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Social freezing, la possibilità di preservare la fertilità della donna

13 Settembre 2021 10 min lettura

Social freezing, la possibilità di preservare la fertilità della donna

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Qualche anno fa aveva fatto discutere la scelta di colossi statunitensi come Apple e Facebook di offrire gratuitamente alle giovani dipendenti la possibilità di congelare parte dei propri ovuli, in modo che qualora decidessero di avere un figlio più avanti con l’età, e fosse sopraggiunta una qualche difficoltà, sarebbe stato possibile per loro utilizzare gli ovociti di quando erano più giovani.
Da una parte c’è stato chi ha accolto con entusiasmo l’idea, dall’altra in molti hanno obiettato che si tratta di uno specchietto per le allodole per l’emancipazione femminile, che avalla la procrastinazione della maternità spingendo le donne almeno a un momentaneo aut-aut. Il supporto alla maternità deve passare per l’opportunità di avere dei figli mentre si cerca una carriera, iniziando davvero a modellare i modelli lavorativi e le professioni su misura della giovane.

Forse non tutti sanno che anche in Italia la preservazione della fertilità è possibile da pochi anni per tutte le donne che lo desiderano. Si chiama “social freezing” ed è appunto la pratica di mettere da parte un proprio “tesoretto” di ovociti quando la nostra fertilità è ottimale, solitamente dall’adolescenza fino ai 30-35 anni, per poterli utilizzare – eventualmente – successivamente. Una donna sana di 42 anni che “utilizza” i propri ovociti prelevati quando ne aveva 30 avrà statisticamente le stesse probabilità di una gravidanza regolare di quando lei stessa ne aveva 30. Al netto di eventuali patologie concomitanti insorte con l’età che possono rendere più complessa una gravidanza.

Attenzione: non bisogna confondere il social freezing con la preservazione della fertilità in caso di malattie, in particolare quelle oncologiche. Questa opportunità è infatti prassi da molti anni in Italia e viene offerta gratuitamente alle donne in età fertile che devono intraprendere una terapia prima dell’inizio della stessa.

Come cambia la fertilità di una donna dai 30 ai 40 anni

Uno degli impasse della società emancipata di questi primi decenni di XXI secolo per le giovani donne è che il periodo fra i 30 e i 40 anni è il momento in cui solitamente ci si aspetta che una persona strutturi la propria vita adulta, indipendente, con un lavoro che le permetta autonomia, soddisfazione e progettualità. Prima solitamente si studia, si viaggia. Poi, dopo i 40 anni, in molti casi è tardi per “fare carriera”, che può anche solo significare una promozione da capoufficio, un piccolo salto nello stipendio che magari fa la differenza. Il problema è che il periodo dai 30 ai 40 è anche quello decisivo per una donna per capire se vuole e se può diventare madre. O meglio: il periodo è in realtà più breve, se si considerano le statistiche rispetto alla fertilità.

Il nostro sistema riproduttivo infatti non guarda la TV. “Nonostante i modelli di sempiterna giovinezza di cui siamo inondati, la realtà dei fatti è che la fertilità della donna dopo i 35 anni, in media, inizia a calare sensibilmente”, spiega Maria Elisabetta Coccia, direttore della Struttura di procreazione medicalmente assistita dell’Azienda Universitaria di Careggi, a Firenze, che fra le altre cose si occupa da anni anche di preservazione della fertilità. La donna come sappiamo non continua a produrre ovociti, ma sin dalla pubertà ha la propria riserva che perde gradualmente mese dopo mese, a differenza dell’uomo che continua a produrre i propri gameti. Ci sono donne la cui riserva è minore e che quindi vanno in menopausa più precocemente di altre. Anche la durata del ciclo mestruale incide sulla durata del periodo fertile. A parità di riserva ovarica, donne con cicli mestruali brevi, per esempio di 22-23 giorni, perderanno in un anno più ovociti rispetto alle donne con cicli di 35-38 giorni. Come si fa a capire se hai buona riserva ovarica? In due modi: misurando i livelli di Ormone antimulleriano AMH, prodotto dai follicoli, ma anche con una semplice ecografia transvaginale.

“Nella mia decennale esperienza non vedo un prolungamento della fertilità femminile. Dopo i 35 anni quasi tutte le donne mostrano un calo graduale, che non significa che da un giorno all’altro non si riesce a rimanere incinte, ma che è più difficile, soprattutto dopo i 38-40 anni. Sono di più i casi di infertilità e di abortività, per esempio.”

Infertilità e poliabortività: quanto sono diffuse

L’infertilità è un problema molto più comune nella coppia di quanto si pensi, e in un caso su tre di chi si sottopone a inseminazione semplice non sono note le cause. Nel 19% vi è infertilità endocrina-ovulatoria, nel 13% dei casi è presente sia un fattore maschile che femminile, nel 16% dei casi solo un problema maschile, nel 3,8% un fattore tubarico parziale e nel 3% dei casi l’endometriosi.

I dati su questo tema vengono raccolti annualmente nella Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita.

Anche l’aborto spontaneo e la poliabortività sono due problemi molto più diffusi di quanto si pensi e nella metà dei casi non sono note le cause. La restante metà dei casi si compone di un 10-20% di aborti dovuti a fattori immunitari nella mamma o nell’embrione, di un 17% circa di fattori endocrini, di un 10-15% di fattori anatomici. Solo il 2,5% circa degli aborti è dovuto a ragioni genetiche inerenti la coppia.

In entrambi i casi il principale fattore di rischio è l’età della donna. Fra le donne che si sottopongono a fecondazione omologa (cioè senza donazione di gameti da parte di una terza persona), la fecondazione ha successo in un caso su quattro nelle donne con meno di 34 anni, in un caso su cinque fra le 35-39 enni, in un caso su dieci fra le 40-42 enni, e nelle donne con più di 43 anni ci si ferma al 6% di successo in media.

Come funziona il Social Freezing

Il social freezing, si è detto, è la possibilità per qualsiasi donna, anche single, di congelare i propri ovociti, senza dover dare spiegazioni sulle ragioni della scelta o sulla sua situazione sentimentale. Cosa che invece – ricordiamo – non accade in Italia per la fecondazione medicalmente assistita, offerta solamente alle coppie ma vietata alle donne non sposate o comunque che non possono dimostrare una relazione “stabile”.

Social freezing significa “congelamento”, ma sarebbe meglio parlare di “vitrificazione” degli ovociti, una procedura simile a quella del vetro: si preleva una cellula uovo matura, la si pone in una provetta e la si immerge in una sostanza che vitrifica in pochi secondi. Un po’ come avviene con le gocce di ambra che incapsulano per milioni di anni esseri viventi antichissimi. Una volta vitrificata, la cellula viene appunto congelata, inserendola in cannucce immerse a -180 gradi prima in vapori e poi in azoto liquido, dove può stare potenzialmente decenni. Con questa nuova procedura, inventata da Ana Cobo, direttrice dell’Unità di Criobiologia di IVI Valencia, la probabilità di sopravvivenza dell’ovocita è altissima, intorno al 90-95%.

“La procedura è semplice: dal momento che è necessario prelevare un buon numero di ovociti, si stimola farmacologicamente la donna con una terapia ormonale per circa due settimane, e si monitora ecograficamente la crescita dei follicoli. Quando questi sono maturi, si prelevano con una ecografia transvaginale (esattamente quella a cui ci sottoponiamo nei controlli periodici). La differenza è che qui si usa una adattatore con un ago per pungere ed aspirare i follicoli che contengono gli ovociti. Un processo che si svolge in sedoanalgesia (una leggera anestesia) e dura circa 5-7 minuti”, spiega Coccia. Finita la procedura, la donna nei giorni seguenti può riprendere la sua vita normalmente. Il ciclo mestruale riparte dopo circa dieci giorni senza conseguenze.

“Attenzione però – precisa Coccia - non significa che se congelo i miei ovuli allora a 43 anni avrò un figlio con facilità al 100%. Dipende da come sono i nostri ovuli, da quanti riesco a metterne da parte (ne servono almeno 15) e soprattutto dalla mia condizione fisica nel momento in cui intendo avere una gravidanza”. L’ideale sarebbe prelevare gli ovuli prima dei 30 anni o comunque poco dopo, per utilizzarli al massimo fino ai 44-45 anni di età. “Possiamo dire che una donna sana di 43 anni usando i propri ovociti prelevati quando ne aveva 30 avrà statisticamente le stesse probabilità di una gravidanza regolare di quando lei stessa ne aveva 30”.

Preservare la fertilità durante una malattia

Fin qui abbiamo parlato di possibilità per una donna sana di conservare i propri ovociti. Un altro capitolo riguarda la preservazione della fertilità in donne con problemi di salute: alle donne malate di tumore che devono sottoporsi a trattamento chemioterapico o gonadotossico, ma anche donne con malattie croniche come la Sclerosi Multipla e donne con l’endometriosi (una malattia che colpisce il 8-10% delle donne e di cui si sta iniziando a parlare davvero da pochissimi anni).

La procedura standard è la medesima del social freezing, ed è (dovrebbe essere) offerta di prassi a tutte le donne in età fertile, a partire dall’adolescenza, che devono affrontare una malattia invalidante o una terapia farmacologica importante. “Nella maggior parte dei casi oggi le pazienti che giungono alla nostra osservazione sono ragazze molto giovani, che ancora non hanno completato la maturità sull’asse ormonale e che hanno in corso una leucemia o un tumore”, racconta Coccia. “Ci sono storie molto forti, di ragazzine che si trovano da un giorno all’altro dal banco di scuola all’urgenza di dover decidere da una settimana all’altra se precludersi per sempre la possibilità di diventare madri. Alcune di loro non hanno ancora mai avuto rapporti sessuali, né hanno mai pensato alla maternità”.

Chiaramente si tratta di una procedura che non viene eseguita in tutti gli ospedali, ma solo nei centri di procreazione medicalmente assistita. La prima consulenza in un centro che esegue questa procedura dovrebbe essere ormai una prassi, nel senso che l’oncologo stesso dovrebbe indirizzare la donna appena dopo la diagnosi.

Come funziona in Italia? Quanto costa?

Dal punto di vista operativo, i due percorsi – preservazione in donne malate e social freezing in donne sane - sono separati. Nel primo caso, esistono delle reti regionali strutturate, l’offerta è gratuita per la donna e garantita automaticamente nei centri preposti, sebbene questa procedura non sia ancora inserita nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), così come non esiste un codice di rimborso per la PMA. “Nonostante questo negli ultimi anni alcune regioni hanno deliberato, cioè rimborsano alcune procedure di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) ma solo poche la Preservazione della fertilità tra cui: Toscana, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Umbria. In Toscana, per esempio, rientrano nell’offerta gratuita le pazienti oncologiche e oncoematologiche, le donne con endometriosi, con patologie croniche, ma anche – ed è una cosa rara –e le donne con bassa riserva ovarica, mentre le donne sane che richiedono il social freezing non sono rimborsate. Le altre regioni si limitano per la maggior parte alla sola oncologia”, spiega Coccia.

Il social freezing, sebbene sia un servizio pubblico, va pagato di tasca propria e se dovessimo azzardare una stima potremmo dire che sono necessari circa 4.000 euro, in media, fra procedura stessa (circa 2.000-3.000 euro a seconda del centro), costo dei farmaci per la stimolazione ovarica (circa 800-1000 euro) e un costo di mantenimento annuo degli ovociti che si aggira su 100-200 euro l’anno. A questo si aggiungono i costi degli esami di screening diagnostico preliminare.

“Occupandomene da anni osservo un’impennata della richiesta, anche oncologica, raddoppiata dal 2016 al 2021. Piano piano si sta seminando, ma serve molta formazione sia dei medici che delle giovani donne, sulla realtà dei fatti quando parliamo di orologio biologico”.

Voglio davvero diventare mamma?

Sara ha 32 anni e sta riflettendo sulla scelta di sottoporsi a social freezing. “Nonostante non si tratti di una procedura invasiva, e quindi potenzialmente non ci sono rischi ma solo benefici, non riesco a prendere una decisione a cuor leggero, diciamo. Credo che il motivo sia che questo pensiero mi mette davanti una domanda molto forte, e cioè se davvero desidero essere madre, o se semplicemente credo di doverlo essere, per sentirmi più completa come donna. Non sto dicendo che non se lo chiedano tutte le donne che intraprendono una gravidanza, ma ho l’impressione che scelte come questa, e includo anche il percorso di PMA, sebbene rappresentino effettivamente solo un vantaggio per noi, ci mettano più in crisi.

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Mi guardo da fuori e mi chiedo due cose: la prima è quanto il ruolo di donna come madre incida sui miei desideri o su ciò che credo di desiderare. Di fatto ho una vita che mi piace, una famiglia, amici e un bel lavoro di ricerca all’università, che mi fa sentire la persona che desidero essere. Forse dovremmo contribuire a decostruire fattivamente anche questa sovrastruttura.

La seconda domanda che mi faccio, più ampia, è se questo bisogno di medicalizzare qualcosa che ancora non è un problema, nel senso che non ho problemi di salute né infertilità al momento, sia frutto di una scelta consapevole. Se invece forse il percorso verso la serenità non sia quello di imparare ad accettare la vita che ci accade, le circostanze.

Al tempo stesso però, vedo la possibilità di social freezing anche come una potenziale via per liberarmi dall’angoscia esistenziale e sociale di non essere ancora riuscita a realizzare ciò voglio da sempre e che avrei biologicamente già potuto realizzare. C’è sempre una colpa nella donna che per varie ragioni non è riuscita verso i 40 anni a crearsi una famiglia. Implicitamente c’è l’idea che qualcosa in lei non funzioni, che abbia fatto le scelte sbagliate, e noi spesso ci soffriamo anche se non ne parliamo. Al netto del fatto che diverse donne non desiderano figli e fanno in modo di non averne coscientemente, non ci si rende conto che molte di noi sentono una pressione immensa nel dover fare scelte fondamentali e il più delle volte dettate dalla fortuna, in un periodo di tempo molto molto breve. Si tratta di trovare “la persona giusta” possibilmente prima dei 30-32 anni di modo da poter iniziare a impostare un’idea di famiglia non da un giorno all’altro, per rimanere incinte del primo figlio possibilmente entro i 34-35 anni, considerando eventuali intoppi, e al tempo stesso aver strutturato un’indipendenza economica. È tutto molto stressante.
È una vita difficile quella di noi donne con meno di 40 anni. Forse dovremmo dircelo di più”.

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