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Le voci dei ragazzi e delle ragazze transgender e le loro storie di attivismo sui social

22 Aprile 2021 17 min lettura

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Le voci dei ragazzi e delle ragazze transgender e le loro storie di attivismo sui social

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Testimonianze raccolte da Claudia Torrisi

Qualche mese fa su Valigia Blu ci eravamo occupati di spiegare le procedure e le leggi per il riconoscimento dell'identità di genere in Italia, i problemi per le persone transgender a queste correlati, le discriminazioni subite e le proposte per migliorare le norme attualmente in vigore. I dati e i rapporti, però, possono raccontare solo una parte della storia.

La rappresentazione mainstream delle persone transgender è spesso stereotipata e problematica: dalla cronaca nera a programmi e serie TV, l'immaginario collettivo è stato plasmato da figure percepite come lontane dalla realtà di tutti i giorni, che vivono chissà quali vite. E invece, come spiega Elena D'Epiro, ragazza trans di 27 anni, «viviamo nel mondo e siamo parte del mondo, non siamo soggetti astratti».

Elena è una dei tanti e tante giovani che hanno iniziato a raccontare, raccontarsi e fare informazione su Instagram, decostruendo stereotipi, divulgando notizie utili per chi sta iniziando un percorso e anche per persone cisgender (cioè che si riconoscono nel sesso attribuito alla nascita) che vogliono ascoltare, imparare, riconoscere pregiudizi e transfobia inconsapevole. Abbiamo chiesto a sei di loro di dire quello che fanno e perché hanno deciso di farlo.

Elena @trans.fakenews

Elena D'Epiro ha 27 anni e studia economia aziendale all’Università degli Studi di Parma. Fa parte dell’associazione LGBTQ+ locale Ottavo Colore e del comitato nazionale permanente LGBTQI+ di Possibile.

Circa tre anni anni fa ho intrapreso il percorso di transizione di genere per prendere davvero in mano la mia vita. Fino a che non ho preso consapevolezza di essere una donna, non sentivo di vivere una vita autentica, la mia vita, ma solo quella che mi era stata insegnata. Un maschietto che si veste da maschietto, fa cose da maschietto e così via. Mi sentivo sempre fuori ruolo e non sapevo concretamente cosa fare. Nulla mi veniva naturale e ogni cosa non era spontanea, la facevo solo perché l’avevo imparata anche per rispettare le aspettative delle persone intorno a me. Inutile dire che questo percorso mi ha portata a scavare dentro, a rimuovere tutti quegli strati inutili che mi ero costruita nel tempo, fino ad entrare in contatto con me stessa. Sono sempre stata donna, la mia femminilità è stata sempre presente dentro di me e, a livello inconscio, mi mandava segnali. Solo che l’ho dovuto scoprire perché nessuno me lo ha detto.

Il mio piccolo attivismo, come amo definirlo, si concretizza nella gestione della pagina Instagram trans.fakenews, dove mi occupo delle cattive rappresentazioni che riguardano le persone trans e di “smontare” bufale e pregiudizi - ahimè molto diffusi.

Ho deciso di attivarmi in un momento storico in cui la comunità trans era fortemente sotto attacco per via delle posizioni transfobiche della scrittrice J.K. Rowling e le numerose offensive da parte del femminismo trans-escludente nelle prime fasi di discussione, in commissione alla Camera, del ddl Zan. Ero stanca di tenermi dentro tutti questi sentimenti negativi provocati dalla lettura di articoli palesemente costruiti ad arte, e quindi ho iniziato a smontarli. Poi la cosa si è allargata anche ad altri ambiti, che in un modo o nell’altro coinvolgono il mondo T.

Ultimamente, sulla pagina spiego anche alcuni meccanismi della politica, non sempre noti e approfonditi adeguatamente – perché è vero che i diritti si ottengono in piazza e attraverso la sensibilizzazione delle persone, ma poi debbono essere votati in Parlamento. Ho sempre avuto una visione a 360° e, di tanto in tanto, cerco di coinvolgere anche il mio background economico, per affrontare i problemi della comunità da quel punto di vista, approfondendo temi quali occupazione, diversity nelle aziende, responsabilità sociale d’impresa, eccetera.

Si dice che una persona trans quando si mostra con il suo corpo stia compiendo un vero e proprio atto politico. La questione dei corpi rimane fondamentale, ed è il punto di partenza.

Sembra quasi banale dire che ognun* di noi vive quotidianamente la società con il proprio corpo e, in senso ampio, con la propria identità. Ognun* di noi vive nella società con il proprio genere, con un proprio taglio di capelli, con la propria massa corporea, con il personale modo di vestirsi ed esprimersi in pubblico e così via. Tutto questo costruisce l’identità di una persona, il nostro modo di essere e di stare al mondo. L’identità delle persone trans non solo non è stata accettata ma viene ancora largamente discriminata dalle persone cisgender. Le persone trans sono state escluse forzatamente dalla società proprio per quello che sono e per ciò che rappresentano.

Pertanto, è giusto che la narrazione sia portata avanti dalle persone trans stesse e che sia libera di raccontare agli altr* come si autodefinisce, come vuole essere rappresentata, le sue esigenze e rivendicazioni sociali e politiche, come il concetto stesso di transgenderismo evolva nel tempo all’interno della comunità.

Ben venga chi vuol narrare questo percorso - che è individuale e al tempo stesso collettivo - però l’ascolto, l’empatia, il dialogo, la disponibilità nel mettersi “al servizio di” rimangono fondamentali. Altrimenti, come avviene nella maggioranza dei casi, si rischia di narrare una comunità che non esiste con esigenze che non fanno parte della vita quotidiana delle persone trans.

Molti pensano che i problemi principali delle persone trans siano le questioni legate allo sport, alle posizioni di Rowling, di Arcilesbica e altri temi che potrebbero trovarsi nella sezione “costume” dei quotidiani. Questo avviene anche perché in genere si pensa che il transgenderismo sia una realtà più di costume e non una cosa davvero seria. In realtà, le persone trans sono persone come tutte le altre che ogni giorno vanno a scuola, lavorano, prendono i mezzi, hanno una famiglia, si fidanzano, si sposano, hanno degli amic*. Viviamo nel mondo e siamo parte del mondo e non siamo soggetti astratti, meteore capriccios* della notte, della promiscuità e dei salotti TV.

Visto che viviamo una vita concreta, abbiamo una serie di esigenze altrettanto concrete che derivano da diritti che ancora dobbiamo vederci riconoscere. Chiediamo accessibilità al lavoro, gratuità dei farmaci, leggi che li tutelino dalla discriminazione, una società più equa nei nostri confronti. Ci rendiamo conto che questa società è stata costruita a misura delle persone cisgender – che infatti non hanno problemi con le carte d’identità o con il nome nelle più banali azioni quotidiane, da mostrare l’abbonamento del bus fino a cose più serie come firmare un contratto di lavoro. Insomma, dalla riappropriazione della narrazione sulle nostre identità e dei nostri corpi si arriva a quella di tutti gli spazi sociali che ci sono stati tolti per lungo tempo. Ora vogliamo farne parte attivamente e vogliamo cambiare la società per arricchirci e progredire assieme.

Daniela @talesofdaniela

Daniela Noel ha 33 anni e lavora come graphic web designer. Nell’ultimo anno si è iscritta nuovamente all’università per prendere la laurea magistrale. È appassionata di arte, fotografia e serie TV su Netflix. Fa attivismo online sulla sua pagina Instagram e offline con l’associazione Liguria Rainbow, che organizza il Pride e altri eventi.

 

Ho iniziato a fare attivismo online un po’ per caso nell’estate del 2020. Il primo contenuto che ho creato è stato il “Transdictionary”, una sorta di glossario, un dizionario, dove vengono spiegati termini inerenti al mondo trans: parole mediche, scientifiche o riguardanti oggetti che vengono utilizzati dai ragazzi trans ad esempio per diminuire la disforia di genere. Mi sono basata su materiale già esistente, ho fatto ricerche, elaborato i testi e poi settimanalmente spiegavo singole parole nelle storie.

Successivamente ho creato una pagina che si chiama “out of the closet project” dove ragazzi e ragazze trans e cisgender potevano donare capi non più utilizzati a persone che stavano iniziando il percorso. L’ho fatto perché ho pensato a quello che ho vissuto io tra laser, ormoni, visite mediche: per una persona come me che non è ricca tutte queste spese sono state faticose e le mie amiche mi hanno aiutata a rifare il guardaroba.

Adesso continuo a produrre contenuti e fare post cercando anche di dare visibilità ad altre persone trans: recentemente ho intervistato una ragazza e una ragazzo operati di vaginoplastica e mastectomia bilateriale. Cerco anche di organizzare delle dirette settimanali, in cui possono essere fatte domande.

Ricevo spesso messaggi di apprezzamento per quello che faccio, molte ragazze mi contattano anche per chiedermi informazioni sulla transizione. Sono la “mentore” di tre o quattro ragazze ormai. Questo mi piace molto perché quando ho iniziato il mio percorso di transizione un anno e mezzo fa, avevo delle persone che mi stavano vicino ma non era semplice trovare punti di riferimento. Quelli che ho trovato su Instagram principalmente – anche perché per un periodo eravamo in lockdown - mi hanno aiutata. Mi è servito molto parlare con altre ragazze dell’esperienza di transizione.

Sono molto contenta di sentirmi utile per altre persone. E poi credo che sia fondamentale che le persone trans prendano in mano la narrazione sul loro percorso. Troppo spesso veniamo dipinte in modo sbagliato – sia negativo che positivo – da persone che non sono transgender e non sanno cosa voglia dire esserlo.

Troppo spesso persone cisgender vogliono “cisnormalizzarci”, attribuirci la loro storia. Ma noi abbiamo la nostra, il nostro vissuto. Non dobbiamo per forza uniformarci a questo mondo dove sei uomo o sei donna nato tale e fine. Abbiamo un’esperienza di vita differente.

Prendere in mano la narrazione dei propri percorsi è però anche un’esperienza non sempre facile fuori da Instagram ad esempio. A volte si sente la paura di manifestare chi si è realmente. Cerco di non farlo, ma sono anche consapevole di non venire percepita come donna transgender secondo lo stereotipo più comune. Quindi so di avere una maschera quando vado in giro. Magari se dicessi che sono una donna transgender a volte rischierei anche la vita.

Le persone non si rendono conto della sofferenza e del dolore che stanno alla base del percorso di transizione – e anche durante quest’ultimo. Non siamo educati all’empatia, e non ci rendiamo conto del disagio dell’altro a meno che non ci si passi in prima persona. Bisognerebbe educare i bambini all’empatia sin dall’asilo o dalle elementari, dovrebbe essere una materia d’insegnamento. Le persone transgender possono aiutare a capire che non viviamo in un mondo binario ma pieno di diversità, e che non dovremmo esserne spaventati: bisogna includerle e conoscere le diversità, perché è solo da quello che si impara qualcosa.

Eytan @eytandancers

Eytan Ulisse Ballerini ha quasi 32 anni, vive e lavora a Milano. Sulla sua pagina fa molta divulgazione sugli aspetti medici che riguardano le persone trans, ma si occupa anche di femminismo intersezionale e antispecismo.

 

Nel 2016 ho intrapreso un percorso medico chirurgico: faccio una terapia ormonale e ho affrontato solo un’operazione che è quella della mastectomia. Da meno di un anno – diciamo un 7/8 mesi – ho aperto quello che era il mio profilo privato dove pubblicavo i miei pensieri, e mi sono ritrovato a raccontare e divulgare quello che significa essere un ragazzo transgender in Italia, partendo sempre dalla mia esperienza personale.

Soprattutto per quanto riguarda l’aspetto medico è difficile reperire informazioni. Anche io mi sono sempre affidato alla comunità dei ragazzi trans: attraverso i gruppi su Facebook, oppure il passaparola, ci si confronta. Non esiste un’istituzione di riferimento, è sempre un po’ lasciato al singolo. Quindi ho pensato che per una persona trans che vuole vere determinate informazioni potesse essere utile trovarle facilmente.

Ma credo che la divulgazione abbia un senso anche nei confronti di una persona cisgender che ascoltando si rende conto che più cose sa più realizza che non siamo alieni ma persone assolutamente normali che semplicemente devono affrontare determinati step. E volevo anche togliere questo alone di mistero e di ignoranza che c’è rispetto alle esigenze e alle istanze delle persone transgender, far capire come funziona il sistema e quali possono essere gli ambiti in cui si può migliorare.

Il profilo è ancora piuttosto piccolo e non ho incontrato hater. Le persone che mi scrivono di solito mi ringraziano per il lavoro che faccio, ragazzi trans mi chiedono informazioni che io condivido volentieri. Tra i messaggi che mi hanno colpito c’è stato quello di una studentessa di medicina che mi ha scritto che tra le carriere che stava valutando c’era ginecologia. Avevo fatto delle storie in cui raccontavo la visita che avevo fatto dalla ginecologa, e lei mi ha detto che grazie a quelle aveva pensato a un aspetto che non aveva considerato. E che quindi, se fosse diventata ginecologa, sarebbe stata una dottoressa migliore anche grazie a questo. Sono feedback che ti fanno capire che ne vale la pena.

Io credo che i social abbiano dato la possibilità a tutti di raccontarsi, hanno moltiplicato i punti di vista sul mondo, le narrazioni. Fino a qualche anno fa tutta la rappresentazione che c’era delle persone transgender arrivava solo dalla TV, era legata alla cronaca nera, perché si parlava spessissimo di donne transgender vittime di omicidi o atti violenti. Talvolta passava attraverso le serie TV o i programmi, ma era sempre molto concentrata sul dolore - esiste una sorta di pornografia del dolore delle persone transgender, sempre molto sofferenti – oppure estremamente negativa. Queste rappresentazioni mediatiche hanno in qualche modo creato un immaginario collettivo che ha ovviamente avuto ricadute anche sul reale. Grazie ai social si stanno moltiplicando le voci e le persone trans possono finalmente avere accesso a quello che è un pubblico, anche se magari non ancora grande come quello della TV. Non è questione di riappropriarci della nostra voce, quella l’abbiamo sempre avuta, ma possiamo raggiungere un’audience più giovane, che poi speriamo riuscirà a costruire un mondo più inclusivo. Avere la propria voce ascoltata è un vantaggio per tutti.

Eloisa @eloisapics

Eloisa ha studiato Comunicazione e poi Fisica all’università, e lavorato in ambito startup. Da qualche anno fa divulgazione principalmente su tematiche inerenti alla sessualità e al genere: ha iniziato su YouTube e poi si è allargata a Instagram.

Preferisco evitare la parola “attivista”. Quello che faccio in concreto è informare il pubblico e fare divulgazione su tematiche poco note e che mi riguardano in prima persona, tramite contenuti mirati. Avrei parlato volentieri anche di altro, ma siccome sono una donna trans e c'è una enorme ignoranza riguardo a cosa significa essere una donna trans in Italia, ho pensato fosse utile e necessario parlarne. Non solo per il pubblico, ma proprio per me stessa.

È bello vedere persone inizialmente poco informate su questi temi che imparano ed evolvono la loro visione del mondo grazie ai miei contenuti. Nonostante il mio seguito sia ancora relativamente limitato, mi considero soddisfatta di quello che sono riuscita a fare in soli due anni.

Il fatto che le persone trans prendano in mano la narrazione su di loro è necessario. Finché ci sono altre persone che parlano al posto nostro, i risultati sono osceni e profondamente dannosi nei nostri confronti. La transfobia nella nostra società è profondamente radicata, e le narrazioni mainstream la alimentano di continuo. Spesso una persona cisgender è transfobica senza nemmeno saperlo, e anche se è "in buona fede" può fare danni enormi. È fondamentale che le persone trans abbiano una voce, e che questa voce sia ascoltata. Possibilmente senza filtri. Per fortuna Internet, soprattutto negli ultimi quindici anni, ha aiutato molto questo processo.

Aggiungo che non è solo importante che le persone trans abbiano una voce, ma che siano empowered. Troppo spesso le persone trans vengono sfruttate gratuitamente da terzi per film, libri, articoli, eccetera che non solo spesso sono dannosi (perché fanno disinformazione e portano avanti una narrazione transfobica), ma portano profitti e visibilità agli autori (cisgender) e nulla alle persone trans.

Questa dinamica è molto frequente e la trovo solo una ulteriore forma di sfruttamento e oppressione di una minoranza svantaggiata. Per questo trovo sia utile che, se si vuole parlare di persone trans senza sfruttarle, alcune persone trans siano coinvolte nel processo creativo e ricevano un compenso adeguato (ad esempio per attività di consulenza, revisione etc), soprattutto se l'opera in questione porta profitti e visibilità all'autore.

Elia @elia.lien

Elia Bonci ha 24 anni, studia Lettere e Filosofia all’università. Si occupa di progetti di sensibilizzazione contro la transfobia che porta anche nelle scuole.

Per la quasi totalità della mia adolescenza ho dovuto reprimere il mio vero essere e quello che davvero avrei voluto fare. Uscire allo scoperto per me è stata dura e ancora adesso, qualche volta, mi risulta difficile. Ho fatto coming out come ragazzo trans* la prima volta quando avevo 20-21 anni solo con mia madre. Le ho scritto una lettera e sono partito, avevo troppa paura di quello che avrebbe potuto dirmi e soprattutto di un suo possibile rifiuto.

Quando sono tornato lei è rimasta in silenzio e così ho fatto anch’io. Ho interpretato la sua assenza di un dialogo come un rifiuto e mi sono chiuso ogni possibilità di venire allo scoperto. Qualche anno dopo, più o meno quando avevo 23 anni, il dolore di non poter essere me stesso sempre e con tutti mi stava logorando dentro e allora ho deciso di prendere la situazione in mano: ho invitato tutta la mia famiglia alla presentazione del mio libro e ho fatto pubblicamente coming out davanti a tutti, con un microfono in mano e le lacrime agli occhi. Quello che ho ricevuto in cambio è stato tanto amore e non me lo aspettavo. Ora sono ad un anno e mezzo di percorso gender affirming e la mia famiglia mi ama e mi supporta in tutto e per tutto. Ho voluto raccontare questa piccola parte di me perché credo sia importante dare esempi positivi ai ragazzi, non sempre le famiglie reagiscono male. Certo, io sono stato fortunato, questo lo so.

Fare attivismo non era nei miei programmi, è successo tutto per caso. Quando ero più piccolo, un adolescente insomma, ho sentito tanto la mancanza di informazioni riguardanti il mondo trans*. Avevo voglia e bisogno di risposte e informazioni ma non ne trovavo da nessuna parte. Così un giorno ho aperto un profilo Instagram e ho iniziato a condividere la mia storia, il mio percorso e le informazioni che riuscivo a recuperare.

Da lì ho scoperto che non ero solo: c’erano tanti ragazzi e tante ragazze che avevano bisogno di quelle informazioni, di avere qualcuno che li rappresentasse e li ascoltasse. In poco tempo le persone hanno iniziato a prendermi come punto di riferimento e le associazioni o le scuole hanno iniziato ad invitarmi per raccontare la mia storia.

Il punto di svolta però è avvenuto da un evento negativo: qualche anno fa ho ricevuto un grave atto transfobico e da lì ho deciso di rispondere con amore e cultura, creando un progetto di sensibilizzazione che porto nelle scuole. Il progetto si chiama “Amore in movimento” e partendo da questo grave atto transfobico che ho ricevuto, spingo i ragazzi a chiedersi cosa possiamo fare per fermare la transfobia e come possiamo difenderci con l’amore e con la cultura. Credevo fosse una cosa da niente, invece in un anno il progetto si è allargato e ora lo condivido con la mia ragazza che è una educatrice sessuale in formazione (@puntogin_ ) e con Alessandra Quarto, una psicologa. In poco tempo siamo stati invitati da molte scuole e i ragazzi ci hanno riempito di domande.

Non credo di aver ricevuto mai tutto questo amore, questo affetto e questa gratitudine. Tantissime ragazzi e tantissime ragazze mi scrivono ogni giorno per ringraziarmi, per sfogarsi con me o per raccontarmi dei loro traguardi. Non so spiegare quanto sia bello per me tutto questo, aver creato un luogo sicuro in cui tanti ragazzi e tante ragazze si rifugiano ogni giorno. La cosa bella è che con molti e molte di loro ho stretto una vera e propria amicizia e ci sentiamo tutti i giorni.

Credo non ci sia niente di più importante del creare una giusta e genuina rappresentanza delle persone, della comunità e dei corpi trans*. Spesso parlano di noi ma non ci lasciano parlare e questo crea falsa rappresentanza, stereotipi e pregiudizi sulle persone trans*.

Le persone trans* devono raccontarsi per sfatare tante bufale che gravano su di loro (come la narrazione del dolore, il falso mito del corpo sbagliato, la medicalizzazione forzata) e che inevitabilmente comportano esclusione e alienazione dal contesto sociale.

Yvan @yvan_irwin

Yvan Molinari farà 25 anni a giugno ed è della provincia di Varese. È un biologo marino neolaureato. Ha iniziato il suo percorso più di quattro anni fa, e dedica parte del suo tempo all'attivismo per i diritti trans* ed LGBT+ in generale. Il suo sogno è girare il mondo in barca a vela.

 

Il mio attivismo non è iniziato sui social, ma come volontario di Arcigay Varese, dando una mano nell'organizzare i piccoli eventi divulgativi nelle piazze della città, dove distribuendo materiale informativo ai passanti e organizzando incontri per i cittadini. Dopo un po’ sono stato eletto responsabile dell’area tematica dedicata alle persone trans* (ruolo che ricopro anche ora) e abbiamo iniziato a fare eventi di sensibilizzazione specifica su questo tema. Con il tempo abbiamo ottenuto molti risultati, come la possibilità di attivare una carriera alias all'Università degli Studi dell'Insubria o la presenza di psicologi convenzionati per il percorso delle persone T*. Abbiamo anche aperto un Gruppo di Auto Mutuo Aiuto dove le persone Trans della provincia potessero incontrarsi e scambiarsi esperienze e reciproco supporto.

Ho tenuto degli eventi che non si erano mai visti fino a quel momento sul nostro territorio, raccontando al pubblico la mia storia e portando alla luce le problematiche che noi persone trans dobbiamo affrontare - perché gestiti da un sistema del tutto impreparato a far fronte allo nostre esistenze. Man mano ho iniziato a parlarne anche sul mio profilo Instagram. Vedo la visibilità come una grande responsabilità. Con la mia presenza e l'ascolto cerco di essere di supporto a chi è in difficoltà.

A volte penso che sia più quello che ricevo che quello che do. Ogni giorno mi arrivano messaggi di ogni tipo, sia da parte di persone trans che mi ringraziano per il sostegno, i consigli e per la lotta per i nostri diritti, sia da parte di persone cis che sono riuscite a colmare la loro ignoranza su questo tema e aprire la loro visione del mondo. Messaggi di amore, di ringraziamento, di ammirazione, di vicinanza, d'incoraggiamento.

Sono assolutamente convinto che la voce degli alleat* serva tantissimo, ma che debba fare da amplificatore sociale delle nostre voci, quelle dei dirett* interessat*. Guai pensare di potersi sostituire ad esse. Per il resto, sono convinto che una lotta integrata e intersezionale debba diventare il punto di forza di qualunque minoranza discriminata.

Ogni tanto qualcun* mi scrive: “Ma come faccio a diventare attivista anche io?". L’attivismo parte dal basso, e anche la più piccola azione produce un cambiamento che può essere molto significativo. Non c'è la carriera alias nella tua università? Sii tu *l prim* a richiederla. Non esiste un'associazione lgbt* nella tua città? Fondane una tu stess*. Pensi ci sia bisogno di un gruppo di auto mutuo aiuto o di qualsiasi altra cosa ti venga in mente? Proponila. Pensi che il percorso di transizione così com'è strutturato in Italia non rispetti la tua persona? Protesta.

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Se nel 1969, allo Stonewall Inn, Sylvia Rivera non avesse dato il via a quella rivolta, forse oggi saremmo ancora nascosti dentro piccoli locali, a subire le incursioni delle forze dell'ordine che ci avrebbero fatto passare una notte in galera solamente perché io dico di chiamarmi Yvan o perché il mio amico/la mia amica ha un fidanzato o una fidanzata. Le cose stavano così allora. Ma ad un certo punto qualcun* ha smesso di dire "che vuoi farci!?" e ha fatto qualcosa. I cambiamenti partono dal basso, e dai piccoli gesti.

 

 

Le foto di Elia Bonci sono state scattate da Aurora Stanganella e Chiara Olivieri 

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