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Il caso Striano e le accuse ai giornalisti di Domani

1 Ottobre 2024 9 min lettura

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Il caso Striano e le accuse ai giornalisti di Domani

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A inizio marzo, sui giornali italiani compare la notizia di un clamoroso caso di accesso a informazioni riservate riguardanti centinaia di persone tra politici e personaggi noti. Si parla di gravi falle nel sistema della sicurezza informatica, di un possibile mercato parallelo di dati riservati e della pubblicazione di notizie su un presunto conflitto di interessi dell’attuale ministro della Difesa Guido Crosetto da parte di alcuni giornalisti del giornale Domani.

Tutto nasce da un’inchiesta della procura di Perugia che ha indagato 16 persone. I due principali accusati sono un tenente della Guardia di Finanza, Pasquale Striano, e il magistrato Antonio Laudati, per anni alla direzione nazionale antimafia. Nei loro confronti si ipotizzano i reati di accesso abusivo a sistemi informatici, abuso d’ufficio e falso. Per altri fatti Striano risponde di accesso abusivo e violazione di segreto in concorso con altri indagati, tra i quali alcuni suoi colleghi o conoscenti. Le indagini sono ancora in corso, quindi, molti elementi restano da chiarire. Tra gli indagati, per ulteriori episodi, ci sono quattro giornalisti, tre dei quali del quotidiano Domani – a cui Striano avrebbe passato le informazioni riservate – accusati di concorso in accesso abusivo ai sistemi informatici.

A inizio settembre il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, ha presentato una nuova richiesta di arresti domiciliari nei confronti di Laudati e Striano. Il GIP di Perugia aveva riconosciuto la gravità dei fatti contestati, ritenendo tuttavia che non sussistessero le condizioni per concedere i domiciliari. Cantone ha perciò deciso di appellarsi al Tribunale del riesame. Durante l’udienza, che si è tenuta il 24 settembre, la procura di Perugia ha presentato nuovi atti per sostenere la necessità del provvedimento di custodia cautelare, mentre le difese hanno contestato l’utilizzabilità del nuovo materiale. La prossima udienza è prevista per il 12 novembre.

Le accuse contro Laudati e Striano

Al centro delle accuse contro Antonio Laudati e Pasquale Striano ci sarebbero accessi non autorizzati effettuati alle banche dati della Direzione Nazionale Antimafia per scopi non legati al loro incarico: inizialmente si è indagato su circa 800 accessi tra il 2021 e il 2022. In particolare, l’accusa ipotizza che Striano, all’epoca responsabile del gruppo Sos (Segnalazioni di operazione sospette) abbia interrogato le banche dati per ottenere informazioni personali e finanziarie su figure di spicco, mentre Laudati avrebbe avuto un ruolo di coordinamento. Tra i nomi consultati figurano ministri del governo, come Guido Crosetto, e Francesco Lollobrigida, politici come Giuseppe Conte e Matteo Renzi, ma anche celebrità del mondo dello sport e dello spettacolo. 

Striano avrebbe potuto consultare quei file in relazione a indagini per riciclaggio in relazione a organizzazioni mafiose o terroristiche. Non si spiega tuttavia il perché di ricerche di determinate persone che niente hanno a che fare con queste ipotesi di reato. Nel corso dell’inchiesta i numeri di accessi e documenti scaricati al vaglio della procura sono aumentati. Se inizialmente le indagini avevano messo nel mirino oltre 30 mila documenti scaricati da Striano tra il 2021 e il 2022, nell’informativa della Guardia di Finanzia presentata all'udienza di martedì sono menzionati circa 200mila documenti scaricati a partire dal 2019.

Come è nata l’inchiesta

L’inchiesta è partita da un esposto di Crosetto alla procura di Roma, dopo alcuni articoli pubblicati dal quotidiano Domani sui compensi ricevuti per le consulenze svolte in passato da Crosetto per la società Leonardo. Nel mirino sono finiti due articoli, firmati da Giovanni Tizian ed Emiliano Fittipaldi, pubblicati il 27 e il 28 ottobre 2022. Mentre a luglio dello stesso anno era uscito un articolo dal titolo Guido Crosetto ministro alla Difesa: ecco gli affari del fedelissimo di Giorgia Meloni, sui possibili conflitti di interesse del neo-ministro.

A quegli articoli, Crosetto ha risposto presentando un esposto per chiedere alla procura di indagare sull’accesso ai dati. Attraverso la denuncia il ministro della Difesa chiedeva di verificare chi e come fosse stato in grado di raccogliere quelle informazioni non a conoscenza di chiunque. 

Inizialmente l’indagine è condotta dalla procura di Roma, dove Crosetto ha presentato l'esposto e dove sarebbero avvenuti i reati oggetto di indagine. Indagando, la procura di Roma è riuscita a risalire alla fonte dei giornalisti di Domani e agli strumenti utilizzati per accedere alle informazioni. Ecco quindi saltare fuori il nome di Pasquale Striano.

Come ricostruito lo scorso marzo sul Corriere da Giovanni Bianconi:

Il 21 novembre la pm titolare del fascicolo, Antonia Giammaria, chiede al sostituto procuratore della Dna Antonio Laudati, responsabile del Gruppo Sos, informazioni sul ruolo di Striano, e nel giro di un mese — dopo altre acquisizioni sui telefoni dell’ufficiale — gli accertamenti sono terminati. L’inchiesta ha risposto alla richiesta del ministro di trovare i responsabili della «fuga di notizie» che lo riguardava, e la pm Giammaria propone al procuratore aggiunto con delega ai reati informatici di notificare a Striano l’avviso di conclusione delle indagini, che anticipa la richiesta di rinvio a giudizio. L’aggiunto però suggerisce di convocare prima l’indagato, per acquisire la sua versione dei fatti.

“È il momento della svolta” spiega Bianconi. Striano è convocato per il primo marzo, dopo una notifica ricevuta pochi giorni prima, e dopo che già a gennaio aveva ricevuto notizia dell’inchiesta a suo carico. Ai PM spiega che quelle ricerche su Crosetto facevano parte in realtà di interrogazioni ad “ampio raggio” che alla DNA sono una prassi. A riprova fornisce una sorta di “diario” con l’elenco degli accessi. Il caso quindi si allarga ad includere Laudati e passa alla procura di Perugia. Laudati nega la versione di Striano, mentre nel frattempo le analisi condotte sugli strumenti sequestrati al finanziere confermano gli innumerevoli accessi ora al centro dell’inchiesta. 

Le motivazioni per la richiesta di custodia cautelare

Il GIP di Perugia ha rigettato la richiesta di arresto, argomentando che non sussistano sufficienti rischi di fuga, reiterazione del reato o inquinamento delle prove, dati i ruoli attuali dei due imputati. Tuttavia, il procuratore di Perugia Raffaele Cantone ritiene che questa valutazione non tenga adeguatamente conto della gravità delle azioni contestate e della loro potenziale pericolosità. La decisione del GIP, infatti, si basa sul presupposto che, una volta che gli indagati siano venuti a conoscenza degli atti processuali e delle accuse a loro carico, non ci sia più rischio di inquinamento delle prove.

Secondo Cantone, fino al momento della richiesta di arresto, non vi era stata alcuna "discovery" degli atti e che gli indagati non erano stati informati degli esiti delle indagini. Questo contraddice l'assunto del GIP secondo cui gli indagati avrebbero avuto accesso parziale o totale agli atti processuali. Inoltre, il procuratore ha espresso preoccupazioni riguardo alla possibilità che Striano, tramite contatti e relazioni articolate che ha dimostrato di avere, possa continuare a commettere reati analoghi anche indirettamente, con l'aiuto di terzi.

Cantone ha evidenziato come, nell'ambito dell'inchiesta, siano stati rilevati elementi di rischio legati all'eventuale cancellazione di chat e messaggi da parte di Striano, elemento che potrebbe ostacolare la completa ricostruzione delle dinamiche e dei contatti avuti dal tenente. A questo proposito, la Procura di Perugia ha già delegato specifici accertamenti tecnici per il recupero di eventuali chat cancellate, ritenendo che tali dati potrebbero rivelarsi fondamentali per l'indagine.

Possibili collegamenti con i servizi e il Vaticano

Uno degli elementi dell’inchiesta è il potenziale coinvolgimento di strutture esterne e di altri personaggi, filone che vede indagato anche un funzionario dei Servizi segreti, “una persona vicina al luogotenente Pasquale Striano”, come riporta l’ANSA. Fonti del governo hanno riportato all’ANSA che l’uomo non ha incarichi operativi dell'AISE (l'Agenzia per la sicurezza esterna).

Nella richiesta di arresto firmata da Cantone, si ipotizza, inoltre, che Striano avesse contatti con un uomo (non indagato) che percepisce redditi dal Comando generale dei Carabinieri e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo contatto avrebbe chiesto informazioni riservate su un monsignore della Santa Sede, suggerendo un utilizzo delle informazioni ottenute al di fuori dei canali istituzionali e ufficiali.

Sui “collegamenti di Striano con il Vaticano”, scrive Sulla Stampa Giuseppe Legato:

I nomi: Cecilia Marogna, Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi e Fabrizio Tirabassi. Finanzieri, broker, funzionari amministrativi del Vaticano ed ex fonti dei Servizi segreti, tutti recentemente condannati, sui quali il principale indagato di Perugia avrebbe interrogato il terminale per conoscere dati anagrafici, redditi e catasto. Tutti personaggi coinvolti nell’inchiesta sul cardinale Becciu. Striano li ha effettuati a partire da luglio 2019 quando cioè non vi era discovery sull’attività investigativa del Promotore della giustizia della Santa Sede. Sono dunque «di gran lunga antecedenti al primo atto di indagine» della giustizia inquirente pontificia ovvero alle prime perquisizioni datate 1 ottobre 2019, si legge agli atti. 

Indagati anche i giornalisti di Domani

Tra gli indagati figurano anche quattro giornalisti, tre dei quali del quotidiano Domani: questi ultimi sono Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine. Sono accusati di concorso in accesso abusivo ai sistemi informatici, in qualità di istigatori delle interrogazioni relative alle SOS e altri dati contenuti negli archivi a cui il finanziere poteva attingere. Secondo Domani, la Procura ha basato questa accusa su un incastro di date, quelle in cui Striano ha cercato il nome di Crosetto nella banca dati, e quelle degli articoli. L’ipotesi dei PM è che da accessi non autorizzati provenisse materiale poi usato dai giornalisti. Domani ha però smentito che le informazioni su Crosetto citate negli articoli provenissero da una segnalazione di operazione sospetta dell’antiriciclaggio.

Un’altra contestazione a Striano riguarda l’invito di 300 documenti presenti nel sistema informativo della DNA a Tizian, di undici file a Trocchia e di cinque a Vergine. Tuttavia, fanno presente i giornalisti, “negli atti di indagine però non c’è nessun riferimento al contenuto di questi documenti o il collegamento con le inchieste pubblicate” negli anni da Tizian, che tra il 2019 e il 2022 ha lavorato per l’Espresso e in seguito per Domani. Per quanto riguarda Trocchia e Vergine, invece, si tratterebbe di documenti relativi a inchieste e atti della magistratura, quindi accessibili anche agli avvocati delle difese.

Le accuse di “dossieraggio” e il rapporto tra giornalismo e fonti

Sui media a proposito del caso si è parlato di “dossieraggio” o di “spioni”. Questa accusa è stata mossa da giornalisti, da alcuni politici di maggioranza e velatamente anche dal Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo che, insieme a Raffaele Cantone, ha voluto essere ascoltato in commissione Antimafia. Milello ha per esempio citato la propria esperienza “anche come vittima di autentici dossieraggi abusivi”, in riferimento alle condotte di Striano:

"Mi paiono difficilmente compatibili con la logica della deviazione individuale. Credo ci siano molti elementi che confliggano con l'idea di un'azione concepita e organizzata da un singolo ufficiale ipoteticamente infedele. Uno dei punti centrali della Procura di Perugia sarà comprendere la figura e il sistema di relazioni di Striano”.

Tuttavia, parlare di dossieraggio è al momento fuorviante. In genere si parla di “dossieraggio” in riferimento a una raccolta di informazioni riservate fatta su commissione e a fini ricattatori, ma finora la Procura di Perugia non ha spiegato quali siano le motivazioni che hanno spinto Striano a effettuare un numero abnorme di accessi al sistema informatico (numeri “mostruosi” secondo Cantone). Inoltre, come ribadito in più occasioni anche dal direttore di Domani Emanuele Fittipaldi, i giornalisti sono indagati sulla base di notizie che sono state pubblicate, e che lo stesso Guido Crosetto (dal cui esposto è partito il caso) non ha ritenuto false o diffamatorie. 

Sugli aspetti deontologici e di diritto concernenti la professione giornalista e il rapporto con le fonti, la Corte dei diritti dell’uomo tutela il diritto di cronaca anche attraverso il ricorso a fonti non ufficiali. Ciò significa quindi che la segretezza delle fonti è un elemento imprescindibile. 

Come evidenziato dalla giurista Vitalba Azzollini, da questo punto di vista l’indagine a carico di Tizian e degli altri giornalisti può creare “un cortocircuito”. Scrive Azzollini:

Perché si configuri il concorso, quindi, serve non solo l’induzione o l’istigazione, ma anche la consapevolezza del giornalista che quelle che sta chiedendo siano informazioni sulle quali c’è un obbligo di segreto. Obbligo che, tuttavia, non grava direttamente sul giornalista, ma sul soggetto cui quest’ultimo si rivolge.

Per tutelarsi dal rischio di possibili accuse, il giornalista sarebbe quindi costretto a verificare che le informazioni cui ha accesso non siano coperte da vincoli di segretezza. Ma in questo caso si tratterebbe di informazioni accessibili a chiunque, o che non richiedono una fonte. 

Un giudice può chiedere a un giornalista di rivelare una fonte in base a sole tre condizioni: l’indispensabilità della rivelazione per provare il reato contestato; l’impossibilità di accertare altrimenti la notizia in possesso del giornalista; la stretta proporzionalità tra il vincolo professionale e la necessità di accertare i fatti.

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Nell’inchiesta di Perugia, rileva Azzollini, ai giornalisti non è stato chiesto di rendere nota la fonte impiegata per gli articoli. Ma proprio qui sta il cortocircuito:

L’imputazione dei giornalisti parte dall’assunto che la loro fonte sia il finanziere e che essi abbiano concorso con lui nella rivelazione indebita di segreto. Qual è la conseguenza di tale imputazione? Per difendersi dall’accusa di aver spinto la fonte a rivelare informazioni coperte da segreto, essi dovrebbero necessariamente rivelare la fonte stessa. Se, invece, ne tutelassero la riservatezza, com’è loro diritto/dovere, dato che non ricorre l’eccezione prevista da c.p.p., essi dovrebbero rinunciare al diritto di difesa, garantito costituzionalmente. 

Immagine in anteprima: frame video TG3 via Facebook

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