Trump, l’enigma del consenso e la fascinazione del male
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Se vince o perde, rimarrà come un macigno sulle nostre democrazia il consenso che questo uomo ripugnante è riuscito a calamitare in tutti questi anni. Non stiamo parlando di qualche decina di migliaia di persone, ma di milioni e milioni di cittadini di una delle democrazie più importanti e decisive per il destino del pianeta.
Ed è con quel consenso che dovremmo fare i conti. Ripeto, anche se Trump dovesse perdere.
Milioni e milioni di persone sostengono in modo cieco, fanatico, esaltato, un modo che non contempla dubbi o messa in discussione del leader nemmeno davanti ad affermazioni violente, sovversive e a retoriche fasciste, attacchi sistematici ai principi fondanti di una democrazia e al disprezzo rabbioso per tutto quello che significa Stato di diritto.
Sessista, razzista, xenofobo, misogino, convinto suprematista bianco, è stato condannato penalmente per 34 capi di imputazione riguardanti la falsificazione di registri aziendali per coprire un pagamento di denaro segreto a una pornostar, diventando il primo ex presidente condannato di sempre. È stato inoltre condannato a risarcire con 5 milioni di dollari la scrittrice Jean Carroll per abusi sessuali.
Nelle ultime settimane le sue condizioni di salute appaiono sempre più problematiche. Fatica a completare un pensiero o a sostenere pensieri coerenti, continua a ripetere le stesse frasi, fatica a concentrarsi.
In una recente manifestazione nel New Hampshire, ad esempio, Trump ha iniziato a discutere di infrastrutture ma poi ha improvvisato uno sproloquio sconnesso sulla lealtà e sulle ingiustizie contro di lui, concludendo con un commento sconcertante sui mulini a vento che causano il cancro. E non si tratta di un caso isolato. Non è in grado di portare avanti un ragionamento sensato, si lascia andare a lunghi e cupi monologhi senza capo né coda infarciti di palesi bugie e teorie del complotto.
Continua a minacciare i giornalisti, istigando all’odio e alla violenza contro di loro. La sua retorica è sempre più la retorica di un tiranno, il suo linguaggio sempre più fascista contro quelli che lui indica come “nemici” politici. A un certo punto ha anche suggerito di usare l’esercito contro chi lo critica.
Durante la prima amministrazione Trump era circondato da persone conservatrici ma moderate e con un senso delle istituzioni, alcune delle quali hanno tentato di contenere le derive più pericolose dell’allora presidente. Oggi non sarebbe più così. Il candidato alla vice presidenza, DJ Vance, a suo tempo un Never Trumper, oggi è fra i più inquietanti rappresentanti del movimento MAGA e rappresenta un'ulteriore minaccia per la democrazia americana: sostiene che le donne debbano restare in un matrimonio anche se subiscono violenza domestica, ha definito quelle senza figli "squilibrate" e "sociopatiche", diffonde compulsivamente teorie del complotto su immigrati e altre minoranze. Vance difficilmente si opporrebbe alle spinte autoritarie di Trump, anzi. Come ricorda Leonardo Bianchi nel 2021 l'allora candidato senatore nello stato dell’Ohio aveva detto in un podcast che “ci troviamo in un periodo tardo repubblicano: se vogliamo invertire la rotta dobbiamo darci veramente dentro, fare cose davvero radicali e spingerci in direzioni che ora come ora danno fastidio a un sacco di conservatori”. Nello stesso intervento, Vance suggeriva a Trump di "licenziare ogni impiegato di medio livello e ogni funzionario nella pubblica amministrazione e di rimpiazzarli con i nostri".
Queste elezioni non sono semplicemente una scelta tra piattaforme politiche o una questione di fedeltà al proprio partito. Non si tratta di scegliere fra una visione politica di destra o di sinistra. In gioco ci sono la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani. Il consenso per la visione rappresentata da Trump-Vance potremmo definirlo un ‘enigma’. Perché al punto in cui siamo e davanti a un candidato visibilmente instabile e che sostiene cose così ripugnanti, non possiamo spiegare, interpretare quei milioni di voti con criteri e categorie sociologiche appartenenti alla sfera della razionalità (legati ai temi del lavoro, dell'economica o anche alla paura del futuro, alla sfiducia nelle istituzioni tradizionali...). Una buona componente di spiegazione a mio avviso sta nella fascinazione nel potere carismatico e infine nello sdoganamento del male. Finalmente con Trump si è liberi di poter pensare, dire l’indicibile, e agire di conseguenza. Liberi di odiare l’altro perché “subumano”, considerare altri esseri umani sulla base della loro appartenenza etnica“animali” o "immondizia" (espressioni usate a più riprese durante la campagna di Trump). Trump è il più alto rappresentante di quel potere carismatico, in cui milioni di persone finalmente si riconoscono e grazie al quale si sentono appunto liberate, senza più temere ostracismo o stigmatizzazione sociale. E questo costituisce un problema democratico, anche se Trump perde. Come ha scritto Giulia Blasi Trump si configura a pieno come leader di un culto distruttivo e “la sua sconfitta, incarcerazione o rovina non cancellerebbe le profonde divisioni che si sono create negli Stati Uniti, decennio dopo decennio, da molto prima che lui vincesse le elezioni sull’onda di un momento favorevole e sfruttando un vuoto di leadership di un partito da tempo in declino. Ci sarà sempre un Trump pronto a sfruttare quel vuoto”.
Leonardo Bianchi ha scritto per Valigia Blu dei possibili scenari se Trump dovesse vincere che vanno dalla deportazione di massa dei migranti, la persecuzione degli avversari politici e dei “traditori”, l’utilizzo dell’esercito per il controllo pubblico, alla messa al bando dei movimenti di protesta, all’attacco al diritto all’aborto e alle comunità LGBTQ, alla guerra alla scienza. La vittoria di Trump sarebbe un pericolo per la democrazia in Usa e in tutto il mondo. Se Trump vincerà non sarà nonostante tutto questo, ma proprio PER tutto questo. E anche se perderà quei milioni di voti di consenso a questa visione del mondo e della società, quella fascinazione del male e adesione ideologica convinta rimarranno un problema profondo, inquietante per tutti noi. Messi di fronte al lato più oscuro della nostra natura umana. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. Ma chi avrebbe mai pensato che sarebbe accaduto così e in un paese come l’America? Ecco da oggi dobbiamo accettare la possibilità che la fascinazione del male possa davvero portare al potere nuovamente i suoi leader in una delle più grandi democrazie al mondo.
“In questa situazione ancora di incertezza su chi ha vinto le elezioni, con milioni di voti ancora da contare, c'è una cosa certa sotto gli occhi di tutti noi: l'America non ha detto NO a Trump. Anzi finora Trump ha ottenuto 4 milioni in più sul voto popolare rispetto al 2016. Non è Trump ad aver plasmato un paese, è una parte consistente del paese che si sente perfettamente rappresentata da Trump, che vede in lui un portavoce affidabile delle proprie istanze.” Ed è con questo che bisognerà fare i conti al di là di come finirà questa elezione. Come ha scritto qualcuno su twitter: ‘Donald Trump non è un'aberrazione, è uno specchio. E quella bruttezza che vediamo in lui è la bruttezza dell'America’.
Lo scrissi nel 2020 quando festeggiammo con un certo sollievo la vittoria di Biden e Trump perse diventando però il secondo più votato in assoluto nella storia delle presidenziali americane (dopo Biden e prima di Obama) con oltre 73 milioni di persone che votarono per lui (e sappiamo cosa scatenò subito dopo gridando ai brogli elettorali). Oggi per quanto mi riguarda è solo peggio di così. Spero nella vittoria di Kamala Harris. Ma come ha scritto un nostro sostenitore durante una conversazione nel gruppo Community di Valigia Blu, gli Stati Uniti e il mondo intero dovranno fare i conti con i fantasmi che sono stati evocati, che appartengono a una parte consistente del popolo statunitense e che non possono semplicemente essere infilati nuovamente nella bottiglia.
Immagine in anteprima: Gage Skidmore from Surprise, AZ, United States of America, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons