Tra altiforni che ossidano i cieli di una città e danno lavoro a migliaia di operai. È in questa cornice che si svolge l’attività di Fabio Matacchiera, da più di venti anni impegnato nel monitoraggio dell’impatto ambientale delle emissioni degli impianti dell’Ilva e fondatore dell’Associazione Onlus “Fondo Antidiossina Taranto”.
Nella notte tra il 7 e 8 ottobre 2010, Matacchiera gira un video che documenta enormi e sospette emissioni notturne di fumi dai camini degli altiforni dello stabilimento siderurgico. Dopo due mesi e mezzo, il 21 dicembre scorso, il gruppo Ilva s. p. a. deposita presso la Procura della Repubblica di Milano una querela a carico dell’ambientalista tarantino in relazione alle immagini e ad alcune affermazioni presenti nel video da lui diffuso su internet, giudicate lesive della reputazione dell’azienda guidata dal Gruppo Riva.
«Nello specifico - si legge nella nota stampa diffusa il pomeriggio del 23 dicembre - l'Ilva tiene a precisare pubblicamente, così come già espresso in sede di querela davanti alla magistratura, che la marcia dell'impianto, camino E312, all'1.20 dell'8.10.2010 (data e ora del video di Matacchiera) era perfettamente regolare come attestato dai dati emissivi monitorati in continuo dal Dipartimento Provinciale di Taranto dell'Arpa Puglia».
Ma la partita, secondo Fabio Matacchiera, si giocherebbe su un altro tavolo. In gioco sarebbe anche la sola possibilità di prevedere voci dissonanti rispetto all’Ilva.
Fabio, ti aspettavi la querela per quel video?
Mi aspettavo che loro mi denunciassero. In genere devono decorrere 90 giorni, loro hanno fatto anche presto. Hanno impiegato 59 giorni. Evidentemente, hanno voluto farmi il regalo di Natale. Hanno depositato la querela al Foro di Milano il 21 dicembre, hanno diramato una nota stampa due giorni dopo, diffusa poi sui quotidiani la mattina del 24. Un giorno prima di Natale. Hanno voluto farmi passare delle belle feste. Per fortuna ho subito avuto il sostegno di singoli cittadini e delle associazioni presenti in città, che mi hanno dato un aiuto dal punto di vista morale. Mi devo difendere contro un colosso, per questo motivo ho scelto di avvalermi di una difesa legale di rilievo, quella dello studio Petrone. Certo, c’è la paura che dopo la reazione iniziale che fa indignare e ti fa sentire il calore di tante persone, col passare del tempo, resti solo a combattere. Ma sono pronto. È la sesta querela che ricevo.
Sempre per tematiche ambientali?
Sì. Sono sempre stato impegnato nella difesa dell’ambiente. Dal 1991 al 1998 ho guidato l’Associazione “Caretta Caretta”, con i cui numerosissimi associati abbiamo effettuato numerosi “blitz”, anche notturni, presso i canali di raffreddamento dell’Ilva per raccogliere prove video, fotografiche e campioni di sostanze, che abbiamo fatto analizzare in diversi laboratori, con risultati talvolta molto sorprendenti. Adesso, sentiamo ogni giorno parlare del micidiale cancerogeno benzo(a)pirene, ma noi già nei primi anni '90 lanciammo l’allarme sulla presenza massiccia di questa sostanza nell’ambiente e trovammo quantità veramente oltre ogni immaginazione nei sedimenti dei fondali antistanti i canali dell’Ilva. Questi dati furono confermati dalle analisi del Cnr di Taranto. Poi con il Fondo Antidiossina Taranto, stiamo cerchiamo di rilevare la presenza delle diossine nell’organismo umano e anche animale con un campionamento fatto nell’area jonica. Nell’Ilva, ci sono persone che parlano e talvolta mi fanno delle segnalazioni. Si dice che per i quadri io sia un irriducibile. Hanno voluto colpirmi. Riva dice che la sera in cui ho registrato il video le emissioni erano a norma. Perché Riva non ha dimostrato subito che quanto da me rappresentato non è mai accaduto? Perché non ha diffuso subito i dati per rassicurare tutti che quella sera le cose sono andate non come appare nel filmato e ha deciso di querelarmi? Probabilmente hanno paura di me. Quel che mi guida è la cura della salute di chi abita a Taranto e nella provincia.
A commento del video diffuso su YouTube hai scritto che sono stati degli operai a chiamarti e a dirti che “stavano andando a ruota libera”
In genere funziona così, ho tante persone che mi avvisano, per fare filmati e altro... Così è andata quella sera. Mi hanno avvisato degli operai e io sono andato a riprendere con una telecamera particolare. È una telecamera potentissima, di precisione, che può riprendere di notte. Una telecamera di tipologia militare, a raggi infrarossi. Le immagini di quanto ripreso sono inequivocabili. Forse per questo motivo mi temono e tutto questo mi fa ritenere che la loro azione sia stata intimidatoria. Tra l’altro, non si trattava del primo video che giravo, ne ho girati altri ad aprile e non sono stato denunciato. Ritengo che vogliano colpire me per intimidire tutto il gruppo degli ambientalisti. Quando un colosso come l’Ilva risponde con una querela alla diffusione di immagini e informazioni da fare circolare libere su internet e visibili a tutti, con tutti i costi che un processo comporta, lo scopo non può essere che quello di spaventarti, di farti stare zitto, di scoraggiarti a far circolare documentazioni. Con questa azione Riva rende ancora più evidente la sua forza, il suo dominio.
Eppure nella nota stampa diffusa il 24 dicembre, si legge che l’Ilva è ormai da diversi anni impegnata in un dialogo costante con le istituzioni, con i cittadini e con le associazioni impegnate nella tutela dell’ambiente.
Queste sono solo parole. L’Ilva non ha fatto nulla per il campionamento anti-diossina. C’è da dire che a tutt’oggi l’Ilva non ha adottato il campionamento in continuo per il rilevamento delle diossine, così come prevede la legge regionale anti-diossina, del dicembre 2008 n. 44. E il Presidente della Regione Vendola ha promesso a tutta l’Italia che farà chiudere l'Ilva se l’Ilva non fa partire entro il 31 dicembre 2010 questo tipo di campionamento per il quale si evince che le emissioni delle diossine rientrino nel limite dello 0,4 nanogrammi, così come prevede la stessa legge. A questa promessa non ci credo, a meno che la mattina del primo gennaio l’Ilva non chiuda.
In città sono tante le associazioni e i comitati impegnati su questo fronte. Riescono a fare sinergia?
Ci sono tante associazioni. C’è Taranto Libera, c’è Taranto Futura, Altamarea, per ricordarne solo alcune, che danno tutte quante il loro contributo. Magari hanno vedute diverse, fanno proposte e hanno progetti differenti, però il loro lavoro va in una direzione comune. Stanno lavorando in profondità. Il solo fatto che ci siano tante associazioni è una ricchezza e dimostra che tra i cittadini si sta rivitalizzando una coscienza critica rispetto alle problematiche ambientali, ma soprattutto rispetto alla cura di queste città.
Sì, quella era una iniziativa molto interessante, ma il percorso referendario è stato sospeso. Si è inceppato.
Il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso del Comitato “Taranto Futura”, contro l’ordinanza del Tar di Lecce che aveva sospeso il decreto del sindaco di Taranto che, su ripetuta pressione dei cittadini, si è visto costretto a indire per il 27 marzo 2011 il referendum sulla chiusura dell’Ilva. Ora il 12 gennaio si terrà una nuova udienza al Tar di Lecce. E sapremo.
Sull’ipotesi di chiusura dell’Ilva si sono pronunciati anche intellettuali e scrittori, come Giancarlo de Cataldo, autore di “Romanzo Criminale” e prossimo consulente del sindaco Stefàno, che sul magazine Wemag, ha recentemente detto che chiudere l’Ilva è una battaglia persa.
La dice lunga sui rapporti di forza tra Ilva e città. E anche sulla distanza che c’è adesso tra palazzo e cittadini. E in questa distanza c’è la mancanza di cura della città, di lottare contro il suo degrado. Se passeggi vedi tanta spazzatura, motociclette che rombano e sfrecciano a velocità inaudita con targhe illeggibili, l’anarchia è la regola. Invece ritengo che la cura del territorio debba partire dai piccoli gesti, dall’esempio, da una cultura della legalità che sia fermamente manifestata.
Nel video dici che le istituzioni non stanno facendo nulla contro il degrado e contro il delitto che giorno dopo giorno viene perpetrato ai danni dei cittadini e della città, e che non avresti consegnato quanto stavi riprendendo e documentando alla magistratura. Perché?
Se siamo arrivati al punto in cui i nostri alimenti sono contaminati, il bestiame è contaminato e viene distrutto, se viene vietato il pascolo agli animali entro un raggio di 20 km dalla zona industriale, vuol dire che le istituzioni sino ad oggi non hanno fatto il loro lavoro in maniera efficace e costante. E anche aggiungo fino ad oggi la magistratura non ha mai fatto un blitz all’interno dell’Ilva all’improvviso. È un fatto gravissimo. Questo porta a non avere fiducia nelle istituzioni. I controlli non sono stati fatti in maniera adeguata.
Solo oggi è iniziata la compilazione del registro dei tumori che stranamente mancava in una città come Taranto. Hanno iniziato dall’anno 2006 (e non dagli anni precedenti) e per arrivare ai giorni nostri passeranno altri anni. I dati non saranno diffusi in tempi brevi. E saremo sempre in ritardo.
L’Ilva dà lavoro a tanti operai. Se dovesse chiudere, cosa accadrebbe?
Quando parli di riconversione a cosa pensi?
La salute viene prima di tutto. Come è successo a Bagnoli, nessuno è rimasto in vacanza, nessuno sta a spasso. Sono posti che vengono riconvertiti. A Genova, ho parlato con il segretario Fiom, dopo la chiusura gli operai sono stati reclutati e riconvertiti in altri settori. A Taranto sarebbero reimpiegati anche nel ripristino di quelle aree degradate e nella bonifica dell’area industriale. Invito a visitare con googlemaps l’area industriale: si vedrà in quella zona di Taranto una macchia scura, di un marrone intenso, come se fosse un cancro all’interno del territorio. C’è da lavorare, per tutti.
Angelo Romano
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