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L’arresto di Pavel Durov, CEO di Telegram: attacco alla libertà di espressione, spy story o lotta alla pedopornografia?

29 Agosto 2024 13 min lettura

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L’arresto di Pavel Durov, CEO di Telegram: attacco alla libertà di espressione, spy story o lotta alla pedopornografia?

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Minaccia alla libertà di espressione, ingerenza degli Stati che cercano di ficcare il naso nelle chat private, richiesta di una maggiore collaborazione ai servizi di messaggistica nel delicato equilibrio tra lotta ai crimini e tutela della privacy degli utenti, o spy story che vede protagoniste le intelligence dei paesi occidentali nel tentativo di acquisire dati sensibili sui movimenti dei militari russi?
L’arresto del fondatore di origine russa (e cittadinanza francese, emiratina e di Saint Kitts e Nevis) dell’app di messaggistica e social media Telegram, Pavel Durov, ha suscitato miriadi di reazioni e interpretazioni che trovano legittimazione e giustificazione a seconda degli interessi e delle prospettive di chi si è avvicinato a questa storia. Ma le informazioni a disposizione sono troppo rarefatte per trarre conclusioni e invitiamo a diffidare di chi dispensa certezza perché siamo ancora nel campo delle ipotesi, delle speculazioni e delle strumentalizzazioni. Qualcosa sappiamo delle accuse e dei reati contestati a Durov, poco o nulla sappiamo delle prove a sostegno.

Quel che è certo è che sabato scorso, il 24 agosto, Durov è stato arrestato subito dopo essere atterrato con un aereo privato all'aeroporto di Le Bourget, fuori Parigi, è stato poi interrogato nell'ambito di un'ampia indagine su attività criminali su Telegram e, il 28 agosto, è stato formalmente accusato dalla Procura di Parigi di 12 reati, legati alla distribuzione di materiale pedopornografico, allo spaccio di stupefacenti, alla frode e al riciclaggio di denaro. Il magnate russo, ora in libertà vigilata dopo il pagamento di una cauzione di 5 milioni di euro, deve presentarsi due volte alla settimana in una stazione di polizia francese e non può lasciare il paese.

L’arresto di Durov è divenuto subito un caso politico: funzionari russi hanno parlato di matrice politica del procedimento giudiziario (il vero obiettivo sarebbe a loro avviso ottenere le chiavi di Telegram per avere accesso a informazioni sensibili) e hanno sfruttato la vicenda per trasmettere il messaggio – reiterato negli ultimi due anni dall’inizio dell’invasione in Ucraina – che tutti i russi, ovunque si trovino, “hanno bisogno della protezione della Russia”. Non hanno bisogno di interpretazioni le affermazioni dell’ex primo ministro russo Dmitry Medvedev, secondo cui il magnate della tecnologia ha sbagliato a pensare che la cittadinanza o la residenza in altri paesi lo avrebbe tenuto al riparo dai problemi. “Per tutti i nostri nemici comuni ora è russo. Per tutti i nostri nemici comuni ora è russo - e quindi imprevedibile e pericoloso. Durov deve finalmente capire che non si sceglie la propria patria, così come non si scelgono i tempi in cui si vive”. È intervenuto anche il presidente francese Emmanuel Macron per dire che l'arresto di Durov “è avvenuto nell'ambito di un'indagine giudiziaria in corso. Non è in alcun modo una decisione politica”. La Commissione Europea ha preso le distanze dall'indagine francese. “Si tratta di un'indagine penale a livello nazionale, condotta dalle autorità francesi... sulla base del diritto penale francese”, ha dichiarato un portavoce della Commissione. “Non ha nulla a che fare con il Digital Service Act”.

C’è stato chi ha sollevato dubbi anche sulla tempistica e sulle circostanze della detenzione di Durov, in particolare sul fatto che egli sapesse che Parigi aveva emesso un mandato di cattura nei suoi confronti, mentre altri hanno fatto di Durov quasi un martire della libertà di espressione. Tra questi, il proprietario della piattaforma X, Elon Musk: lanciando l’hashtag #FreePavel, ha detto senza giri di parole che “nel 2030 in Europa verrai condannato per aver messo like a un meme” e che il prossimo a subire un trattamento simile potrebbe essere lui.

Ma siamo davvero di fronte a un caso di limitazione della libertà di espressione e di tutela della privacy dei cittadini a rischio? Perché Telegram è sotto inchiesta? Perché Durov è stato arrestato? Quali sono le implicazioni del suo arresto? 

Molti dettagli importanti sul caso rimangono oscuri ma, come osserva il giornalista tecnologico statunitense Casey Newton, c’è l’impressione che Telegram sia rimasta vittima di sé stessa e che quanto avvenuto fosse quasi inevitabile.

Perché è stato arrestato Durov?

Durov è stato arrestato nell'ambito di un'indagine iniziata l'8 luglio contro una persona di cui non sono state divulgate le generalità, accusata di più reati, tra cui complicità nella diffusione di materiale pedopornografico, nello spaccio di stupefacenti, frode e riciclaggio di denaro, e il rifiuto di collaborazione con le autorità (alle quali Telegram non avrebbe divulgato le informazioni sugli utenti richieste nel corso delle indagini penali). Non è chiaro chi sia la persona indagata.

L’impianto accusatorio - stando a quanto si evince dal comunicato stampa della Procuratrice Laure Beccuau e dalle informazioni rilasciate dalla Procura di Parigi - sembra, dunque, non avere nulla a che fare con il Digital Service Act (DSA), la legge europea recentemente approvata dall'Unione Europea che regolamenta le piattaforme, come inizialmente ipotizzato da alcuni. 

“Durov è stato arrestato per aver commesso, o per essere sospettato di aver commesso, reati penali. E non per non aver osservato il DSA”, commenta in un thread su X Florence G'sell, visiting professor al Cyber Policy Center presso la Stanford University e a capo della cattedra di Digital, Governance and Sovereignty a Sciences Po, a Parigi. Tra i vari reati contestati, Durov è accusato di aver partecipato attivamente a un crimine grave insieme ad altri individui (accusa n. 8) e, fornendo strumenti di criptovaluta, di aver consentito a criminali di riciclare i profitti derivanti da varie attività illegali e traffici illeciti (accusa n. 9). Inoltre, come riportato da Forbes, il proprietario di Telegram deve anche affrontare un'indagine dell’OFMIN (un'agenzia francese dedicata alla protezione dei minori dalla violenza) su presunte violenze contro uno dei suoi figli. Si presume che sia stato violento in più di un'occasione, tra cui una volta a Parigi. 

Dunque, l’arresto di Durov pare essere più una questione di applicazione del Codice penale (nei confronti di coloro che forniscono mezzi tecnici per attività criminali) che di normative sui social media. 
E se è vero che sono rari i casi in cui fornitori di servizi web siano ritenuti responsabili delle azioni dei loro utenti, ed è ancora più raro che si arrivi alla responsabilità personale, sarebbe altrettanto strano - sottolinea Casey Newton - se un'indagine sul modo in cui Telegram consente la criminalità informatica non si concentrasse sull'amministratore delegato dell'azienda. 

Subito dopo l’arresto di Durov, Telegram ha commentato su X che il suo fondatore non ha nulla da nascondere, che la moderazione è conforme agli standard del settore e che “è assurdo affermare che una piattaforma o il suo proprietario siano responsabili per l'abuso di tale piattaforma”

Ma dire che la moderazione di Telegram è “conforme agli standard del settore” non pare corrispondere al vero, considerato come vengono moderati i contenuti su Telegram. Per alcuni aspetti importanti, Telegram è unico tra i suoi simili. “Telegram è di un altro livello”, scrive Brian Fishman, ex capo dell'antiterrorismo di Meta, in un post su Threads. “È stato l'hub principale dell'ISIS per un decennio. Tollera la diffusione di materiale pedopornografico. Ha ignorato un impegno ragionevole [delle forze dell'ordine] per anni. Non si tratta di una moderazione ‘leggera’ dei contenuti, ma di un approccio completamente diverso”.

Ufficialmente, i termini di servizio di Telegram vietano agli utenti di pubblicare contenuti pornografici illegali o di promuovere la violenza sui canali pubblici. Ma come ha osservato l'anno scorso un’analisi sulla diffusione online di materiale pedopornografico dello Stanford Internet Observatory, questi termini implicitamente permettono agli utenti di condividere questi contenuti nei canali privati senza alcun controllo.

Come sono regolate la privacy e la raccolta dei dati su Telegram?

Lanciata nel 2013, Telegram è un'app di messaggistica e social media che vanta oltre 900 milioni di utenti. Nel corso del tempo, ha aggiunto più contenuti pubblici e altre funzioni simili a quelle dei social network. Ad esempio, alcuni dei suoi “canali” pubblici hanno milioni di follower, tutti in grado di ripubblicare i contenuti di quei canali nelle proprie chat di gruppo. E se all’inizio è stata completamente gratuita, da due anni prevede un sistema di abbonamento “premium” per gli utenti che vogliono utilizzare funzionalità aggiuntive.

Il successo di Telegram è cresciuto esponenzialmente negli anni soprattutto perché è passata la convinzione che le sue funzioni di messaggistica fossero molto più sicure di altre (come WhatsApp) nella tutela della privacy degli utenti e che avesse un approccio molto permissivo nella moderazione dei contenuti e permettesse anche a chi ha posizioni politiche estreme di coordinarsi senza essere cacciato. Infatti, tra le FAQ di Telegram si legge che l’azienda non interverrà in alcun modo per rimuovere contenuti illegali sulla piattaforma perché “Tutte le chat di Telegram e le chat di gruppo sono private tra i partecipanti”.

E così al suo interno ci sono canali dedicati allo scambio di materiale pedopornografico o allo spaccio di droga, reti di estremisti di destra, gruppi paramilitari che pubblicano contenuti razzisti, misogini e antisemiti spregevoli e gruppi paramilitari che incitano alla violenza. Ma, al tempo stesso, Telegram è uno spazio in cui possono avere accesso a informazioni altrimenti precluse cittadini di paesi dove i media sono controllati dal governo, come Russia o Iran. 

Tutto questo, però, non è sinonimo di sicurezza e tutela della privacy degli utenti. Anzi Telegram li espone proprio per il suo sistema di crittografia. “Per me è sorprendente che dopo tutto questo tempo, quasi tutta la copertura mediatica di Telegram lo chiami ancora un servizio crittografato - commentava alcuni anni fa Moxie Marlinspike, fondatore di Signal, un’alternativa molto più sicura di Telegram e WhatsApp. “Telegram ha molte caratteristiche interessanti, ma in termini di privacy e raccolta dei dati, non c'è scelta peggiore”.

Telegram utilizza un tipo di crittografia diversa da quella che è diventata standard nelle app di messaggistica, nota come crittografia end-to-end (e2e). Quando si usa la cifratura end-to-end, i messaggi e i file vengono convertiti in testo illeggibile lungo il percorso dal dispositivo che li invia fino a quello che li riceve. Al destinatario il contenuto della chat apparirà perfettamente leggibile, poiché codificato mediante una chiave segreta, ossia un codice creato sia sul dispositivo mittente sia su quello ricevente. Si tratta di un codice che viene rigenerato all’invio di ogni nuovo messaggio, che viene cancellato quando la decrittazione del messaggio è conclusa e che non viene condiviso né con l’app né con altri dispositivi. In questo modo i messaggi, pur essendo inviati mediante Internet e quindi tecnicamente violabili, risultano leggibili soltanto dal dispositivo che possiede la chiave adatta.

Su Telegram, invece, fatta eccezione per le “chat segrete” (il cui processo di impostazione è piuttosto laborioso e non è attivabile per le chat di gruppo o i canali broadcast), le chat non godono automaticamente della crittografia end-to-end. Questo perché che i messaggi inviati tramite Telegram sono decifrati e salvati sui server dell’azienda e, in linea teorica, possono essere letti non soltanto dall’azienda stessa, ma anche da eventuali hacker nonché da governi che richiedano l’accesso ai server per una specifica ragione. Va detto che, per proteggere i dati non coperti dalla crittografia end-to-end, Telegram utilizza un'infrastruttura distribuita. I dati delle chat nel cloud sono archiviati in più centri dati in tutto il mondo, soggetti a giurisdizioni diverse paese per paese. Di conseguenza, sono necessarie più ordinanze di tribunali di diverse giurisdizioni per poter avere accesso ai dati.

Telegram ha affermato di non aver mai consegnato un solo byte di dati degli utenti a un governo, e questo ha creato frizioni con diversi governi. L’applicazione è bandita in 31 paesi e, per fare un esempio, dal 2022 la Germania sta cercando di costringere l’applicazione a rimuovere contenuti neonazisti, illegali per la legge tedesca. Inoltre, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, nel 2017 i servizi segreti francesi avrebbero collaborato con gli Emirati Arabi Uniti per hackerare l'iPhone di Durov e capire se l’ISIS stesse utilizzando Telegram per reclutare militanti.

Quali sono le implicazioni di questo arresto per gli altri servizi di messaggistica e i social?

Fino a quando non verranno resi noti i dettagli dei reati contestati e le prove a sostegno, sarà difficile capire le implicazioni dell’arresto. 

Alcuni, come Elon Musk e tutti coloro che hanno iniziato a diffondere l’hashtag #freepavel, hanno provato a spostare I’asse della discussione sulla libertà di espressione. In Russia, c’è stata una convergenza (sorprendente fino a un certo punto) tra oppositori di Putin e rappresentanti del governo a sostegno del fondatore di Telegram. 

Lo stesso Durov ha più volte affermato di essere un sostenitore della privacy degli utenti e ha ricordato spesso come in passato sia stato costretto a fuggire dalla Russia e a vivere in esilio a Dubai dopo essersi rifiutato di consegnare ai servizi di sicurezza russi i dati degli utenti della sua precedente società, VKontakte, una piattaforma simile a Facebook. 

Nel 2013, subito dopo aver ceduto VKontakte a ricchi uomini d'affari vicini a Putin, mentre era in esilio Durov lanciò il servizio di messaggistica Telegram, da lui stesso presentato come uno strumento contro la censura di Stato. Tutto questo permise a Durov di guadagnare una certa dose di fiducia e la fama di “Robin Hood” del web tra i russi, che iniziarono a migrare su Telegram, e di attirare le ire del Cremlino, che nel 2018 cercò di bloccare il servizio di messaggistica che stava sempre più aumentando la sua popolarità in Russia, racconta a France24 Ksenia Ermoshina, specialista di Internet russo presso il Centro per Internet e la Società del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (CNRS) francese.

Eppure, nonostante fosse ritenuto una persona non grata al Cremlino, Durov non è mai riuscito a scrollarsi di dosso il sospetto tra le élite occidentali di aver mantenuto in qualche modo contatti con lo Stato russo. 

Il rapporto tra Telegram e il Cremlino è “più complicato di quanto si possa pensare. Lo definirei distante ma cordiale”, ha dichiarato Jeff Hawn, specialista di Russia presso la London School of Economics (LSE). Il “rifiuto di Durov di fornire (al governo) informazioni sugli utenti di VKontakte è dovuto più alla sua filosofia libertaria che a un'opposizione politica a Vladimir Putin”, aggiunge Ermoshina del CNRS.

Secondo quanto riportato da The Insider, seppure in esilio, Durov è entrato in Russia 50 volte tra il 2015 e il 2021: è stato in Russia nel 2017, quando l'FSB ha chiesto le chiavi di crittografia di Telegram; nel 2020, quando Roskomnadzor (il Servizio federale per la supervisione delle comunicazioni, della tecnologia dell'informazione e dei mass media) ha revocato tutte le restrizioni a Telegram dopo che le autorità russe hanno dichiarato che Durov era disposto a collaborare nella lotta al terrorismo e all'estremismo; nel 2021, quando Telegram ha rimosso i bot associati al team di Navalny. 

Proprio queste ultime due circostanze avevano suscitato più di una perplessità tra gli oppositori di Putin, mentre le voci di un possibile accordo tra Durov e Cremlino si facevano più insistenti, spiega Mariëlle Wijermars, docente di governance di Internet presso l'Università di Maastricht. Tuttavia, queste voci non hanno impedito che Telegram continuasse a essere il canale principale per il dissenso in Russia, specialmente dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e la repressione dei media indipendenti e il ban nei confronti dei social occidentali da parte del Cremlino. E così molti oppositori di Putin si sono detti preoccupati che un’eventuale cooperazione tra Durov e le autorità francesi possa spingere Mosca a chiudere Telegram in Russia o chiedere a sua volta l’accesso alle chiavi della piattaforma. 

Per il Cremlino, l’arresto ha rappresentato un’occasione per reiterare le narrazioni sull’ipocrisia delle democrazie occidentali sulla libertà di espressione e sulla necessità di difendere tutti i russi ovunque si trovino, come affermato da Medvedev. 

Le autorità russe temono in realtà che Durov possa dare accesso a informazioni sensibili alle autorità francesi. “Ci sono molte persone nell'establishment russo, nel governo russo (e) nelle forze armate russe che sono molto spaventate perché Telegram è uno dei canali più utilizzati”, spiega ancora Mariëlle Wijermars. È quindi nell'interesse di Mosca che Durov resti il meno tempo possibile nelle mani della giustizia francese.

La battaglia di bandiera sulla libertà di espressione sembra celare una posta in gioco più alta, e cioè i dati sensibili di chi usa le piattaforme che fanno gola o devono essere preservati a seconda delle convenienze, se si tratta di perseguire oppositori o preservare informazioni sensibili per l’establishment. 

La questione mette in gioco, al massimo, la tutela della privacy degli utenti e, nello specifico, come Telegram gestisce questi dati e regolamenta le conversazioni sulla piattaforma. Come spiega Alex Hern sul Guardian, l’indagine non riguarda contenuti pubblici condivisi sui social network e ciò che X o Facebook dovrebbero o non dovrebbero fare per moderare le conversazioni sulle loro piattaforme. “I servizi di messaggistica privata e di gruppo sono un'offerta fondamentalmente diversa, ed è per questo che esistono i servizi tradizionali crittografati end-to-end. Cercando di stare a cavallo tra i due mercati, Telegram potrebbe aver perso la difesa di entrambi”, scrive Hern.

Gli esperti si interrogano sulla portata dell’indagine francese. Da un lato, le piattaforme si trovano da anni a dover affrontare pressioni sempre più forti per collaborare maggiormente con le forze dell'ordine, anche violando la crittografia end-to-end. Dall’altro, Telegram sembra davvero consentire attivamente una quantità impressionante di abusi. “E se è inquietante vedere il potere dello Stato usato indiscriminatamente per ficcare il naso nelle conversazioni private, è altrettanto inquietante vedere un'azienda privata dichiararsi al di sopra della legge. Dato il suo comportamento, un intervento legale sulle pratiche commerciali di Telegram era inevitabile”, scrive Casey Newton. Ma da qui ad arrivare alla “fine delle conversazioni private e della crittografia end-to-end” ce ne corre.

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C’è chi teme che possa innescarsi un effetto a catena sulla scorta di quanto sta facendo la Francia che, da un lato, costringa alla lunga i responsabili delle piattaforme a moderare e censurare eccessivamente i loro servizi di messaggistica per evitare che la loro stessa sicurezza sia messa a rischio ogni volta che si recano in paesi come la Francia, anche solo per una vacanza; dall’altro, possa incoraggiare i paesi di tutto il mondo a perseguire penalmente gli amministratori delegati delle piattaforme per non aver consegnato i dati degli utenti. Cosa che sta già accadendo da anni in Stati come India, Russia e tanti altri che stanno lavorando alle cosiddette “hostage taking laws”, leggi che obbligano le aziende tecnologiche ad aprire una sede nel loro territorio e assumere dipendenti locali, più facilmente perseguibili. 

“L'arresto dell'amministratore delegato di Telegram in Francia non sorprende” e sembra qualcosa che sarebbe potuto accadere anche in altri paesi. “Da tempo si vocifera che Telegram non rimuova cose come materiale pedopornografico e abusi sui minori non criptati o account di organizzazioni terroristiche. Questo è sufficiente per ritenere una piattaforma responsabile dei contenuti veicolati al suo interno nella maggior parte dei sistemi legali”, ha commentato su LinkedIn Daphne Keller, esperta di responsabilità legale delle piattaforme presso lo Stanford Cyber Policy Center. “Di solito sono una delle persone che fa più rumore sulle conseguenze della libertà di espressione quando i legislatori esagerano nel regolamentare le piattaforme”, conclude Keller. “È possibile che questo si riveli uno di quei casi. Ma per ora non credo”.

Immagine in anteprima: TechCrunch, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

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