati ai consumatori: l’economia americana è ferma?
Dal punto di vista tecnico la recessione è complessa da definire e dipende da vari fattori, come durata e intensità. La definizione più precisa e comprensibile, anche detta “recessione tecnica”, è la seguente: si considera un’economia in una fase di recessione se si assiste a un calo del PIL per due trimestri consecutivi. Altre definizioni restano più vaghe, come quella del National Economic Bureau Research (NBER). Un articolo divulgativo dell’International Monetary Fund (IMF) fa chiarezza sulle varie definizioni e sui limiti delle stesse, per chi volesse approfondire.
Per questo motivo, è più accurato evidenziare che l’economia americana durante questi primi mesi di presidenza Trump sta mostrando evidenti segni di debolezza, soprattutto nel corso delle ultime settimane.
Partiamo dall’andamento delle borse. In un primo momento il mercato aveva reagito positivamente all’elezione di Trump, visto come un Presidente pro-business e contrario alla regolamentazione. Con i primi sussulti della guerra commerciale innescata dalla nuova amministrazione, però, i mercati finanziari hanno cominciato a manifestare un atteggiamento meno positivo.
Il Wall Street Journal, già a febbraio, aveva definito quella di Trump “la più stupida guerra commerciale della storia". Con l’acuirsi delle tensioni, le borse hanno risposto in maniera pesantemente negativa. Nell’ultimo mese, l’indice S&P 500, che ci fornisce un’indicazione sull’andamento delle azioni delle 500 aziende più capitalizzate, ha perso il 9,70 per cento. Il Dow Jones, che invece segue la borsa di New York, ha avuto un calo dell’8,38 percento. L’indice più generale, il NASDAQ, è calato addirittura del 13,60 per cento. Tra le aziende a essere colpite c’è senza dubbio Tesla di Elon Musk, che vede un calo in borsa nell’ultimo mese del 32,8, dopo un’ottima performance a seguito della vittoria di Trump alle presidenziali. A salire è invece l’indice VIX, che misura la volatilità del mercato e quindi ci offre un quadro dell’incertezza che regna in borsa: nel corso dell’ultimo mese ha subito un aumento del 62,90 per cento.
Tuttavia, gli umori dei mercati possono essere divergenti rispetto a quelli degli individui. Ma, se la valutazione dell’incertezza nei mercati finanziari non è particolarmente difficile da stimare, più elusiva è quella dell’economia in generale. Come spiegato recentemente in un articolo del New Yorker, su questo si è basato il lavoro accademico di Nick Bloom, professore di economia a Stanford. Proprio perché interessato a valutare l’incertezza di un’economia, Bloom ha proposto l’indice Economic Policy Uncertainty (EPU), che misura l’incertezza a partire da tre componenti: la frequenza di parole come “incertezza” o “economia” nei principali quotidiani del paese, disposizioni temporanee del fisco federale, disaccordo sulle previsioni economiche. Questo indice, che quindi ci permette di indagare più a fondo l’incertezza nell’economia e non solo nei mercati finanziari, è aumentato drasticamente nel corso degli ultimi mesi, ha dichiarato Bloom. Tanto che oggi ha raggiunto il secondo livello più alto di sempre, dietro solo ai tempi della pandemia. Lo stesso sembrano indicare altri indici, come quello di fiducia dei consumatori, che nel mese di febbraio hanno avuto un calo drastico.
Questi dati segnalano quindi un peggioramento della situazione economica americana, che pur rimanendo forte rischia di entrare in recessione. Le stime di JP Morgan Chase sono aumentate, con le probabilità di una recessione intorno al 40 per cento, mentre Goldman Sachs ha aumentato le probabilità dal 15 al 20 per cento. Un rischio quindi che, seppure basso, è in crescita.
Vale poi la pena citare le parole di Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, società di investimento tra le più grandi al mondo. Pur sostenendo l’amministrazione, durante un’intervista alla CNN Fink ha criticato Trump per il clima di incertezza creato nell’economia e per aver frenato le imprese e i consumatori. “Parlando con gli AD, si percepisce che l’economia si sta indebolendo in questo stesso istante” ha aggiunto Fink.
Tra incertezza e tagli: l’economia al tempo di MAGA
Abbiamo visto che le prospettive per l’economia americana sono meno rosee di quanto prospettato. In che modo l’amministrazione Trump e la propaganda MAGA ha influito su questo?
Il primo fattore è l’incertezza. L’attività economica necessità di regole chiare e certezze per funzionare correttamente. Le norme, i tabù e le policy servono appunto per ridurre questa incertezza e garantire che le scelte di consumo e investimento di individui e aziende non siano minacciate. Un’elevata incertezza, sotto tutti i fronti, ha effetti negativi sulla performance economica di un paese. Ovviamente, in certi casi, questa può dipendere da fattori che sfuggono al controllo dei governi. Pensiamo ad esempio al caos politico in cui vive oggi la Francia, che si riflette sulla performance dei titoli di stato.
Ma nel caso americano la situazione è completamente opposta: è proprio l’amministrazione Trump a generare un clima di incertezza nell’economia, oltre ad altri fattori contingenti come le preoccupazioni sulla bolla AI.
Il caso paradigmatico è quello dei dazi contro Messico e Canada. Si tratta di un tema su cui Trump ha puntato molto durante la campagna elettorale e anche dopo esser stato nominato presidente. Eppure, la strategia di Trump sui dazi è stata errante. Sempre il Wall Street Journal, in un articolo sulla guerra commerciale, ha dichiarato:
Welcome to the Trump tariff thrill ride, where you never know what’s going to happen next. (Benvenuti nella giostra dei dazi di Trump, dove non sai mai che cosa succederà dopo).
Già a febbraio aveva imposto dazi su prodotti canadesi e messicani, salvo poi sospenderli per un mese grazie a fantomatiche concessioni dei governi dei rispettivi paesi. Qualche giorno fa, di nuovo, Trump ha dichiarato che la tregua della guerra commerciale era finita e gli Stati Uniti avrebbero quindi confermato i dazi su prodotti canadesi e messicani. L’annuncio di Trump era stato poi seguito da una dichiarazione durante un’intervista rilasciata a Fox News del Segretario al Commercio Howard Lutnick. Nel corso dell’intervista Lutnick aveva affermato che i dazi del 25 per cento su Canada e Messico sarebbero stati sollevati presto, anche visto l’andamento delle borse. Qualche giorno dopo sempre l’amministrazione Trump ha deciso che i dazi sarebbero stati rinviati al 2 aprile per i beni che rientrano all’interno dell’accordo di scambio commerciale nord americano. Parliamo di un 50 per cento di beni messicani e di un 38 per cento di beni canadesi.
Che effetto ha questa incertezza sui consumatori e imprese? Sul fronte consumatori, i dazi potrebbero portare a un aumento dei prezzi dei beni e quindi a ritardare o addirittura eliminare certi acquisti. Questo di per sé è l’effetto dei dazi e quindi tocca tangentemente la questione incertezza, che però può esacerbarlo. Per comprendere quanto questa sia cruciale, pensiamo a un esempio più vicino alla situazione italiana. Immaginiamo, come era stato proposto nel 2020 per far fronte alla difficile situazione economica causata dalla diffusione del Sars-CoV-2, che il governo stia pensando a un taglio dell’IVA, un’imposta che colpisce i consumi proprio come i dazi. Una misura di questo tipo va a spiazzare i consumi: se non viene implementata nottetempo rischia di spingere i consumatori a rimandare acquisti quando sarà più conveniente, portando così a minori introiti per le aziende e una contrazione più o meno lieve per l’attività economica.
Per quel che riguarda le aziende, l'incertezza economica rappresenta prevalentemente un freno significativo agli investimenti, in aggiunta ad altre conseguenze avverse. Anche assumendo gli effetti negativi dei dazi imposti da Trump, qualora le imprese avessero la certezza della loro permanenza, potrebbero comunque scegliere di investire in nuovi impianti produttivi negli Stati Uniti, invece che all'estero. Tuttavia, l'imprevedibilità delle politiche commerciali, con la possibilità che tali dazi vengano improvvisamente revocati, rende questi investimenti estremamente rischiosi. Per questo motivo, molte aziende e investitori preferiscono rimandare le loro decisioni fino a quando la situazione economica di lungo termine non saranno più chiare.
Il secondo fatto, che ha un impatto sicuramente inferiore, è l’attività dell’agenzia DOGE di Elon Musk. L’operato del DOGE, al netto dei proclami di Musk sulla trasparenza, è alquanto oscuro e non si conoscono i dettagli precisi, in particolare sul numero di dipendenti federali che sono stati licenziati o a cui è stato offerto di lasciare il lavoro. Le varie fonti contattate dalla CNBC hanno offerto stime variabili, ma che si aggirano comunque su decine di migliaia di persone rimaste senza lavoro.
Sull’impatto che questi licenziamenti avranno sull’economia nel suo complesso, anche in questo caso, è difficile pronunciarsi con certezza. Una tale mole di persone senza lavoro e che,per un periodo difficile da determinare resteranno fuori dal mercato comporta un calo della domanda aggregata. Queste persone, trovandosi in condizioni economiche precarie, spenderanno di meno o elimineranno certi tipi di consumo e investimento. In particolare, sono colpiti gli investimenti a lungo periodo, come l’acquisto di una casa, causando così un calo sul mercato immobiliare. Questi effetti potrebbero poi ripercuotersi a cascata: se le persone che hanno perso il lavoro a causa dei piani di ridimensionamento del settore pubblico della diarchia Musk&Trump non spenderanno più, anche le aziende si ritroveranno a far fronte a una diminuzione degli introiti ed eventualmente a licenziamenti. A essere incerta è la scala di queste ripercussioni: è improbabile che da soli questi licenziamenti possano spingere l’economia americana in recessione. Tuttavia, gli effetti sulle economie locali potrebbero essere pronunciati, causando una divergenza ancora più forte tra zone più ricche e più povere.
La ricetta trumpiana per rilanciare l’economia funzionerà?
Se l’incertezza legata alle dichiarazioni e alle policy dell’amministrazione Trump stanno già avendo degli effetti negativi sull’economia americana, è altrettanto lecito chiedersi se la politica economica preannunciata durante la campagna elettorale dell’amministrazione possa avere qualche effetto.
Come detto, lo stesso Trump ha dichiarato che servirà una fase di transizione. Quello a cui stiamo assistendo negli Stati Uniti è infatti un cambio radicale di paradigma dal punto di vista economico. Se per anni la produzione era stata delocalizzata e la globalizzazione aveva fatto il resto, il modello che ha in mente Trump è profondamente diverso. Riportare la produzione negli Stati Uniti facendo leva su quel patriottismo insito nello slogan “Make America Great Again” per attutire le cadute, ridurre il perimetro dello stato attraverso deregolamentazione e snellimento del settore pubblico, ma allo stesso tempo mobilitarlo quando va a favorire le imprese vicine al presidente, in pieno stile oligarchico. D’altronde, proprio perché la crescita economica deriva dal dinamismo dell’economia e dalla sostituzione di imprese vetuste con aziende più nuove e all’avanguardia, la crescita economica non è una condizione necessaria per gli oligarchi, fino a quando il consenso politico regge. O, riassumendo in una sola domanda: Elon Musk è disposto a vedere le azioni di Tesla scendere, se le auto elettriche dei produttori cinesi ed europei vengono pesantemente penalizzate rispetto a quelle della sua azienda?
Le politiche che metterà in atto Trump sembrano proprio andare nella direzione di un’America fatta su misura per i più ricchi. Oltre ai dazi, infatti, l’amministrazione punta su piani di taglio alle imposte sia per le persone fisiche che per le imprese, come già fatto durante la prima amministrazione. Gli studi sull’argomento e le evidenze accumulate al tempo confermano che queste politiche pro business non vanno affatto a migliorare la vita dell’americano medio ma favoriscono i più abbienti senza grandi effetti sulla crescita.
Quello che va delineandosi quindi è un modello di capitalismo oligarchico, dove il ruolo dello Stato, ancora di più rispetto a prima, è sempre più quello di attivarsi e difendere gli interessi dell’oligarchia.
Per concludere, quindi: gli indicatori segnalano un rallentamento dell’economia americana, dovuto per la maggior parte alle politiche e alle dichiarazioni dell’amministrazione Trump, che hanno aumentato l’incertezza economica. Per ora le probabilità di una recessione- qualunque cosa voglia dire- sono tutto sommato contenute e l’economia americana dovrebbe crescere nel 2025. Questo, però, a livello aggregato. A livello locale, come abbiamo detto, gli effetti di quello che sta facendo il DOGE di Elon Musk potrebbero essere ben più severi. La vera domanda, però, resta se questo indebolimento dell’economia americana è dovuto agli errori di Trump o, con conseguenze molto diverse, a una strategia di più ampio respiro per cambiarne completamente la struttura e il funzionamento.
(Immagine anteprima via Bloomsbury Intelligence & Security Institute)
