La politica strumentalizza lo stupro. Di nuovo
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Di quello che è successo pochi giorni fa a Catania, nei giardini della centralissima Villa Bellini, c’è poco da dire in termini di fredda cronaca: una tredicenne e il suo “fidanzato” (mettiamo la parola fra virgolette, per i motivi che vedremo fra poco) sono stati aggrediti da una gang di adolescenti, per lo più minorenni, che li hanno isolati e hanno stuprato lei davanti a lui. È una storia agghiacciante da tutti i punti di vista, una violenza che lascia atterriti, e lo sarebbe anche se la vittima principale non fosse, a tutti gli effetti, una bambina.
A tredici anni questo sei: una bambina. L’idea che tredici anni siano un’età radicalmente diversa dai dodici, l’ingresso simbolico nell’adolescenza, è un effetto della colonizzazione culturale da parte degli angloamericani, che segnano il passaggio a partire dal suffisso “-teen” che contraddistingue i numeri dal tredici al diciannove. Per la legge italiana, invece, a tredici anni si è bambini. Non imputabili per i reati commessi, non in grado di dare il consenso a rapporti sessuali. A tredici anni non si può guidare il motorino, non si può svolgere alcun tipo di lavoro, e anche la querela per un’offesa ai propri danni deve essere sporta dai genitori. A titolo personale direi anche che mi sembra presto per definire un diciassettenne “fidanzato” di una tredicenne, ma qui siamo nel campo della carenza semantica: come lo chiami, il primo amore o flirt o interesse romantico di una bambina? C’è una parola che non indichi un coinvolgimento inappropriato per l’età e non sia allo stesso tempo canzonatoria?
Una tredicenne è una bambina, ed è per questo che le strumentalizzazioni politiche della violenza a suo danno sono particolarmente odiose. Da quando la notizia è arrivata in cronaca, insieme alla nazionalità dei presunti stupratori (già riconosciuti e identificati dalla vittima stessa), le strumentalizzazioni politiche non si sono fatte attendere: i ragazzi accusati di stupro sono adolescenti di nazionalità egiziana ospitati presso un centro d’accoglienza dopo essere arrivati in Italia con mezzi di fortuna. Un boccone ghiottissimo per i razzisti nostrani e per chi si oppone alle politiche di accoglienza e integrazione (peraltro inesistenti: è parte del problema) dei migranti, ma anche per il Ministro delle Infrastrutture, che ha risfoderato un suo cavallo di battaglia: la “castrazione chimica” per gli stupratori, che non risolverebbe niente ma risponde al desiderio di vendetta (e di auto-assoluzione) di una società che rifiuta qualunque intervento di prevenzione degli atti violenti, dato che considera la violenza inevitabile.
Fino qua, niente di nuovo. Come non è nuova, nella scelta lessicale e negli intenti, la dichiarazione del sindaco di Catania, Enrico Trantino, secondo il quale: “È stata una violenza commessa nei confronti dell'intera città. Tutti ci siamo sentiti violentati per quello che hanno fatto a questa ragazza”.
Fermiamoci qui, per un momento, perché è un dettaglio importante. Uno stupro è una violenza contro la persona, come stabilito dalla riforma della legge attuata nel 1996, che ha sottratto la violenza sessuale all’ambito delle offese alla pubblica morale. Sembra un dettaglio, ma non lo è affatto. Nel 1988, la vicenda dello stupro di gruppo ai danni di Pina Siracusa, ventunenne di Mazzarino, si concluse con una pena lieve per i suoi aggressori (solo cinque anni), poi ridotta in appello. C’è una differenza enorme, sia simbolica sia pratica, nel trattare lo stupro come un reato contro la persona e nel mettere al centro dell’azione penale chi quell’offesa l’ha subita sul suo corpo, piuttosto che la collettività: prima del 1996, i corpi delle donne erano per legge un territorio da difendere, e la loro violazione punita alla stregua di un’invasione, di un danno alla proprietà.
La dinamica dell’episodio di Catania mostra, in filigrana, il concretizzarsi di questa percezione della donna: l’aggressione è avvenuta in presenza del ragazzo, che è stato trattenuto e costretto a guardare. Lei, che è una cosa, un oggetto, viene violata davanti a lui, che di quell’oggetto è il proprietario simbolico, in un atto di sopraffazione che serve a dimostrare la dominanza su entrambi. È fin troppo facile, per i Salvini di questo mondo, ignorare la maschilità distorta che questo atto ci racconta, e derubricare tutto a una supposta inferiorità culturale dello straniero. I ragazzi coinvolti nell’aggressione sono affidati alle cure della comunità, che avrebbe avuto il compito di educarli al rispetto: un compito a cui si è venuti meno, e un’educazione che è stata scavalcata da una diseducazione molto più forte, che è la matrice alla base di tutte le violenze sessuali, a prescindere da chi le compie e dalle circostanze in cui sono compiute.
Lo stupro subito da questa bambina – è una bambina: lo ripetiamo, è importante, è una bambina – non è una violenza ai danni della comunità, è una violenza a lei. La distinzione non è irrilevante, anche alla luce di quanto aggiunto da Trantino: “Vorrei che la donna fosse ricordata come principio di vita altrui e protagonista della società e non come oggetto di desiderio o vittima di manifestazioni di violenza.” La donna, essere astratto, di cui si ricorda la funzione sociale (“principio di vita”) e si stabilisce la collocazione, sempre in astratto e dall’alto del proprio potere di definizione dell’altro da sé, conferito ai maschi in automatico alla nascita in quanto esseri umani di default. Infine, la risposta securitaria: assegnare più poliziotti, sorvegliare i luoghi pubblici, militarizzare.
Le dichiarazioni di Trantino vanno prese per quello che sono, ovviamente: l’articolazione inadeguata di un senso di orrore che non riesce a tradursi in prevenzione, e anche in un tentativo di difendersi dall’attacco che gli arriva da destra, dall’ex assessore alla Sicurezza Urbana e membro della segreteria politica nazionale della Lega, Fabio Cantarella, che oltre a Trantino, accusa anche il ministro Matteo Piantedosi di inadeguatezza nella gestione dei flussi migratori. Cantarella, come Salvini, come tutti i politici che stanno intervenendo su questo caso, sta strumentalizzando la violenza su una bambina a scopo di propaganda politica in vista delle europee. Lo fanno ogni volta che torna comodo, l’hanno fatto nel caso di Caivano, e prima ancora con la morte di Pamela Mastropietro, con tutti i casi in cui le vittime erano ragazze o donne italiane aggredite da stranieri. L’implicazione è evidente: gli stranieri vengono qui a stuprare e uccidere “le nostre donne”.
La violenza sessuale, per i politici di destra, esiste come certezza assoluta prima ancora della verifica dei fatti solo quando può essere utilizzata per fomentare l’odio contro un capro espiatorio. La morte di Saman Abbas, molto prima che ne venisse trovato il corpo, è stata catalizzatore per l’islamofobia e l’odio per le femministe (colpevoli di una supposta complicità con gli assassini). Il femminicidio di Giulia Cecchettin, invece, è stato trattato come un caso isolato, niente che avesse a che fare con la cultura: in compenso, non sono mancati gli attacchi alla sorella Elena, in primis, e al padre Gino, in secundis, per la chiarezza con cui hanno indicato le radici di quella violenza e richiamato tutti a un’assunzione di responsabilità. A proposito: chissà che fine faranno i quindici milioni stanziati dal ministro dell’Istruzione Valditara per quel progetto di educazione affettiva che aveva proposto quando il caso Cecchettin era al centro dell’attenzione. Chissà se staranno fermi lì per un po’ e poi fatti confluire altrove, o se verranno tenuti da parte per essere sbandierati a ogni nuovo caso su cui ci si sentirà di doversi posizionare.
A Catania hanno stuprato una bambina. La politica dovrebbe occuparsi di assicurarle sostegno e protezione e di lavorare perché nessuna bambina o donna debba mai più temere per la sua incolumità, in nessuna circostanza. Quello che le sta dicendo, invece, è che lei non conta niente, che non ha valore, e che la violenza che ha subito è rilevante solo se può essere utilizzato per un tornaconto personale. Non è un messaggio nuovo, ma forse dovremmo smettere di considerarlo normale.
Immagine in anteprima: frame video RaiNews via YouTube