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La strage dei migranti in Grecia e le nostre responsabilità

20 Giugno 2023 5 min lettura

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La strage dei migranti in Grecia e le nostre responsabilità

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A pochi giorni di distanza dalla conferenza stampa a porte chiuse che ha visto insieme Ursula Von Leyen, Giorgia Meloni e il presidente della Tunisia Kaïs Saïed, dal Mediterraneo arriva l’ennesima notizia di un terribile naufragio, avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 giugno. al largo di Pylos, in Grecia. 

Sono 78 le vittime finora accertate. Si parla però di centinaia di dispersi che potrebbe far salire a 600 il conteggio delle vittime, secondo le ultime stime. Tra i sopravvissuti alcuni hanno riferito che nella stiva dell’imbarcazione erano presenti “almeno 100 bambini”. Nel complesso erano presenti circa 750 persone, provenienti da Pakistan, Egitto, Siria, Afghanistan e Palestina.

Mentre proseguono le operazioni in mare, si ripete per l’ennesima volta un copione di responsabilità negate o rimpallate, che avevamo visto di recente col naufragio di Cutro, e che stiamo vedendo ora con i continui cambi di versione della autorità greche, le versioni in conflitto. L'agenzia Frontex ha per esempio pubblicato il video che mostra l'avvistamento dell'imbarcazione già 13 ore prima del naufragio. L'organizzazione Alarm Phone, in un duro comunicato, dichiara di aver allertato via mail sia Frontex che la Guardia Costiera greca del naufragio.

Quest’anno, a ottobre, ricorre il decennale della strage di Lampedusa. Proprio da Lampedusa, alla vigilia della Giornata mondiale per i rifugiati, è arrivato il monito di Dunja Mijatović, commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa: "Sono colpito dall'allarmante livello di tolleranza nei confronti delle gravi violazioni dei diritti umani contro i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti che si è sviluppato in Europa." Per onorare queste ricorrenze, per amore di verità e per rispetto della dignità umana, è opportuno ribadire un principio per noi centrale.

Si tende a parlare in termini di “tragedie” di fronte a simili eventi, ma si tratta di vere e proprie stragi. Come tali vanno considerate e raccontate. Sono il prodotto di catene di decisioni, chiamano in causa precise responsabilità, precise visioni dei fenomeni migratori e specifiche politiche adottate per affrontarli. Era Il 9 marzo 2020 quando Ursula Von der Leyen lodò la Grecia “scudo dell’Europa”, recandosi personalmente sul posto mentre il paese era impegnato in una crisi migratoria al confine con la Turchia, con i poliziotti in tenuta antisommossa che sparavano lacrimogeni sui profughi. È di ciò che viene bloccato, nascosto o schiacciato da quello scudo che bisogna chiedere conto, invece di alimentare le criminalizzazioni di comodo degli "scafisti malvagi".

Una tragedia evoca emozioni potenti, forze oscure e irrazionali, smuove gli animi. Ma le emozioni sono mutevoli: scemano, oppure è possibile nasconderle sotto l’indifferenza, o il cinismo. Le responsabilità, invece, permangono immutate, e di quelle le istituzioni devono rispondere, nel momento in cui la vita umana, nel Mediterraneo e nei paesi per cui transitano le rotte migratorie, diventa sempre più un valore negoziabile. E le forze in atto sono tutto fuorché oscure e irrazionali, seguono anzi logiche ben precise, implementate col grigiore dei burocrati. L'Unione Europea che ora piange i morti recuperati dal mare, è la stessa che ha destinato alla Grecia 800 milioni di euro per la gestione dei confini, e solo 600 mila euro (lo 0,7%) alle operazioni di ricerca e soccorso.

Invece di creare rotte sicure, invece di rivedere un’impostazione che tratta la vita umana come qualcosa che insidia “il giardino” Europa, invece di risolvere la questione dei passaporti, la cui inaccessibilità spinge poi chi parte a indebitarsi e a imbarcarsi su mezzi di fortuna, l’UE intensifica i propri sforzi in una direzione scellerata e disumana. Lo scorso 8 giugno, il Consiglio dei ministri dell’Interno europei si accordava per riformare i regolamenti sulle procedure di frontiera e la gestione dei richiedenti asilo, stravolgendo tra l’altro la definizione di “paese sicuro”. Come sottolineato da Lucrezia Tiberio proprio all’indomani della strage di Pylos, “A fronte di quello che potrebbe essere l’episodio più tragico mai avvenuto nel Mediterraneo, le recentissime decisioni politiche dell’Unione Europea non solo non sembrano comprendere la portata di questo fenomeno, ma addirittura procedono in senso contrario”.

Lo stesso Memorandum in discussione tra Unione Europea e Tunisia, non fa altro che avvalorare la spirale repressiva di un paese di cui lo stesso Parlamento Europeo ha documento arresti arbitrari e violazioni dei diritti umani. In ciò ignorando la società civile di quei paesi scelti volta per come partner, contribuendo a soffocare le aspirazioni democratiche e aprendo la strada a nuove crisi.

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Protetti da “muri” e “scudi”, si dimenticano più facilmente le decisioni che vanno a incidere sulle crisi innescate, creando i rifugiati che sempre più si tratteggiano come “invasori”. In un editoriale dell’Observer a commento del naufragio, si ricorda come per l’Afghanistan (tra i paesi di provenienza dei naufraghi), il Regno Unito e i paesi NATO si siano allineati agli Stati Uniti nell’abbandonare il paese nel 2021. Le Nazioni Unite stimano che più di 28 milioni di persone, pari a due terzi della popolazione del paese, avrà bisogno di assistenza umanitaria urgente. “L'elenco dei paesi d'origine è un indice di sofferenza, di cui l'UE, la Gran Bretagna e i loro alleati hanno una grande responsabilità”, scrive l’Observer

Oltra all’Afghanistan, bisogna infatti ricordare la Siria e l’incapacità dell’Occidente di fermare la guerra del regime siriano, così come la situazione dei palestinesi che vivono nei campi rifugiati del paese.

Ma, giova, ricordare, quest’idea di dover alzare muri, barriere, separazioni, di dover respingere o al più gestire potenziali minacce è sempre più una realtà materiale del nostro continente. Tra i confini dell’UE esistono infatti 19 muri o barriere fisiche sparsi su 12 paesi, eretti in nome della difesa dal terrorismo, o dai flussi migratori. A forza di dimenticare il concetto di cooperazione, di aiuti che rafforzino strutturalmente, invece di creare nuove gerarchie o confermare le esistenti, il virus securitario è ormai insediato in pianta stabile, creando società sempre più divise e conflittuali, dominati dalla paura e da un mondo di nemici contro cui difendersi a ogni costo. 

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