Il ragazzo nero senza biglietto sul treno: la storia vera è il razzismo
8 min letturaDopo due giorni di discussione dalla pubblicazione della storia del post virale razzista basato tra l'altro su una storia risultata falsa (rimosso poi dall'autore sotto la spinta delle critiche), voglio riflettere su alcune questioni emerse: la vera storia che noi (non solo come giornalisti) dovremmo coprire al centro di questa vicenda non è il racconto falso, ma il razzismo spudorato e vigliacco; Facebook ha un problema con le segnalazioni e con le sue stesse policy; discutere su algoritmi è, in questo caso, fuori fuoco.
Partiamo dai fatti: un utente di Facebook è su un treno Roma-Milano e assiste alla scena del controllore che chiede il biglietto al ragazzo nero. Decide di fotografare il ragazzo a sua insaputa e di pubblicare la foto su Facebook senza avere la sua autorizzazione. Accompagna la foto a un testo mezzo delirante sugli immigrati che ci fregano, sulla politica che ci prende per il culo, a un certo punto fa riferimento anche alla morte atroce, terribile di Pamela Mastropietro. In una connessione logica incomprensibile mette insieme un ragazzo nero senza biglietto (nuovo crimine contro l'umanità) – che non parla italiano, ma non parla nemmeno inglese (come la maggior parte degli italiani tra l'altro) – con il problema dell'accoglienza e dell'integrazione fino al terribile omicidio di Pamela per mano di un gruppo di nigeriani (le indagini sono ancora in corso). Esponendo così di fatto il ragazzo a un linciaggio pubblico spaventoso.
Dopo circa 9 ore e moltissimi commenti di odio, di una violenza impressionante estesi a quel punto non solo al ragazzo ma a tutti gli immigrati in generale, quel post arriva a ottenere oltre 100mila like e più di 70mila condivisioni (non conosciamo dati sulla qualità e la tipologia delle condivisioni).
Come Valigia Blu abbiamo contattato Trenitalia per sapere come erano andate davvero le cose, dopo aver letto diversi commenti che mettevano in dubbio quel racconto. Altri commenti contestavano l'intento razzista del post e la violenza di moltissime reazioni. Trenitalia ci ha inviato il rapporto del capotreno che noi abbiamo pubblicato. Abbiamo pensato molto al titolo e al taglio del post. Dopo una discussione nel gruppo ci siamo resi conto che la questione centrale non era se la storia fosse vera o falsa, ma il razzismo e cosa quella viralità ci stava raccontando... Così abbiamo deciso di fare un titolo che denunciasse il linciaggio ignobile a cui era stata sottoposta una persona solo perché nera, per di più per una storia che si è rivelata falsa.
Nel frattempo Luca Caruso, autore del post, aveva rimosso la foto e il suo commento. La prima versione della foto non aveva quei cinque pallini inseriti nella seconda versione nel tentativo - non riuscito - di rendere non riconoscibile il ragazzo (qualcuno in ogni caso aveva già salvato e rilanciato la prima versione della foto). La persona risultava infatti comunque identificabile. In molti, me compresa, gli hanno fatto notare che poteva anche scattare una denuncia (e forse questo è stato uno dei motivi che lo ha spinto alla fine a rimuovere il post, non solo la violenza dei commenti scatenati per cui lo stesso Luca a un certo punto si è spaventato).
Per tutto il giorno ieri però questa vicenda è stata coperta, rilanciata da altri giornali e dalle TV e commentata come se la storia ruotasse intorno alla "fake news" e non si trattasse invece di una bruttissima storia di razzismo e istigazione all'odio, con cui dovremmo fare i conti. Perché quei 100mila like in poche ore ci dicono proprio questo: c'è un problema di razzismo nella società e Facebook ce lo sta facendo vedere. Ho provato a dirlo anche durante una intervista su RaiNews ieri, mentre l'attrice Lina Sastri diceva che il problema è Facebook e c'è bisogno di leggi che lo regolamentino e con i giornalisti in studio si rammaricava dei bei vecchi tempi quando a fare da filtro alle notizie c'erano solo i giornalisti.
Qui però deve essere sottolineata una cosa: il problema vero, serio di quel post virale è l'intento razzista a prescindere se storia vera o falsa. Non si contrasta sta roba con il fact checking, non so se è chiaro. https://t.co/PpMlYJESF8
— arianna ciccone (@_arianna) February 13, 2018
Ieri ho tentato invano di sottolineare questo aspetto: il punto non è la "fake news" o il fact-checking, questa roba (dalla foto per esporre un ragazzo nero al linciaggio a quei 100mila like) non la contrasti col fact-checking. Anche se la storia fosse stata vera, il problema di quel post era il sentimento razzista che ha spinto Luca Caruso a fare la foto e a pubblicarla e tantissime persone a esprimere il loro apprezzamento.
Anche alcuni candidati politici hanno condiviso il post, così tanto per ribadire ancora una volta che il problema della disinformazione va ben oltre le cosiddette "fake news": un esponente di CasaPound dell'Umbria, che dopo varie critiche sulla sua pagina ha rimosso il post, e una esponente della Lega, Chiara Tomassini, anche lei candidata in Umbria, hanno condiviso quel contenuto perché ormai è vissuto come "normale" che l'istigazione all'odio sia un'arma della campagna politica.
Tra l'altro, come mi ha spiegato l'avvocato Bruno Saetta, in teoria sono configurabili le seguenti ipotesi di illecito:
1) Pubblicazione dell'immagine in violazione dell'art. 10 cod. civ., che espone ad un risarcimento del danno.
2) Diffusione di dati personali identificativi senza consenso (art. 167 Cod. Privacy) al fine di recare ad altri un danno (reclusione da 6 a 24 mesi).
3) Diffamazione con offesa arrecata con mezzo di pubblicità e con attribuzione di fatto determinato (reclusione fino ad 1 anno o multa).
In uno scambio su Facebook con alcuni esperti di social media si discuteva della questione dell'algoritmo: come se il problema fosse tecnologico. Insomma il cambio di algoritmo che ora privilegia i post personali (rispetto alle pagine) avrebbe permesso a un utente con un limitata rete di contatti di macinare tutti quei like in poche ore e di diffondere in modo imponente il messaggio razzista.
A parte che è impossibile stabilire se sia stato o meno il cambio di algoritmo a generare quella viralità, è interessante notare che quella stessa viralità ha permesso di bucare la bolla intorno a quel contenuto e così molte persone, che mai avrebbero apprezzato quel post e non lo avrebbero visto scorrere sul loro feed, ne sono venute a conoscenza. Questo ha contribuito a una massiccia mobilitazione di utenti che si sono attivati, impegnandosi in commenti critici sulla bacheca di Caruso (e non solo anche su altre bacheche e pagine che avevano ripreso il post), contestandone il contenuto razzista e contrastando la gogna pubblica e i commenti di odio verso il ragazzo "senza biglietto" e verso gli immigrati.
Mafe De Baggis ha centrato, a mio avviso, con alcuni commenti, il cuore della questione, questione di cui come società dovremmo farci carico: "Dovremmo chiederci perché un contenuto del genere ha una reazione così ampia, invece di guardare sempre e solo al ruolo degli strumenti. Al di là di tutto, anche se fosse stato vero e non falso, era un ragazzo senza biglietto; più che di razzismo ormai possiamo parlare di psicosi, per questo preoccuparci del ruolo del cambio di algoritmo di Facebook nel diffondere l’aneddoto del biglietto mi sembra parte del problema. C’è chi crede che siamo alla mercé degli extracomunitari e chi è talmente ossessionato dal ruolo dei social media dal pensare che siano al cuore di tutto, razzismo compreso.” E a proposito di psicosi e paranoia, ieri abbiamo ricevuto una mail di una persona che ci chiedeva se Trenitalia avesse fatto controlli per stabilire che quella persona non fosse un ricercato: "Non vorrei ritrovarmi quella persona in foto su un TG per altri fatti. Conservatela....non si sa mai. Io lo faccio".
Il mio amico Andrea Iannuzzi su Facebook ha reso in modo molto efficace il significato vero del post di Luca Caruso:
Disclaimer: questo è un post sul razzismo, non sulle fake news (così vi regolate nei commenti 😊)
Un distinto signore a bordo di un freccia rossa nota davanti a se un passeggero davvero insopportabile macchiarsi di gravi colpe. Nell’ordine:
1) Ha uno smartphone (strano, a bordo di un freccia rossa nessuno usa lo smartphone. Ma forse al signore da’ giustamente fastidio il fatto di non riuscire a riconoscere il modello, che forse è un S8 o forse no signora mia)
2) non parla bene inglese (strano nel paese in cui manco i candidati premier sanno l’inglese)
3) sembra sprovvisto di documenti (strano nel paese del “lei non sa chi sono io”)
4) pare - al signore - che stia usando un biglietto sbagliato, che costa meno (strano, nel paese dei miliardi evasi al fisco)
5) ma soprattutto la sua grave colpa è essere nero, come gli assassini di Pamela (anche noi siamo bianchi come Charles Manson, ma che c’entra)
Giustamente infastidito da un passeggero così indegno, il signore estrae la sua metaforica pistola (lo smartphone) prende la mira e senza chiedergli il permesso gli scatta una foto in faccia - bum. Poi va su facebook e bum, posta la foto, bum bum bum, scrive tutta la sua rabbia.
A quel punto nel giro di poche ore, 120 mila distinte persone prendono le loro pistole e bum bum bum, sparano raffiche di like contro questo delinquente macchiatosi di gravi colpe, non perché è nero eh ma perché forse non ha il biglietto.
Ecco, ha avuto il fatto suo. Come dite, il biglietto ce l’aveva? Vabbè ma sai quanti come lui la fanno franca? Per fortuna non siamo un paese razzista, se no sai che storie...
Cito ancora Andrea, che nel commentare criticamente l'articolo di Gramellini sulla vicenda ha giustamente invitato a smetterla con questo giustificazionismo “se lui era in regola ce ne sono centinaia fuori legge quindi l’esasperazione è giustificata”.
E adesso veniamo a Facebook.
Questo caso ha svelato incoerenze e punti deboli della fatidica "lotta alla disinformazione" annunciata qualche settimana fa (iniziativa che noi abbiamo criticato: in sintesi a nostro avviso Facebook dovrebbe semplicemente far rispettare le sue regole, la sua policy. Niente di più).
L'iniziativa contro la disinformazione consiste nell'aver affidato a Pagella Politica il lavoro di fact-checking: se un post contiene un link a una possibile notizia falsa, chiunque potrà segnalarlo a Facebook, che avvierà un processo di controllo affidato, appunto, a Pagella Politica. Questi articoli di verifica sono poi correlati su Facebook insieme alla notizia risultata falsa. Pagella Politica, però, può occuparsi sono di URL di articoli (cioè l'indirizzo che noi digitiamo nel browser quando cerchiamo una pagina o un file su un motore di ricerca e che identifica una risorsa su Internet come un documento o un'immagine), non di video, foto o di post su Facebook. Però se annunci la lotta alla disinformazione di fatto sbufalando solo qualche innocua bufaletta e lasci che un post così grave possa diffondersi, moltiplicarsi facendo i danni che si possono immaginare, be' mi viene da dire: finiamola, vi prego, di prenderci in giro. Perché le questioni di quel post sono due: non solo è falso (e allora avrebbe avuto senso un intervento di Pagella Politica, ma sappiamo che non lo possono fare), ma contravviene alle stesse policy della piattaforma:
1) La foto è stata pubblicata senza l'autorizzazione della persona ritratta e la persona nella foto è facilmente riconoscibile.
2) Il post ha un intento razzista, istiga all'odio - bastava farsi un giro sui commenti.
Come mai dunque il post (foto inclusa) è ancora sulla bacheca di un candidato politico come Chiara Tomassini (sebbene sia stato segnalato da moltissime persone)? Alla propaganda politica è permesso mentire, istigare all'odio, disinformare?
La vera sfida che abbiamo tutti noi davanti - giornalisti, politici, esperti di social e comunicazione, fino agli stessi social network, comunità digitali - sarà far capire ai vari Luca Caruso perché fotografare un ragazzo (solo perché nero, con o senza biglietto) a sua insaputa, pubblicare la foto ed esporre quella persona a un linciaggio pubblico è un'azione vile profondamente ingiusta, immorale, disumana.
Tra l'altro lo stesso Caruso, in una intervista radiofonica, si lamenta di aver subito un linciaggio mediatico per quel post, senza rendersi conto di aver fatto esattamente questo al ragazzo che ha fotografato.
Così come, infine, dovremmo affrontare il problema di quelle persone - sono tantissime - che hanno aderito ciecamente al racconto di Luca Caruso e ieri mettevano in dubbio la versione dei giornali (vogliamo vedere questo documento di Trenitalia, non ci fidiamo) o la versione stessa di Trenitalia.