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Terremoto Centro Italia: “Tutto è fermo, siamo ancora al 24 agosto 2016”

22 Maggio 2018 21 min lettura

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Terremoto Centro Italia: “Tutto è fermo, siamo ancora al 24 agosto 2016”

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di Claudia Torrisi e Andrea Zitelli

Fino alla notte del 24 agosto 2016, Francesco Amici viveva in un’antica fortezza medievale, Castel di Luco, a pochi chilometri dal Comune di Acquasanta Terme, in provincia di Ascoli Piceno. Una struttura unica che aveva ereditato dalla famiglia, e che era la sua abitazione e il suo lavoro: alcune camere per accogliere i turisti e un piccolo ristorante dove venivano serviti prodotti locali.

È lì che si trovava quando una scossa di magnitudo 6.0 ha devastato l’area lungo la Valle del Tronto.

«Castel di Luco è un bene culturale – spiega Francesco a Valigia Blu – sul quale avevo costruito il mio ideale di vita che era stato anche quello dei miei genitori, dei miei nonni. Avevo rinunciato a tante cose pur di portare avanti un progetto che aveva un valore diverso da quello economico, riguardava quello che avrei fatto nella vita e lasciato poi ai posteri. E in un giorno tutto è stato annientato».

La struttura è stata dichiarata inagibile, circondata da grossi cavi e supporti metallici, mentre i lavori di messa in sicurezza e ricostruzione sono impigliati in lungaggini burocratiche. Francesco adesso vive in una casa prestatagli da sua cognata, ad Acquasanta Terme, in una logorante attesa. «La notte del terremoto è stata tragica. La prima scossa ha lesionato il castello in maniera molto importante, quelle successive ancora di più», racconta. Quel che è peggio, però, «è che tutto è fermo. Siamo ancora al 24 agosto 2016».

Quando tutto è cominciato

Alle 3.36 del 24 agosto di quasi due anni fa, la terra trema in Centro Italia. Un sisma di magnitudo 6.0 colpisce i territori di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Il crollo di abitazioni e palazzi provoca 299 morti, con migliaia di persone coinvolte, numerosi feriti e gravi danni sul territorio, riporta la Protezione Civile. Le zone dove il terremoto ha provocato più morti e danni sono quelle dei Comuni di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto. Tra i primi a parlare c'è l'allora sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, che denuncia il dramma della situazione: «Il paese non c'è più». 

Circa due mesi dopo, il 26 e il 30 ottobre, due nuove forti scosse di terremoto – la seconda di magnitudo 6.5 è la più forte degli ultimi 30 anni in Italia, certifica l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) – colpiscono ancora il Centro Italia, in particolare il confine tra Umbria e Marche. Il risultato è che, nonostante non ci siano morti, il numero degli sfollati cresce di molto, così come i danni. Castelluccio, una piccola frazione di Norcia, in Umbria, è praticamente rasa al suolo. 

A inizio del nuovo anno poi, il 18 gennaio 2017, quattro scosse (di magnitudo sopra il 5.0) si verificano ancora nei territori delle regioni centrali, questa volta in particolare tra Lazio e Abruzzo. Diverse ore dopo, inoltre, una slavina distrugge l’Hotel Rigopiano a Farindola, in provincia di Pescara. In totale moriranno 34 persone, 29 della quali solo nell’Hotel.

Nel complesso, certifica la Protezione Civile in un fascicolo inviato all’Unione europea, i danni causati da tutti questi terremoti vengono quantificati in quasi 24 miliardi di euro.

Il piano di assistenza alla popolazione e di ricostruzione del governo

In questi cinque mesi, diverse scosse e le loro conseguenze hanno sconvolto la vita di persone, famiglie, piccoli paesi e città in Centro-Italia. Dal 25 agosto 2016, il governo dichiara lo stato di emergenza e circa un mese dopo individua il cosiddetto “cratere”, cioè i territori che hanno subito i danni maggiori. L’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, annuncia che i paesi distrutti dal sisma sarebbero stati ricostruiti «come erano prima e dove erano prima». Pochi giorni dopo la prima scossa dell’estate, Vasco Errani (Pd), ex governatore dell’Emilia Romagna, è nominato Commissario Unico per la ricostruzione. Durante la prima conferenza stampa, si annuncia che ci sarà «un lavoro di gestione del territorio in sinergia con le istituzioni» delle 4 Regioni colpite. Il nuovo Commissario dichiara inoltre che per la ricostruzione saranno messe «al centro trasparenza, controlli» e promette «meno burocrazia possibile».

Come si legge nel rapporto pubblicato dal Commissario Unico nel 2017 – che fa il punto su come è stata affrontata a livello organizzativo e legislativo la ricostruzione –, le zone del Centro Italia coinvolte presentano diverse difficoltà: “Gli eventi sismici 2016/2017 colpiscono un territorio più complesso ed eterogeneo rispetto a quelli coinvolti negli eventi passati (ndr ad esempio, gli edifici colpiti dal terremoto in Emilia Romagna del 2009 furono circa 40mila, mentre ora si parla di oltre 340mila unità)". Inoltre, si tratta di un territorio già "fortemente provato dalla crisi economica e dal conseguente spopolamento, con istituzioni locali di piccole dimensioni che difficilmente possono sostenere, senza i necessari supporti, l’impatto, non soltanto economico ma anche procedurale, di una ricostruzione così vasta e significativa”.

Da agosto 2016 a gennaio 2017, il territorio su cui si è concentrata l’azione governativa tramite l’assistenza alle popolazioni prima e la fase di ricostruzione poi, è inoltre aumentato di volta in volta raggiungendo una vasta area di 8000 kmq: “I Comuni investiti sono stati 140 (più del 50% localizzati a un’altitudine superiore ai 900 metri), dei quali 130 hanno meno di 10.000 abitanti e 56 ne hanno meno di 1000. Le persone colpite sono quasi 600mila; di queste il 25% è rappresentato da anziani over 65 anni”, mentre gli sfollati sono 40mila. Le Marche è stata la Regione più colpita per il numero di Comuni coinvolti: 85, che rappresenta il 35% del totale. 

Comuni coinvolti distinti per fasi, via Rapporto Commissario straodrdinario ricostruzione (2017)

Visto che di mese in mese, i Comuni colpiti aumentavano così come i danni, i governi che si sono succeduti – quello a guida Matteo Renzi e poi quello Gentiloni – hanno prodotto diversi strumenti legislativi nel corso del tempo.

Il primo e il più importante è stato il decreto legge n.189/2016 che disciplina "gli interventi per la riparazione, la ricostruzione, l'assistenza alla popolazione e la ripresa economica nei territori delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, interessati dagli eventi sismici del 24 agosto 2016”. La fase della ricostruzione (suddivisa in pubblica e privata) prevista dal decreto era fondata su alcuni punti principali:

a) Uffici speciali di ricostruzione, istituiti da ogni Regione unitamente agli enti locali interessati, con il compito di gestire la ricostruzione.
b) Un fondo per la ricostruzione, istituito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con le risorse destinate alla contabilità speciale del Commissario Straordinario e che per gli interventi di immediata necessità è prevista una dotazione iniziale di 200 milioni di euro per il 2016.
c) Una struttura commissariale centrale utile a coordinare l’attività degli uffici speciali per la ricostruzione e ad attuare le decisioni del Commissario Straordinario.

Inoltre, viene creata una Struttura di Missione per la Prevenzione e il Contrasto Antimafia per la Ricostruzione Post-Sisma. 

Nelle legge di Bilancio 2017 (approvata il 7 dicembre 2016 durante gli ultimi giorni del governo Renzi), vengono stanziati in totale più di 7 miliardi di euro per interventi “di riparazione, ricostruzione, assistenza alla popolazione e ripresa economica” spalmati per 30 anni, dal 2017 al 2047.

A queste misure, spiega Adriano Biondi su Fanpage, si affianca il “sisma bonus”, cioè la detrazione per gli interventi di ristrutturazione e messa in sicurezza sismica degli edifici: “la detrazione si applica fino al 50% per gli immobili adibiti ad abitazione o attività produttiva (per spese complessive non superiori a 96mila euro), ma può arrivare al 70% e all’80% nel caso in cui dagli interventi derivi una diminuzione di una o due classi di rischio sismico”.

Nel corso del tempo, inoltre, sono stati stanziati ulteriori risorse economiche e prodotte nuove misure per le zone colpite dalle scosse sismiche del Centro Italia (qui gli interventi nel dettaglio). 

Lo scorso 22 febbraio, il governo Gentiloni ha prorogato (per la seconda volta) “per ulteriori 180 giorni, lo stato di emergenza in conseguenza degli eccezionali eventi sismici che hanno colpito il territorio delle Regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo il 24 agosto 2016, il 26 e il 30 ottobre 2016 e il 18 gennaio 2017 (...)” con lo stanziamento di ulteriori fondi per 570 milioni di euro, “di cui 300 milioni a valere sul Fondo per le emergenze nazionali e 270 milioni mediante utilizzo delle risorse disponibili sulla contabilità speciale intestata al Commissario straordinario per la ricostruzione”.

I ritardi e le criticità a un anno dal primo sisma

A un anno da quel 24 agosto, denunce di enti e persone del luogo e approfondimenti giornalistici hanno fatto però emergere criticità, ritardi, disagi, problematiche nel piano di assistenza e ricostruzione dei territori del Centro Italia.

Lo scorso giugno, Repubblica titola: “Terremoto, la ricostruzione nel caos: in strada il 92 per cento delle macerie”. Nell’articolo, gli inviati Giuliano Foschini e Fabio Tonacci raccontano che le macerie delle strutture crollate sono ancora a terra, che le casette (le cosiddette SAE, cioè strutture abitative di emergenza) per chi non ha più una casa sono ancora pochissime e che la ricostruzione è ancora un miraggio.
Identica situazione viene riscontrata e raccontata da Virginia Piccolillo sul Corriere della Sera gli stessi giorni. 

Tra le cause di questa situazione, denunciano i giornalisti, c’è proprio quella che il Commissario unico della Ricostruzione aveva promesso ci sarebbe stata il meno possibile: la burocrazia, tra decreti leggi aggiornati, interpretazioni delle norme, autorizzazioni richieste e decine di ordinanze dello stesso Commissario, con alcune di queste che aggiornavano le precedenti. Ad esempio, spiega il sindaco di Accumuli, Stefano Petrucci, a Gabriella Cerami dell’Huffington Post: «All'inizio alle amministrazioni competeva solo la rimozione delle macerie sulle strade e nelle piazze. Le nuove norme hanno stabilito invece che anche i privati potessero, tramite una apposita procedura, delegare al pubblico lo sgombero di detriti e calcinacci dalle proprie abitazioni. E questo ha creato confusione: ci ha costretti a rallentare tutto e fare nuove stime, nuovi piani».

Tra i problemi maggiori, la gestione delle macerie da rimuovere e la concessione della “casette”. Per quanto riguarda la prima questione, Repubblica scrive che in base a una una stima (pubblicata anche in un rapporto di Legambiente) ci sono più di 2 milioni di tonnellate di macerie da rimuovere: “da quel 24 agosto, quando il primo terremoto distrusse Amatrice e Accumoli, la macchina dell'emergenza è stata in grado di portarne via 176mila e 700, meno dell'8 per cento”. Nelle quattro Regioni coinvolte i lavori sono partiti, in diversi casi, in ritardo e con lentezza: Nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli, le più colpite dalla scossa del 30 ottobre, si procede a passo di lumaca. Per dire: ci sono voluti cinque mesi e sette autorizzazioni perché la Conferenza dei servizi autorizzasse la ditta Htr a portare macerie nel sito di stoccaggio di Arquata. Htr vince l'appalto a novembre, i camion si sono mossi ad aprile. Accanto a questa lavorano due aziende pubbliche che si occupano di rifiuti (...). È una precisa scelta del governo, che ha equiparato le macerie a ‘rifiuti urbani non pericolosi’, dunque scommettendo sugli operatori che normalmente si occupano della spazzatura”.

Per quanto riguarda la consegna delle "casette", lo scrittore Alessandro Chiappanuvoli, in un articolo su Internazionale, scrive che le Sae consegnate un anno dopo il sisma sono circa 400 su oltre 3600 richieste, spiegando anche l’intricato meccanismo dei numerosi passaggi burocratici – secondo il calcolo di Repubblica 11, tra autorizzazioni e passaggi di responsabilità tra diversi enti – richiesti per riuscire ad avere alla fine un tetto sopra alla testa. Stesso ritardo si riscontra anche nella distribuzione delle stalle agli allevatori che a causa del sisma non potevano più utilizzare le proprie. Dopo un anno, scrive Laura Della Pasqua su Panorama, è pronta solo una stalla su tre. IO Donna racconta la storia di Michela Paris, 30 anni, fra gli allevatori marchigiani con la stalle inagibili: “Hanno richiesto stalle e fienili d’emergenza alla Regione Marche ma ancora non sono stati montati”.

In un video reportage sempre su Internazionale, Davide Olori del gruppo di ricerca indipendente Emidio di Treviri, aggiunge inoltre che «ogni opzione» prevista dalle istituzioni per l’emergenza ha manifestato delle criticità e racconta l’esempio delle persone ospitate negli alberghi, anche verso la costa: «Stare in Hotel per due settimane, un mese, non diventa problematico, ma dopo un anno condividere una stanza di hotel di 10mq con un’intera famiglia sta portando un malessere diffuso». Una situazione di forte disagio raccontata dagli sfollati negli alberghi della costa marchigiana (in alcuni casi distanti centinaia di km dalla loro terra) a Greta Privitera su Vanity Fair: «C’è chi pensa che noi siamo “i fortunati” perché diamo l’impressione di essere in vacanza da dieci mesi, ma questo è un esilio forzato, difficile da sopportare».

Difficoltà e problemi nel piano di assistenza e ricostruzione sono stati evidenziati anche nelle lettera che il presidente dell’Anci, Antonio Decaro (Pd), scrisse al presidente del Consiglio due mesi prima il primo anniversario dal terremoto del 24 agosto. Decaro rivolge un appello per un incontro urgente perché serve uno “sforzo corale” per riuscire a dare "risposte immediate e operative": ci sono "ritardi nella realizzazione delle soluzioni abitative di emergenza e nella rimozione delle macerie" – scrive Decaro –, in alcuni casi difetta "il coordinamento necessario per gestire situazioni inevitabilmente complesse" e "non aiuta non poter disporre di uffici regionali per la ricostruzione capaci di fornire riscontri in tempi certi".

La situazione negli ultimi mesi

A settembre 2017, il commissario straordinario per la Ricostruzione, Vasco Errani, lascia il proprio incarico. Al suo posto il governo nomina la sottosegretaria all'Economia, Paola De Micheli (Pd). 

A novembre, poi, il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli (Fabrizio Curcio aveva lasciato l’incarico ai primi di agosto per motivi personali), durante un video forum sul sito dell’Ansa, fa il punto della situazione e risponde sui ritardi e complicanze per quanto riguarda “casette”, macerie e ricostruzione. Riguardo le strutture abitative di emergenza, Borrelli parla di «un ritardo contenuto rispetto ai tempi preventivati», dovuto essenzialmente a vari motivi tecnici e di procedure legislative per l’approvazione del progetto da parte dei Comuni coinvolti nelle prime due fasi delle quattro previste per la loro progettazione, urbanizzazione dell’area, realizzazione e consegna. Tra le aree con più problematiche ci sono quelle nelle Marche, specifica Borrelli. Il capo della Protezione civile ipotizza poi che entro la fine del 2017 sarebbero state consegnate nelle quattro Regioni del Centro Italia oltre l’80% delle strutture abitative di emergenza. Fino a quel momento il numero delle casette fornite è salito a 1100. Quindi, specifica Borrelli, per fine dicembre le casette consegnate sarebbero state poco più di 3mila.  

Sulle macerie, la Protezione Civile dichiara che in totale ci sono 2milioni e 600mila tonnellate di materiale. Fino a novembre, erano state rimosse oltre 400mila tonnellate, cioè circa il 15% del totale. Prima della ricorrenza di un anno dal terremoto, specifica Borrelli, tutte le Regioni «avevano completato la rimozione delle macerie nelle aree pubbliche», mentre erano ancora lì quelle nelle aree di proprietà dei privati. 

Sulla ricostruzione, il capo della Protezione civile afferma che il quadro normativo va necessariamente modificato. Ad esempio, ritiene non normale che dopo più di un anno non siano ancora iniziati i lavori alle case colpite dal terremoto e classificate come B, cioè gli edifici che hanno subito danni lievi. Il sito Sibilla online, ad esempio,  calcola come nella regione Marche a un anno dal terremoto è stato avviato lo 0,67% dei cantieri potenziali per la riparazione delle case con danni lievi. (Sulla strada della semplificazione delle norme previste per questa fase, il governo Gentiloni ha approvato il decreto fiscale e la legge di bilancio 2018).

La promessa di oltre l’80% delle casette consegnate entro lo scorso natale però non viene mantenuta. Secondo i dati forniti dalla stessa Protezione civile, al 22 dicembre sono state consegnate il 51% delle casette richieste, al 30 dicembre il 58%. Inoltre, durante la stessa consegna delle strutture abitative di emergenza, in alcuni casi, si verificano però dei problemi. Ad esempio, Chiara Gabrielli su Quotidiano.Net riporta che nell’area di Terracino, ad Accumuli, gli sfollati si sono rifiutati di entrarci perché “luce, gas e acqua non funzionano”, frigorifero e forno non sono montati. In quegli stessi giorni di natale, il cattivo stato di diverse casette consegnate è denunciato anche dal coordinamento dei Comitati civici e dai Sindaci di alcuni comuni del cratere, soprattutto nelle Marche.

Ma anche quelle consegnate mesi prima, riporta Agi, in altri casi, “da Amatrice – e frazioni – ad Arquata del Tronto. hanno fatto registrare un blocco nell'erogazione dell'acqua calda, per via dei boiler montati sui tetti” che non “hanno retto alle rigide temperature” di quei giorni.

A queste denunce, il governo risponde che, in base agli elementi forniti dalla Protezione civile, «in merito alla presunta inadeguatezza delle strutture abitative d'emergenza per le località di montagna», queste «sono state progettate in modo da risultare idonee a tutte le zone climatiche italiane», mentre «in relazione ai casi limitati di infiltrazioni di acqua dal soffitto», si sta celermente provvedendo «all'eliminazione definitiva delle eventuali difettosità, al fine di garantire ai cittadini alloggiati nelle suddette strutture adeguate condizioni di vivibilità anche durante il rigido periodo invernale».

Lo scorso 10 aprile, un nuova scossa di magnitudo di 4.7, con epicentro a Muccia, in provincia di Macerata, nelle Marche, rinnova e accresce i timori fra i terremotati. Il sisma, inoltre, provoca danni e cedimenti del mobilio, di caldaie e lo sbriciolamento di alcuni muretti esterni, in alcune “casette”.

Repubblica si domanda “come vengono costruite?”, anche in base  ad approfondimenti giornalistici, denunce della Cgil nella zone del maceratese e le conseguenti indagini giudiziarie, che mostrerebbero “che nei cantieri delle Sae erano presenti operai non specializzati e sottopagati, a volte costretti a pagare il pizzo alle ditte per poter lavorare. Schiavi come nelle campagne, con l’unica differenza che i caporali questa volta sono imprenditori che lavorano con soldi pubblici. Sono in corso indagini delle direzioni distrettuali antimafia per verificare se, come sembra, in quei cantieri si siano infiltrate società in odore di criminalità organizzata, come accadde dopo il terremoto dell’Aquila”. Il procuratore capo di Macerata, Giovanni Giorgio, nel comunicare l’apertura delle indagini ha anche precisato che erano «già in corso da tempo, a opera della polizia, della guardia di finanza e dei carabinieri, controlli sui cantieri edili, connessi alle costruzioni post sisma». 

Oggi a che punto siamo? Poco più di un mese fa, il Commissario straordinario alla ricostruzione, De Micheli, durante un’intervista a Io Donna, annuncia una sanatoria “chirurgica” che dovrebbe aiutare a superare «certi piccoli abusi» del passato nelle case danneggiate e sbloccare così la cosiddetta «ricostruzione leggera».

Questo mentre, denunciano diversi media, la ricostruzione nel cratere è al palo in certi aree o prosegue con estrema lentezza. Il 14 maggio è stata inaugurata a Bolognola, in provincia di Macerata, la prima opera pubblica della ricostruzione: l’ex caserma del Corpo forestale. Per quanto riguarda la ricostruzione privata, lo scorso gennaio, il Commissario De Micheli, durante la conferenza stampa per l’annuncio di un accordo di finanziamento da 350 milioni di euro destinati a famiglie e imprese per i lavori di ricostruzione, ha parlato di «numeri non roboanti» e che che nell’intero cratere sono stati avviati 600 cantieri. Durante la cerimonia, il presidente del Consiglio Gentiloni ha dichiarato: «(...) Dobbiamo saperlo, la ricostruzione durerà mesi e anni».

Alcuni antichi borghi e frazioni colpite dal terremoto, come Pescara del Tronto, nelle Marche, dove il 24 agosto 2016 sotto le macerie morirono 47 persone, potrebbero però non essere più ricostruiti dove si trovavano prima perché il terreno, dopo il sisma, sarebbe inadatto a ospitare nuove case. Lo scrive Paolo G. Brera su Repubblica: «Riunirò l’assemblea dei residenti – spiega al giornalista il sindaco Aleandro Petrucci – e metteremo ai voti le soluzioni alternative che ci proporranno gli esperti. Sceglieremo a maggioranza dove ricostruire il paese. La vecchia Pescara del Tronto, invece, potrebbe diventare un museo della nostra memoria, è un’idea su cui stanno lavorando 70 architetti». Stessa situazione nel Lazio, nella frazioni di Libertino, Tino e San Giovanni che andranno abbandonate perché si trovano su terreni non sicuri, riporta La Stampa. Lo scorso anno, per decidere come e dove ricostruire, è stato incaricato un gruppo di lavoro, il Centro di microzonazione sismica, composto da 25 enti e centri di ricerca, geologi e ingegneri, con il compito di effettuare una radiografia della zona del cratere. Lo scorso 5 maggio è stato annunciato che la mappa geologica “che aiuterà a guidare la ricostruzione” nei circa 140 Comuni colpiti dalle sequenze sismiche è pronta.  

Sulle “casette”, il 15 maggio la Protezione Civile ha comunicato che ne sono state consegnate 3260, quasi il 90% del totale ordinate dalle Regioni: 1514 nelle Marche (su 1825 ordinate), 787 nel Lazio (su 824), 742 in Umbria (su 758) e 217 in Abruzzo (su 238). Infine, nel Lazio e nella Marche, le due Regioni dove si concentrano la maggior quantità di macerie, la rimozione continua. Nel primo, ha dichiarato a fine aprile Claudio Di Berardino, assessore regionale al Lavoro e nuovi diritti e Politiche della ricostruzione: «Ad oggi abbiamo rimosso circa il 50% del totale e si prevede di completare i lavori entro 6 mesi». Nelle Marche, a fine marzo il presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli, ha comunicato che restano ancora da rimuovere 640mila tonnellate del milione in totale stimato. In circa un anno e 9 mesi sono state rimosse 360mila tonnellate di macerie. La Regione Umbria ha comunicato a Valigia Blu che al 20 maggio sono state rimosse 55mila tonnellate, pari al 55% delle macerie attese (stimate in circa 100mila tonnellate).

La vita a quasi due anni dal terremoto

Alice Corradini gestisce insieme al fratello un’azienda agricola biologica ad Amandola, in provincia di Fermo. L’hanno creata i suoi genitori nel 1989, quando avevano deciso di tornare nelle Marche dalla provincia di Milano. Cinquanta ettari di terra, bovini, suini e una filiera di lavorazione e consegna della carne cortissima.

«Con il sisma di agosto 2016 abbiamo perso sia la casa, che il laboratorio di macelleria aziendale, entrambi sono diventati inagibili. Con le scosse di ottobre sono diventati da demolire. Con quelle di gennaio 2017 accompagnate dalla neve, invece, sono crollati anche i fienili. L’unica cosa che è rimasta su è la stalla», racconta. In questo modo Alice ha potuto proseguire la sua attività di allevamento, mentre per la lavorazione da quasi due anni si appoggia al laboratorio di macelleria generosamente concesso da un mattatoio di un paese vicino, in attesa che il modulo lavorativo urgente richiesto sia utilizzabile.

Come allevatori, Alice e la sua famiglia hanno potuto fare domanda non per le casette di legno Sae, ma per un Mapre (Moduli abitativi prefabbricati rurali emergenziali), un container in lamiera. «La nostra vita è cambiata – dice – anche se meno rispetto ad altre persone, perché noi il modulo l’abbiamo nel cortile della nostra vecchia casa, dovevamo stare vicino agli animali che alleviamo. Altri si sono dovuti spostare altrove».

Prima di entrare nel container, Alice ha vissuto fino alla vigilia di Natale del 2016 in un camper prestato dalla cugina: «Il Mapre era pronto, ma ci dicevano che finché non c’erano i mobili non potevamo entrare. Il punto è che per due mesi e mezzo siamo andati a fare la doccia dai vicini dopo aver lavorato in stalla, non era pensabile continuare così. E così siamo entrati lo stesso. Ed è stato un bene perché poi la ditta che doveva portare i mobili è sparita e ce li hanno consegnati il 21 gennaio 2017, quando c’è stata quella nevicata tremenda. Avremmo dovuto vivere in camper mentre fuori c’era un metro e mezzo di neve».

Nonostante i disagi, Alice vuole essere ottimista: «A distanza di due anni la situazione è pressoché invariata. Il container è terribile e d’inverno fa una condensa pazzesca, avrei preferito che ci fosse stata l’onestà intellettuale di dire ‘più di così non possiamo fare’. Ma spero che prima o poi le cose si muovano. Certo, il fatto che la ricostruzione ancora non sia iniziata e ci sia stata questa gestione dell’emergenza potrebbe farci tirare delle conclusioni».

Francesco Amici lamenta chiaramente il mancato coinvolgimento delle popolazioni colpite dal sisma nel dopo terremoto. «Noi che abbiamo subito il terremoto – da tutti i punti di vista, sia fisico che mentale – non siano stati chiamati a essere partecipi nel percorso di ricostruzione delle nostre vite. Siamo stati tenuti fuori da tutto. Eppure il sisma è come se ci avesse distrutti, usciamo da questa esperienza con altre prospettive di vita, altri tipi di malattie. Siamo altre persone», spiega. Una dei lasciti più ingombranti del terremoto è la mancanza della possibilità di fare progetti: «L’uomo per sua natura progetta, io non riesco a farlo. E la cosa che mi pesa di più è che non posso farlo per i miei figli. Con la chiusura di Castel di Luco è come se a un certo punto tutto quello che mio padre e mia madre avevano costruito per me fosse stato azzerato. E io non ho la possibilità di ricominciare pian piano, devo solo aspettare. Invece io voglio tornare a essere protagonista della mia vita».

Secondo Davide Falcioni, giornalista di Fanpage e attivista delle Brigate di Solidarietà Attiva (un’associazione di volontariato sin da subito impegnata nelle zone del sisma), l’opinione generale nel cratere è che per tornare alla normalità «occorreranno ancora decenni».

Il gruppo delle BSA ha portato assistenza nell’immediato alle popolazioni colpite: dal cibo ai vestiti, alle coperte, ai letti, alle stufe. «Addirittura abbiamo portato prima della Protezione civile delle roulotte, avute da donazione private», ricorda Falcioni. Successivamente, l’assistenza da materiale è diventata legale, sono nati gruppi di ricerca sulle conseguenze del sisma ed è stato impostato un lavoro mirato a tessere reti per tenere insieme le comunità.

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Pubblicato da Brigate di Solidarietà Attiva - Terremoto Centro Italia su Venerdì 23 marzo 2018

Una delle cose portate avanti dalle BSA è stata la costruzione di luoghi di ritrovo per le persone colpite dal sisma. «La Protezione civile nelle aree Sae non li ha previsti – spiega Falcioni - Ognuno vive nella sua casetta ma non c’è un luogo dove le persone possano ritrovarsi per fare associazione, riunioni, vita comunitaria che non sia andare al bar o al ristorante».

L’obiettivo, prosegue, «è far restare le gente il più vicino possibile alle loro case. Cerchiamo di informare la popolazione e favorire e supportare l’organizzazione di comitati, che poi possano interloquire con le istituzioni. Portiamo un minimo di livello di assistenza e consulenza, anche politica. Parliamo di persone che magari per 60 anni non sono mai andate a una manifestazione, e ora si trovano a dover lottare».

A essere preoccupante, secondo Falcioni, è lo stato psicologico degli abitanti: «Sono state generate aspettative che sin dai primi giorni dopo il sisma sono state disattese, a partire da ‘ritornerete nelle vostre case’. Tutte sistematicamente tradite, e questo pesa enormemente». Senza contare, aggiunge, che le scosse «continuano, e generano uno stato di tensione costante. Ti svegli la mattina e senti una scossa, pensi di rilassarti e senti una scossa. La gente è molto provata anche da questo».

Alcuni studi hanno mostrato come dopo il sisma il consumo di farmaci contro ansia e insonnia sia cresciuto del 72% nelle zone colpite. L’aumento è stato confermato dal dottor Massimo Mari, coordinatore della funzione psicologica dei servizi alla persona per le vittime del terremoto nella Regione Marche, che ha spiegato di aver notato una crescita del consumo di benzodiazepine, cioè di tranquillanti minori nell’area di Camerino del 70%, mentre «aumenti minori sono stati riscontrati anche per antidepressivi e antipsicotici, rispettivamente del 7% e 3,8%. L’aumento quindi c’è stato. E, sì, le persone stanno ancora molto male perché il trauma è stato estremamente violento».

Secondo i report del presidio di supporto psicologico e assistenza infermieristica di Emergency nei comuni di Camerino, Pieve Torina, Muccia, Visso e Tolentino, il susseguirsi delle oltre 80mila scosse da agosto 2016 ha posto la popolazione “in uno stato di continua sollecitazione, in particolare rileviamo un pensiero pervasivo relativo agli eventi sismici, elevata reattività agli stimoli, ipervigilanza soprattutto all’arrivo della sera, difficoltà notevoli nell’addormentarsi e disturbi del sonno”. Ai medici vengono riferite dai pazienti “numerose situazioni di conflitti relazionali (familiari, coniugali e/o sociali) sia nati a seguito del sisma, sia pregressi a questo evento e da questa condizione slatentizzati. Quello che si osserva si può definire una condizione di ‘lutto della progettualità’, un vissuto di natura depressiva che coinvolge tutti i livelli di funzionamento sociale, dall'individuo alla comunità”.

La condizione è particolarmente delicata per la popolazione sfollata che è stata ospitata negli alberghi della costa, lontano dai loro paesi d’origine, come successo a molti abitanti della maggior parte dei comuni tra l’Amatriciano e il Piceno. Alcuni di loro, afferma Emergency, stanno “rientrando dalle zone costiere e prendendo possesso dei Sae. Il rientro in un territorio profondamente cambiato e l’impossibilità, nella stragrande maggioranza dei casi, di rientrare nella propria abitazione pone la popolazione in uno stato di ulteriore fragilità e difficoltà di adattamento”.

Come ha spiegato un attivista della rete Terre in Moto in un’intervista, infatti, comunità intere che sono state disperse: «Il rapporto nei paesi è molto basato sulla prossimità. Anche nei paesi che non sono stati distrutti, molti abitanti sono andati via, perché avevano la casa danneggiata o perché non vedevano più un futuro lì, e questo significa relazioni sociali che si interrompono, bar e negozi che chiudono».

Secondo Emanuele Sirolli, psicologo volontario del Gruppo umana solidarietà (Gus), vivere a lungo in un albergo, sradicato dalla propria vita può causare alienazione, per cui in generale «le persone che hanno ancora un lavoro stanno meglio o che in qualche modo stanno cercando di riavviare la propria attività, anche se costretti a viaggiare per centinaia di chilometri al giorno».

Il gruppo di ricerca Emidio di Treviri (un progetto nato dalle BSA) ha condotto uno studio per cercare di capire cosa ha significato per gli abitanti del cratere allontanarsi dai propri luoghi di origine e trapiantarsi in nuovi contesti. “Se avessimo potuto scegliere di rimanere nessuno sarebbe venuto qui, ma non abbiamo avuto altra scelta, in molti dovevano portare via i bambini dalle tende, altri avevano a carico persone molto anziane che avevano bisogno di cure”, ha spiegato ai ricercatori una donna di 50 anni ospitata in una struttura di San Benedetto del Tronto.

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Molti intervistati hanno manifestato quello che viene definito “displacement trauma”, una sindrome di spaesamento che emerge quando le persone vengono forzosamente delocalizzate, con conseguenze per la salute. I disturbi – alimentari, psichici, fisici – vengono acuiti dal “prolungamento dell’incertezza”, che aumenta anche il ricorso ai farmaci.

Se avessero preso decisioni diverse, noi saremmo rimasti qui tre mesi e avremmo resistito anche a star lontani e nonostante la difficoltà avremmo reagito. Dopo tutto questo tempo, e nessuna soluzione reale, il conflitto aumenta, siamo lasciati vivere”, ha detto ai ricercatori Renato, un altro degli intervistati. “Siamo sopravvissuti al terremoto e ci sta uccidendo lo Stato. Ci hanno detto di cambiare medico, di prenderlo qui, ma io non l’ho fatto. Preferisco prendere la macchina e tornare a casa, ho bisogno di vedere che succede e di sapere che tornerò”.

Foto in anteprima via Ansa

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