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I miti di estrema destra e le teorie del complotto dietro l’attacco al Congresso americano

9 Gennaio 2021 9 min lettura

I miti di estrema destra e le teorie del complotto dietro l’attacco al Congresso americano

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8 min lettura

La cosa più sorprendente dell’assalto al Congresso americano del 6 gennaio 2021 è che, paradossalmente, si sapeva che sarebbe finita così. Non serviva avere chissà quali doti divinatorie: bastava leggere quello che scrivevano sui social network i seguaci più fanatici e radicalizzati di Trump.

Da circa due mesi, infatti, circolano le più assurde teorie del complotto sui risultati delle presidenziali – dall’hackeraggio dei software per il conteggio delle schede, fino al coinvolgimento di Giuseppe Conte e Matteo Renzi (sì, sul serio). Lo stesso Trump e il suo staff le hanno riprese una ad una, e l’appuntamento del 6 gennaio 2021 a Washington D.C. – lanciato con gli hashtag #StopTheSteal e #OccupyCapitols – si era caricato di aspettative a dir poco messianiche.

Immagine presa dalla pagina “Osservatorio sul complottismo”.

Già il giorno prima, sempre nella capitale, c’era stato un antipasto di quello che sarebbe successo. Migliaia di estremisti si erano radunati a Freedom Plaza sostenendo che “i comunisti stanno cercando di rubare il nostro sogno americano”, finendo poi per scontrarsi con le forze dell’ordine. In una diretta girata dal suprematista Tim Gionet (noto su Internet con il soprannome “Baked Alaska”), un manifestante aveva detto chiaro e tondo che “domani, anche se non mi piace dirlo perché sarò arrestato, entriamo dentro il Campidoglio”.

Come ha ricostruito un articolo di BuzzFeed, l’intero ecosistema mediatico dell’estrema destra americana – spalmato su forum come TheDonald, gruppi di Telegram e Facebook, social di nicchia come Parler e Gab, nonché diversi account su Twitter e TikTok – grondava di discorsi apertamente eversivi. “Per settimane gli estremisti hanno ribadito la loro intenzione di manifestare il 6 gennaio,” ha spiegato il ricercatore Jared Holt, “e di farlo in modo caotico e violento. Quello che abbiamo visto, insomma, è la manifestazione nella vita reale di una retorica nata principalmente online”.

In effetti, è come se al Congresso statunitense si fossero materializzati – un po’ com’era successo a Charlottesville nel 2017 – molti meme della destra americana nati negli anni della presidenza Trump. Tra questi spiccavano le bandiere del Kekistan, le maschere di Pepe The Frog e i simboli di QAnon – incarnati vistosamente dall’ormai famigerato “sciamano” Jake Angeli, e dal fatto che il primo uomo a entrare nel Campidoglio indossava una maglietta di QAnon.

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Quello che è successo non è sorprendente, ma è comunque sconvolgente. Perché, inutile girarci attorno, è stato un tentativo di golpe: non ci sono altri termini per descrivere un’interruzione violenta del procedimento di ratifica dei risultati elettorali, portato avanti da militanti in assetto paramilitare con tanto di fascette di plastica per arrestare i parlamentari.

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Del resto, un colpo di Stato per purificare gli Stati Uniti dai “traditori interni” è uno dei miti fondanti di QAnon – una teoria che, sopra ogni cosa, propugna una visione del mondo profondamente antidemocratica.

Ma c’è anche un altro mito che ha alimentato l’assalto al Congresso: quella della “seconda guerra civile americana”. E sul “Terrorgram,” l’insieme di gruppi e canali neonazisti su Telegram, uno dei post più condivisi in questi giorni recita così: “Questo è il momento che aspettavamo da tanto, tanto tempo…”

Il mito della seconda guerra civile americana

Il concetto di “guerra civile” è endemico nell’estrema destra americana da almeno quarant’anni. Secondo il giornalista David Neiwert – autore di Alt-America e molti altri saggi sul tema – l’idea di un conflitto interamericano è cominciata a circolare tra gli adepti della Aryan Nations, una specie di setta nazista stabilitasi alla fine degli anni ’70 in Idaho (e successivamente in altri stati del Nord-ovest Pacifico) con l’obiettivo di proclamare un “etno-stato” indipendente. 

Sempre in quel periodo, più precisamente nel 1978, esce un romanzo che conia la categoria della “guerra razziale” e sarà destinato ad avere un impatto profondo e duraturo. Si chiama The Turner Diaries (tradotto in Italia come La seconda guerra civile americana) ed è scritto da William Luther Pierce, fondatore del partito neonazista National Alliance.

Dopo il Mein Kampf, si tratta probabilmente del testo più razzista mai pubblicato nel Ventesimo secolo. La trama, in breve, è questa: un gruppo di fanatici di estrema destra, appartenenti all’organizzazione clandestina “The Order,” rovescia il governo statunitense a forza di attentati e atrocità varie – si va dall’esplosione di palazzi federali ai colpi di mortaio sul Congresso, fino alle impiccagioni di massa dei “traditori”. Dopo aver preso il potere, “The Order” fa scoppiare una guerra nucleare con la quale la “razza bianca” può finalmente dominare il mondo.

Per il ricercatore J. M. Berger, autore di un lungo paper sull’eredità di questo romanzo “di culto”, i Turner Diaries si trasformano velocemente in una bibbia per terroristi nazisti. All’inizio degli anni ’80, alcuni militanti della Aryan Nations – capeggiati da Robert Jay Mathews – si ispirano al libro di Pierce per fondare una cellula clandestina chiamata proprio “The Order”.

Per otto mesi, tra il 1983 e il 1984, Mathews e soci spargono il terrore negli Stati Uniti: assaltano negozi, banche e portavalori (in tutto ruberanno milioni di dollari, mai recuperati); piazzano bombe in teatri e sinagoghe; e uccidono il conduttore radiofonico ebreo Alan Berg, sparandogli alle spalle con un’arma da guerra a qualche passo dalla porta di casa.

L’atto più eclatante legato ai Turner Diaries è senz’ombra di dubbio l’attentato di Oklahoma City, compiuto nel 1995 da Timothy McVeigh e un complice – entrambi appartenenti al cosiddetto “movimento dei Patrioti”, una rete informale di milizie di estrema destra. McVeigh ha seguito quasi alla lettera il libro, preparando un’autobomba da mettere fuori un edificio federale e causando 168 morti (di cui diversi bambini).

Dopo Oklahoma City, il “movimento dei Patrioti” – e più in generale l’estrema destra – subisce la pressione delle forze dell’ordine ed entra in declino, pur continuando a commettere reati violenti; gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, ricostruisce Neiwert, impongono una tregua di qualche anno. Che tuttavia si rompe non appena Barack Obama diventa presidente nel 2008.

A quel punto, l’estrema destra si scatena e i proclami sulla “seconda guerra civile” esondano anche nel mainstream (soprattutto su Fox News): un presidente nero non può che essere il presagio di qualcosa di terribile – e la sua sola presenza alla Casa Bianca un atto di guerra contro i “patrioti”.

Le differenze tra la concezione della “guerra razziale” e della “guerra civile” nell’estrema destra americana. Immagine tratta da un rapporto del Center for Global Policy.

Serpeggia infatti il terrore che Obama voglia “sequestrare le armi” – violando così il Secondo Emendamento – e tornano a girare bizzarre teorie costituzionali, secondo cui il governo federale non potrebbe accampare pretese sulle terre di proprietà federale. È proprio l’unione di queste paure a provocare due lunghi confronti armati tra le milizie e le forze dell’ordine: la prima in Nevada nel 2014, e la seconda in Oregon nel 2016 (quest’ultima durerà ben 41 giorni).

Nonostante l’evidente recrudescenza di certe forme di violenza politica nei due mandati di Obama, la tendenza generalizzata dei media, della politica e delle agenzie federali è quella di minimizzare i discorsi sulla “guerra civile” – e chi li faceva – e relegarli ai margini della vita politica e sociale del paese. Tuttavia, scrive Neiwert,

Certe fantasie sul crollo della democrazia americana sono talmente pericolose che, inevitabilmente, finiranno per fare del male a molta gente – anche se le probabilità che questi estremisti abbiano successo sono remote o addirittura inesistenti.

Boogaloo!

Tuttavia, quelle probabilità si alzano drasticamente con l’avvento di Donald Trump. Già durante la campagna elettorale del 2016, infatti, alcune milizie di estrema destra minacciano una “ribellione armata” in caso di vittoria di Hillary Clinton.

Nemmeno la sconfitta di quest’ultima placa gli animi: subito dopo l’inaugurazione del candidato repubblicano, l’estrema destra si impegna a difenderlo fino all’ultimo respiro da vecchi e nuovi pericoli – gli “Antifa”, Black Lives Matter e il possibile impeachment, considerato come l’ennesima provocazione volta a far scoppiare una guerra civile.

Tra il 2018 e il 2019, il mito subisce un altro processo evolutivo e diventa un meme dal nome piuttosto criptico: Boogaloo. Il riferimento è a un film sulla breakdance del 1984, Breakin’ 2: Electric Boogaloo, che a sua volta era un meme già da diversi anni – molti utenti, infatti, sostituivano Breakin’ con nomi di film, eventi o persone.

Lo scherzo si fa molto più serio, però, quando gli estremisti di ultima generazione – attivi su 4chan e altri forum – mettono Civil War (“guerra civile”, per l’appunto) al posto di Breakin’ 2 usandolo a fini propagandistici contro qualsiasi proposta di regolamentazione delle armi, e iniziano ad apparire a varie manifestazioni indossando delle vistose camicie hawaiane.

A gennaio del 2020, ad esempio, migliaia di “patrioti” armati fino ai denti si recano a Richmond, in Virginia, per circondare il parlamento statale in segno di protesta contro un disegno di legge (molto timido, a dir la verità) per aumentare i controlli sulle armi da fuoco.

Ma è con la pandemia di coronavirus che il boogaloo (sia nella sua accezione di “seconda guerra civile americana” che di movimento) esplode sia dentro che fuori Internet – esattamente com’è successo con QAnon.

In particolare, i militanti di estrema destra si fanno notare nel corso delle proteste contro i lockdown in vari stati americani. La più eclatante si svolge a Lansing, capitale del Michigan, il 30 aprile del 2020: centinaia di persone, alcune delle quali pesantemente armate, occupano fisicamente la sede del parlamento locale mentre è in corso una seduta sull’estensione delle misure restrittive per arginare l’epidemia.

Invece di condannare l’accaduto, Donald Trump getta altra benzina sul fuoco accusando la governatrice democratica Gretchen Whitmer di non aver saputo gestire la situazione e di non essere in grado di “trovare un accordo” con i manifestanti, definite “brave persone” dal presidente.

Qualche mese dopo, l’Fbi arresta tredici di loro con accuse gravissime – tra cui la pianificazione del rapimento di Whitmer in vista delle elezioni presidenziali, nonché l’assalto del parlamento del Michigan con l’obiettivo di “istigare una guerra civile”.

Se succede negli Stati Uniti, può succedere ovunque

Le prove generali dell’assalto al Congresso del 6 gennaio del 2021 c’erano già state, dunque. L’estrema destra americana, energizzata da Trump e fomentata dalle teorie del complotto, lo dice da quarant’anni in tutte le salse: la “seconda guerra civile” non è soltanto un modo di dire, è un obiettivo da realizzare in qualsiasi modo.  

Il vero problema è che, allargando lo sguardo oltre gli Stati Uniti, ci si accorge che può succedere ovunque – e da qualche parte è già successo.

La scorsa estate, un gruppo di manifestanti ha cercato di assaltare il parlamento tedesco (il Reichstag) nell’ambito di una grossa protesta anti-lockdown a Berlino. In Olanda, da più di un anno a questa parte, degli agricoltori spalleggiati dal movimento di estrema destra Farmers Defence Force danneggiano uffici governativi e minacciano politici.

Secondo il politologo olandese Cas Mudde, siamo arrivati a questo punto “a causa della vigliaccheria, dei fallimenti e del miope opportunismo della destra istituzionale” in Europa e negli Stati Uniti. La quale ha usato l’estrema destra come un serbatoio di voti e di idee, chiudendo però l’occhio sulle loro esternazioni più pericolose, nell’illusione che dalle parole non si sarebbe mai passato ai fatti.

E invece, si sta passando eccome ai fatti. Per Mudde, infatti, “la violenza dell’estrema destra è sempre più palese ed esplicita, e dovrebbe essere un campanello d’allarme per chi ha sdoganato questi gruppi. Nel senso non siete voi a controllarli; sono loro che vi controllano”.

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Del resto, come ha detto lo “sciamano di QAnon” Jake Angeli al giornalista Tik Root: “Siamo noi, il popolo, i padroni. E l’altro giorno siamo semplicemente andati a fare un’ispezione [al Congresso] per vedere se stessero lavorando”.

Immagine in anteprima: foto di Tyler Merbler, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

*Articolo pubblicato anche sulle newsletter Complotti!, che si occupa dell'impatto delle teorie del complotto sulla politica, sulla società e sulla cultura. Per iscriverti alla newsletter Complotti! clicca qui.

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