Guerra e pandemia: come arrivano le news sugli schermi dei teenager
7 min lettura“La prima guerra su TikTok”
“The Ukraine invasion is the most online war of all time until the next one”
The Content Mines - Spotify
Partiamo da una notizia relativamente fresca. Un paio di settimane fa trenta top tiktoker sarebbero stati contattati dall’amministrazione Biden e dal National Security Council per prendere parte a una call su Zoom sulla situazione ucraina, sul ruolo della Nato e sulla minaccia nucleare.
Obiettivo della Casa Bianca: sensibilizzare gli influencer sui loro futuri contenuti a tema crisi (come già fatto, d’altro canto, anche sulla campagna vaccinale). Risultato percepito: più o meno quello messo in scena qualche giorno dopo al Saturday Night Live:
Per quanto assurdo, il fatto che un meeting del genere possa esser stato anche solo immaginato segnala in modo inequivocabile come alle più elevate altitudini geopolitiche si sia coscienti del fatto che, per controllare un certo tipo di narrazione, sia quasi più necessario passare da profili come quello di Kahlil Greene o Aaron Parnas, che dai media tradizionali.
Greene stesso — ventenne da più di mezzo milione di follower con la passione per storia e politica — avrebbe tra l’altro dichiarato di non essersi mica poi tanto sorpreso, per l’invito. “I ragazzi della mia generazione si informano su TikTok. È lì sopra che scopriamo cose nuove e cerchiamo informazioni”, avrebbe risposto giustamente a chi gli chiedeva quanto fosse emozionato. E cinque alto per tutte le scuole di giornalismo 🤙
Da qualche tempo si parla della crisi ucraina come della “prima guerra su TikTok” — come fa Kyle Chayka sul New Yorker. E ha mega senso, specie se si pensa che persino Zelensky qualche settimana fa aveva chiesto ai tiktoker russi, insieme ad attori, medici e altri professionisti, di provare a dare il loro contributo per fermare la guerra.
O se diamo un’occhiata al tipo di contenuti che circolano online da settimane, in giro per la rete e in particolare sul social di proprietà cinese.
Per dire: si va da video para-propagandistici (tipo: soldati che ballano), a clip che racchiudono in pochi istanti tutta l’inspiegabile, scioccante e surreale materia di cui è fatto questo 2022 — come un bombardamento notturno a Kyiv da decine di milioni di views sulle note di “Little dark age” dei MGMT:
E infatti sono miliardi i contenuti a tema “guerra” prodotti in queste settimane: da chi vi è rimasto tristemente coinvolto, da chi ci si sente dentro a vario titolo, ma anche da chi si è inserito in questa conversazione perché trending, la cosa del momento, una specie di meme (tra l’altro: si può memare su una guerra? Se l’è chiesto Vox).
Per capirci meglio, di seguito una piccola rassegna dei video che trovo su TikTok se provo a cercare “Ukraine” o “Ucraina”:
- “Ecco la mia vita in un rifugio anti-bombe”
- Gente che fa trick con la lingua colorata di giallo e di azzurro
- Spieghini sulla situazione
- Cubi di Rubik coi colori dell’Ucraina
- Analisi del linguaggio del corpo di Putin
- Bambino russo e bambino ucraino che si abbracciano
Poi capiamoci: chiaramente non mancano anche contenuti dal valore volutamente — o accidentalmente — giornalistico, che si tratti di approfondimenti su un tema, di testimonianze dirette o materiale inedito. Il discorso, però, c’entra più con la piattaforma e i ragazzi che la vivono.
Lo sappiamo, scriveva sempre Chayka: “Su Internet, e in particolare nei feed addomesticati dagli algoritmi di TikTok, i contenuti si susseguono l’un l’altro senza un ordine logico — che si tratti di un’invasione russa o di un gatto che fa qualcosa di tenero”. Eppure, vista da qui, la guerra sembra forse più un content che una notizia.
“I giornali sono alberi morti”
Se accettiamo questa teoria, appare ancora più evidente quanto sembri necessario aprire un canale di conversazione con influencer e content creator per provare ad arrivare a tutti, giovani compresi.
E non lo dico io, che vabeh: lo dicono soprattutto persone tipo Marcus Messner, direttore della Richard T. Robertson School of Media and Culture della Virginia Commonwealth University.
“Gli appartenenti alla Generazione Z sono abituati a fare i loro acquisti orientandoli sui consigli degli influencer”, spiegava.
È quindi normale che anche il consumo delle news possa essere influenzato da figure come quelle dei creator, di cui già si fidano riguardo ai più vari aspetti delle loro vite digitali, e che vedono come credibile e relatable punto di riferimento (qui: uno streamer italiano, uno sneakerhead, un rapper e Alessandro Cecchi Paone parlano della conflitto tra Russia e Ucraina).
“Tutto ciò non fa che aprire un enorme gap tra generazioni abituate a scegliere le proprie fonti in modo diametralmente opposto: quelle più vecchie”, che ignorano totalmente il fatto che esistano personalità mega popolari da qualche parte nella Rete; e quelle più giovani, per le quali il termine “giornale di carta” può essere ormai associabile solo a concetti come “nonni”, “vecchiaia” e “devastazione delle foreste” — lo spiegava un mesetto fa Bron Maher su PressGazette.
In questo gap, personalità (anche controverse) come Marcus DiPaola emergono e crescono quasi nel silenzio.
Producer freelance partito da qualche migliaio di follower, DiPaola ha conosciuto il suo super boost durante le elezioni USA del 2020 — ossia quando ha deciso di mettersi davanti al sito specialistico FiveThirthyEight per ricavarne dei dati elettorali, e di cominciare a fare live reporting da TikTok sul testa a testa tra Trump e Biden.
Risultato: 2 milioni e mezzo di follower guadagnati in brevissimo tempo, e la fama d’essere uno dei principali profili informativi sulla piattaforma.
Cominciato a occuparsi di politica su TikTok da inizio pandemia — a causa della conseguente impossibilità di lavorare sul campo — DiPaola oggi si è messo in testa di diventare “quello che traduce le notizie mainstream per i teenager”. Viaggia verso i 4 milioni di follower, e sta attualmente seguendo l’assedio di Mariupol, le reazioni della comunità internazionale, e il ban temporaneo di Kanye West su Instagram.
“Gen Z demands personality from journalists”
scriveva Julia Munslow su NiemanLab, e confermava anche una ricerca del Reuters Institute for Journalism del 2021.
Parliamo della generazione più istruita della Storia, ma anche di quella più abituata a fare i conti con un costante “overload informativo” al quale risponde in modo meccanico, selettivo, totalmente naturale: uno span d’attenzione incredibilmente basso, e una predisposizione all’ascolto solo nei confronti di chi sa parlare davvero alle loro orecchie.
Secondo Munslow, questo qualcuno dovrebbe essere in grado di instaurare quelle stesse “relazioni parasociali” coi propri follower che sono tipiche di celebrità, influencer e content creator: perché ai nuovi giovani, continua, “quando una cosa interessa se la divorano”, ma sarebbero più disposti a farlo “provando quella stessa sensazione di vicinanza e ingaggio” che sentono generalmente per le webstar “anche coi giornalisti”.
Caso mega famoso: lo streamer HasanAbi
Comunque sia: di ricette per un giornalismo digitale pensato per i giovani e più o meno futuribile si scrive da secoli — e non sarà di certo questa newsletter a trovare una soluzione al problema.
Volevo però aggiungere un altro paio di punti di vista all’album delle figurine, così lo completiamo.
C’è quello polarizzante di Warren Nettleford, fondatore del progetto giornalistico per teen “Need to know”, secondo cui le news sarebbero semplicemente PALLOSE — “i giovani cercano la qualità, ma trovano solo un’offerta noiosissima”, diceva qui.
E poi c’è quello più business oriented di Ali Gordon, che su The Drum cita l’esempio di Netflix: piattaforma — dice lui — che grazie a una vastissima e ben calibrata offerta pensata appositamente per la Gen Z, è riuscita a tenere incollati i giovani sui propri cataloghi organicamente, senza troppi sforzi.
Poi mi direte: “La guerra non è Netflix”, e va bene. Però la guardiamo dagli stessi schermi su cui ci pompiamo “Euphoria”, alla fine.
Cos’è “Webboh”?
Faccio un esempio italiano, così poi chiudiamo. È fine febbraio, e già da qualche tempo — purtroppo 😟 — mi sono un po’ staccato dal rullone di news quotidiane causa impegni. I giorni passano, e io mi perdo degli avvenimenti.
Una mattina mi sveglio, apro Instagram mentre faccio colazione, e scopro che è scoppiata una guerra con questo post:
Visualizza questo post su Instagram
Si tratta del profilo Instagram di Webboh, una sorta di pagina d’informazione “su influencer, creator, instagrammer, youtuber, fenomeni di costume e viral video” (si legge dal sito) che opera su un sito sempre molto aggiornato e — principalmente — attraverso una declinazione ultra contemporanea e social di strumenti e linguaggi (video su YouTube, card informative, immancabili TikTok).
Devo essere onesto: mi sarebbe piaciuto intervistare i ragazzi che ci stanno dietro per capire un po’ come funziona e scoprire qualche info in più rispetto a ciò che si trova online — praticamente nulla.
Purtroppo non hanno risposto alle mail e mi hanno violentemente ghostato su Instagram 🙁 quindi finché non mi rispondono (raga cagatemi dai!) dovrete accontentarvi di quanto segue e farvi un’idea da soli.
Il progetto è nato nel 2019 dall’idea di tre giornalisti. Uno di questi, il fondatore, collabora con Fatto Quotidiano e TvBlog. È una specie di magazine digitale sullo stardom contemporaneo, e su Instagram — dove la redazione si autorappresenta attraverso l’avatar di una ragazza bionda che chiamano “Miss Webboh” — sta per superare il milione di follower.
Come prima, un po’ di esempi di post in elenco puntato, così ti fai un’idea:
- “Chi compie gli anni il 19 marzo? Scopriamo tutti i “compleanni famosi” di oggi (c’è anche Leone Lucia Ferragni)”
- “Nicole Micoli si è lasciata con il fidanzato: lei aggiunge dei dettagli, lui interviene per dire la sua!”
- “Jasmin Zangarelli, il racconto choc di un tentativo di molestia a Milano: “Il mondo fa schifo”
- “George Ciupilan e quell’incredibile somiglianza con… Vladimir Putin da giovane: il video è virale!”
- “Rita Queenj va a vivere con il suo ragazzo Luca: ma come si sono conosciuti e da quanto stanno insieme?”
Da tempo Webboh è considerato quel tipo di media sul quale prima o poi — se sei giovanissimo e famoso, o sei rilevante per la Gen Z — finisci per essere citato.
Ed è forse anche per questo che, nel corso del tempo, Webboh ha cominciato a diventare sinonimo di “giornalisti” per una certa platea di persone, stimolando in qualche modo la redazione a scrivere sempre più spesso di argomenti di carattere più generale — specie se afferenti alla vita quotidiana dei suoi lettori: news sulla COVID-19 e sulla scuola in Dad, su influencer in Ramadan, o su eventuali Guerre alle porte dell’Europa.
E niente, non ho trovato molto altro. Torno quando si fanno vivi.
*Articolo pubblicato anche sulla newsletter zio, che si occupa dei consumi digitali e delle abitudini della Gen Z. Per iscriverti alla newsletter zio clicca qui.
Immagine in anteprima: screenshot via Tik Tok