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Russia-Ucraina: cosa sta succedendo sul fronte diplomatico

19 Giugno 2024 8 min lettura

Russia-Ucraina: cosa sta succedendo sul fronte diplomatico

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Durante il summit della pace tenutosi lo scorso 15 e 16 giugno nella piccola cittadina di Bürgenstock, sul lago di Lucerna, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha cercato di consolidare il sostegno internazionale, al fine di esplorare possibili vie di pace a medio termine. La dichiarazione del vertice, firmata da 80 paesi (scesi a 77 dopo il ritiro di Iraq e Giordania, e poi anche del Ruanda) ha riaffermato la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina, un obiettivo chiave per la delegazione del paese, legandoli ai principi riconosciuti dal diritto internazionale e dalla Carta delle Nazioni Unite.

Tuttavia, la conferenza ha ottenuto pochi risultati sostanziali: ha rafforzato il cerchio di alleati occidentali dell’Ucraina, ma ha ancora di più alienato il sostegno dei paesi del Sud Globale, che hanno in larga parte snobbato l’evento: presenti solamente 93 delegazioni di singoli Stati sulle 160 invitate.

In particolare ha sorpreso l’assenza in blocco dei paesi dell’Asia centrale, vicini economicamente a Mosca (soprattutto per aggirare le sanzioni occidentali) benché rimasti in una posizione di equilibro rispetto a Kyiv e invitati pubblicamente da Zelensky a fine maggio. Allo stesso modo non era presente l’Azerbaijan, sempre vicino a Mosca, ma lo era l’Armenia: che però non ha votato a favore della risoluzione. Fra i paesi dell’ex spazio sovietico, con l’eccezione dei baltici solamente Moldova e Georgia hanno sostenuto Kyiv.

B(R)ICS e paesi del Golfo indispettiti dall’assenza di Mosca

In una recente visita a Singapore, fra i quindici paesi presenti non firmatari della dichiarazione finale, Zelensky aveva criticato la Cina duramente – forse la dichiarazione più incisiva nei confronti di Pechino dall’invasione del febbraio 2022 – per il suo spalleggiamento diplomatico (nella regione dell’Asia centrale, del Caucaso e non solo) nell’obiettivo di Mosca di sabotare il summit.

Dei cosiddetti BRICS, oltre all’assenza di Pechino e Mosca – quest’ultima motivata, dallo stesso governo svizzero, per il comportamento del Cremlino che ha “in più di un’occasione fatto capire di non avere interesse a partecipare” – solamente Sudafrica e India erano presenti con delegazioni ministeriali, mentre il Brasile era presente nel ruolo di osservatore, proprio come il Vaticano. E proprio come la Santa Sede, questi paesi non hanno sostenuto la risoluzione ucraina, come da pronostico.

Il ministro degli esteri dell’Arabia Saudita Faisal bin Farhan Al Saud ha rincarato la dose, dichiarando a Bloomberg, a margine degli incontri, come “Kyiv dovrà prepararsi a un difficile compromesso per terminare il conflitto”.

Il summit elvetico era stata organizzato dal governo federale svizzero su richiesta di quello ucraino, durante la visita di Zelensky nel paese lo scorso gennaio, sulla base di una proposta di pace in dieci punti formulata dalla diplomazia ucraina e internazionale durante il G20 di Bali, nel novembre 2022.

Da una parte la Svizzera ha cercato di mettere sul piatto la propria reputazione internazionale di paese neutrale, dall’altra ha tenuto a precisare nella nota finale come il summit “non sia da intendersi come un forum negoziale, ma come una conferenza di alto livello che serve a creare una base comune per i futuri negoziati. [...] Il raggiungimento di una soluzione duratura richiederà in ultima analisi il coinvolgimento di entrambe le parti".

La presidente svizzera Viola Amherd ha riconosciuto che "un processo di pace senza la Russia è impensabile". Ha aggiunto che la conferenza si occuperà anche di "come e a quali condizioni la Russia può essere coinvolta in questo processo".

Un’allusione, più che al Cremlino, ai paesi BRICS e del Golfo: Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, India, Sud Africa, Brasile e Messico avevano prima rifiutato di inviare, come le controparti occidentali (e alcuni Stati alleati), i proprio capi di governo al summit; per poi, come detto, astenersi dal sostegno alla dichiarazione finale, insistendo sulla necessità di coinvolgere la Russia nel processo decisionale.

Le condizioni di Putin e la loro percezione nel Sud globale

In parallelo al summit svizzero, definito dai russi come “futile”, durante un evento pubblico il presidente russo Vladimir Putin ha posto le sue condizioni per un cessate il fuoco, tra cui il riconoscimento dell'annessione della Crimea da parte dell'Ucraina, l'annessione delle pseudo-indipendenti repubbliche di Donec’k e Luhans’k, e il ritiro delle truppe ucraine anche dalle oblast' di Kherson e Zaporižžja (di cui Mosca però non controlla e non hai mai controllato i capoluoghi). Putin ha inoltre chiesto la revoca delle sanzioni occidentali imposte alla Russia e la rinuncia dell’adesione alla NATO da parte di Kyiv.

Tutte queste richieste sono ovviamente considerate inaccettabili dall'Ucraina, che percepisce un’eventuale accordo su queste basi come l'ennesima pausa tattica di Putin - o di chi gli succederà sul trono russo - prima di un nuovo attacco.

Le proposte di Mosca e quelle del piano in dieci punti ucraino sono semplicemente inconciliabili, considerando inoltre come la Federazione Russa abbia iscritto nella proprio Costituzione l'annessione definitiva delle quattro oblast' e il portavoce presidenziale Dmitry Peskov abbia ribadito come il Cremlino non riconosca la legittimità del presidente Zelensky, quando chiamato a confermare la disponibilità di Mosca a trattare

Si potrebbe essere tentati nel pensare come la conferenza svizzera abbia significato un fallimento diplomatico per l’Ucraina, e la rottura definitiva dell’isolamento da parte di Mosca. Ciò sembra lontano dalla verità: il mancato sostegno a Kyiv in tutti i continenti non corrisponde a una crescita dell’aperto sostegno a Mosca nelle stesse aree. Le singole potenze regionali perseguono piuttosto i propri interessi nazionali, spesso in ottica antioccidentale, sfruttando la retorica russa sull’Ucraina e sull’ordine internazionale come testa di ponte su altri fronti.

Pensando al Sudafrica, ad esempio, è evidente come la diffidenza per un impegno concreto basato sull’ordine internazionale sia influenzato dalla percezione di “doppio standard” dell’Occidente su Gaza e Ucraina, e il tramonto del suo “ordine morale”. Proprio i sudafricani hanno elencato tra le motivazioni del non sostegno alla risoluzione “la presenza di Israele” al summit.

Del mancato rinvigorimento della diplomazia russa, è una prova la visita più recente di Putin, lo scorso 17 giugno: il presidente russo ha compiuto la sua prima visita ufficiale in Corea del Nord. A riprova di come gli alleati più stretti del Cremlino rimangano Pyongyang e Teheran, anche per le loro capacità di produzione militare, piuttosto che Brasilia e Nuova Delhi.

Il ruolo della Cina (e del Brasile) nella pace

Pechino ha spesso chiesto una risoluzione pacifica del conflitto ucraino, ma la sua posizione è a ragione percepita come ambigua. La Cina sottolinea l'importanza di rispettare la sovranità nazionale ucraina e l’integrità territoriale in base ai confini del 1991, pur riconoscendo le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza. Una scelta non definitivamente intrapresa da Xi Jinping, sebbene negli ultimi mesi la bilancia sembri pendere sempre più verso Mosca.

Lo scorso maggio Cina e Brasile hanno proposto un piano di pace – in auto-proclamata rappresentanza del Sud globale – che prevederebbe una conferenza di pace internazionale da svolgere in un territorio neutrale, cioè fuori dal continente europeo. Nella presentazione delle diplomazie di Pechino e Brasilia, la proposta mirerebbe a bilanciare gli interessi sia dell'Ucraina che della Russia, suggerendo un terreno più neutrale per i negoziati. Tuttavia, i sei punti del piano, che vanno dal nucleare alla globalizzazione economica sino all’assistenza umanitaria, sono fin troppo vaghi per riuscire a dare un giudizio di valore su una loro concreta applicabilità, e persino accettabilità, fra le parti.

Secondo Pechino sarebbero però 45 i paesi ad aver “giudicato positivamente” il piano, sebbene non sia nota la lista completa di essi. Dopo il summit svizzero, la portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying ha più che raddoppiato questo numero, proclamando di rappresentare "il punto di vista della maggioranza globale su come porre fine alla crisi".

L'iniziativa dei due paesi ha probabilmente lo scopo di ribadire il ruolo delle potenze emergenti nella diplomazia globale e il loro potenziale di influenzare i processi di risoluzione dei conflitti lontani dalle loro aree di competenza. Una priorità operativa della politica estera cinese.

Tuttavia, il piano è stato accolto con scetticismo dagli alleati occidentali e dall’Ucraina stessa, che hanno messo in dubbio l'imparzialità della Cina a causa della sua sempre più evidente partnership strategica con la Russia. Secondo alcuni analisti, favorire la pace in Ucraina sarebbe persino contrario agli interessi cinesi, mentre la cosiddetta ‘imitazione diplomatica’ consentirebbe a Pechino e Mosca di puntare il dito verso Kyiv, Washington e Bruxelles come obiettori della pace.

Trattative passate e futuro: un fallimento scritto in partenza?

Il summit svizzero (e ciò che è girato attorno ad esso) è stato il primo impegno diplomatico significativo dopo gli intensi colloqui di Istanbul ad inizio invasione, spesso richiamati nelle ultime settimane nel discorso pubblico in seguito agli approfondimenti di Foreign Affairs, Die Welte e New York Times su quella che viene descritta come una pace possibile sfumata per una serie di punti critici. Contrariamente alla disinformazione diffusa nelle scorse settimane, il negoziato è saltato per alcune clausole aggiunte dalla delegazione russa piuttosto che per una mancanza di volontà politica dell’Ucraina di raggiungere un accordo.

I colloqui del marzo e aprile 2022, seguiti a quelli tenutisi in Bielorussia durante le prime due settimane in seguito al 24 febbraio, hanno in effetti rappresentato lo sforzo diplomatico più intenso per porre fine all’invasione russa: dopo di essi la dimensione militare ha definitivamente prevalso nella logica del conflitto. Fra le diverse speculazioni in merito a documenti in parte ancora riservati, i colloqui di Istanbul sono falliti a causa di differenze inconciliabili sulle questioni territoriali e sulle garanzie di sicurezza – secondo altri analisti, tra cui Samuel Charap e Sergey Radchenko, le distanze fra Kyiv e Mosca non erano tuttavia incolmabili, in quel momento (sebbene negli stessi giorni si attraversasse l’onda emotiva del massacro di Bucha).

Oltre due anni dopo, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba e il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov hanno entrambi riconosciuto che gli sforzi di pace richiedono un impegno con l'altra parte, nominandola quasi controvoglia, proprio perché le differenze si sono fatte ancor più profonde rispetto ad inizio invasione. Tanto da prefigurare come grottesco qualsiasi inizio di negoziazione, in particolare dopo il target alto fissato da Putin, che equivale a una resa ucraina da territori che tutt’oggi controlla politicamente.

Tuttavia, il riconoscimento reciproco, anche se minimo, è un passo in avanti concreto, mentre la situazione militare – in attesa di capire negli effetti degli aiuti americani a Kyiv – si è evoluta parzialmente in favore di Mosca.

Ciò significa che un inizio delle trattative è alle porte? Probabilmente no, o almeno non prima del risultato delle elezioni americane. La scelta fra Biden e Trump sarà decisiva per capire qualità e quantità dell’impegno statunitense, al di là del recente accordo di sicurezza siglato fra Kyiv e Washington durante il G7.

Nel frattempo, Putin dichiarando come obiettivo di future trattative le quattro oblast’ (non nominando, curiosamente, quella di Kharkiv, ancora sotto attacco russo), pone anche come obiettivo militare la conquista di questi territori sul medio termine, con nuove offensive attese durante l’estate.

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Dall’altra parte, Zelensky e il governo ucraino sono probabilmente consapevoli come l’integrità territoriale e il rispetto del diritto internazionale siano argomenti con poca presa fra i governi del Sud del mondo. Il summit svizzero ha effettivamente costruito un consenso occidentale-centrico (sebbene stringendo il cerchio attorno a pedine impazzite di esso, con Ungheria, Slovacchia e Turchia che hanno tutte firmato la dichiarazione ucraina) fra gli alleati più stretti.

Come Zelensky aveva però dichiarato alla vigilia della conferenza, “siamo aperti a idee. Ma ciò che è più importante per noi è non cedere iniziativa diplomatica alla Russia”. I prossimi mesi diranno se questi passi daranno dei frutti concreti per la risoluzione del conflitto a lungo termine.

Immagine in anteprima via European Council

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