La grazia a Snowden e il Washington Post che attacca una sua fonte
8 min letturaNei giorni scorsi Amnesty International, American Civil Liberties Union e Human Rights Watch hanno lanciato un appello invitando il Presidente Obama a concedere la grazia presidenziale prima della fine del suo mandato a Edward Snowden, ex contractor dell'Agenzia per la sicurezza nazionale (NSA) americana, che ha fatto conoscere al mondo il sistema di sorveglianza di massa dell'agenzia americana e che ora si trova in esilio a Mosca, accusato in America di spionaggio.
L'appello si rifà all'articolo 2 che dà al Presidente il potere di concedere la grazia, in quanto Snowden ha agito nell'interesse pubblico, dando vita a un importante dibattito sull'importanza della privacy nell'era digitale.
Come ricorda Amnesty: «Nel 2013, Snowden condivise con un gruppo di giornalisti una serie di documenti dell'intelligence statunitense, che aveva raccolto mentre lavorava come contractor alla NSA. Quei documenti rivelarono la dimensione delle operazioni di sorveglianza elettronica dei governi degli Usa e del Regno Unito, estesa al controllo delle attività telefoniche e su Internet di milioni di persone nel mondo. A seguito delle rivelazioni di Snowden, il presidente Obama emise una direttiva per chiedere alle agenzie d'intelligence di apportare significative modifiche ai programmi di sorveglianza. Nel 2015, per la prima volta dopo quasi 40 anni e dopo che una Corte federale aveva giudicato illegale la raccolta d'informazioni da parte della NSA su praticamente ogni utenza telefonica domestica, il Congresso ha rimesso sotto il suo controllo i programmi governativi di sorveglianza».
Il direttore della NSA, James Clapper, fu costretto ad ammettere che aveva reso una falsa testimonianza al Congresso sullo spionaggio dell'NSA nei confronti dei cittadini americani e che i leak di Snowden avevano contribuito a un sano dibattito pubblico sulla necessità di un bilanciamento tra privacy e sicurezza nazionale.
Anche Obama ha ammesso che le rivelazioni imponevano una riflessione sul trattamento delle libertà civili e la protezione della privacy «che i nostri ideali e la nostra Costituzione esigono».
Molte personalità pubbliche hanno aderito all'appello e alla petizione. Altre invece si sono dette contrarie. Il Guardian ha raccolto alcune dichiarazioni, tra queste c'è quella dell'ex analista militare che rivelò nel 1971 i Pentagon Papers sulla guerra in Vietnam, Daniel Ellsberg. Quest'ultimo, processato in base all'Espionage Act del 1917 e prosciolto dalle accuse nel 1973, si dice a favore della grazia ma è scettico sulla possibilità che venga concessa.
Delle quattro testate che hanno ricevuto e pubblicato gran parte del materiale segreto della NSA procurato da Snowden, tre sostengono la richiesta di grazia – The Guardian, The New York Times, The Intercept, mentre The Washington Post (che ha anche vinto il Premio Pulitzer per le sue inchieste sui leak di Snowden) ha pubblicamente espresso il suo "no" alla grazia, chiedendo di processarlo. Questa decisione, partita dall'editorial board che, va chiarito subito, è nettamente separato dalla redazione e non ha nessun ruolo nella scelta della copertura giornalistica, ha scatenato non solo stupore ma anche aspre polemiche.
WashPost Makes History: First Paper to Call for Prosecution of its own Source (After Accepting Pulitzer) https://t.co/NuvlGogZfe
— Glenn Greenwald (@ggreenwald) 18 settembre 2016
Siamo di fronte a un giornale che chiede di processare la sua stessa fonte, grazie alla quale ha vinto un Premio Pulitzer, a suo tempo così celebrato dal direttore Martyn Baron:
Rivelare la massiccia espansione della rete di sorveglianza della NSA è stato assolutamente un servizio ai cittadini. Costruendo un tale sistema di quella portata e di tale invadenza, il nostro governo ha eroso fortemente la privacy individuale. Tutto ciò è stato fatto in segreto, senza dibattito pubblico e con una chiara fragilità di controllo.
Le ragioni del no alla grazia esposte nell'editoriale sono però state smontate da diversi giornalisti, che hanno messo in evidenza le contraddizioni e la sostanziale debolezza di tutta l'argomentazione.
Perché il Washington Post si sbaglia
Nell'editoriale, riportato in una sintesi in italiano da Il Post si riconosce a Snowden il merito di aver reso pubbliche le attività illecite della NSA, come la raccolta di metadati relativi alle telefonate dei cittadini americani e di aver così spinto Congresso e governo a una riforma per tenere sotto controllo i programmi di sorveglianza. Ma si accusa Snowden di aver diffuso materiale che ha messo a rischio la sicurezza nazionale, come il programma PRISM, attività di sorveglianza fuori dai confini nazionali che era legale e non metteva a rischio la privacy dei cittadini americani. Non solo, ma avrebbe anche rivelato dettagli di delicate operazioni di intelligence.
Secondo l'editoriale due sono le possibilità per Snowden: farsi processare per i reati per i quali è accusato oppure dichiararsi colpevole e accettare una riduzione della pena come segno di riconoscenza per il suo contributo.
Vediamo punto per punto – seguendo l'articolo di Trevor Timm su The Guardian e quello di Glenn Greenwald su The Intercept – perché le argomentazioni contro la grazia così come esposte non reggono.
Snowden non ha mai scaricato un milione e mezzo di documenti rendendoli pubblici
Snowden non ha mai pubblicato niente, ha affidato il materiale in suo possesso ai giornalisti, lasciando loro la scelta giornalistica di cosa pubblicare e cosa no. Chi, come il WaPo, dice che ha preso quella mole di documenti, dovrebbe dimostrarlo. Gli stessi giornalisti coinvolti sanno perfettamente che si tratta di una quantità notevolmente inferiore. WaPo avrebbe potuto chiedere conferma ai suoi stessi giornalisti che hanno lavorato sul caso.
A proposito del programma di sorveglianza Prism, non è stato affatto Snowden a renderlo pubblico, ma – cosa che l'editorial board dimentica di dire – lo stesso WaPo. Snowden può essere ritenuto co-responsabile per aver fornito i documenti, ma sono stati i giornalisti del giornale americano a decidere di rivelare e pubblicare quel programma. E così anche per i dettagli sensibili relativi a operazioni di intelligence.
A questo punto – sostiene non a torto Greenwald – se davvero sono convinti che Prism sia un programma di sorveglianza legittimo e che non c'era nessun interesse pubblico nel rivelarlo, per coerenza e onestà intellettuale, il WaPo dovrebbe chiedere scusa ai lettori e ai cittadini e restituire il Pulitzer.
Su questo aspetto il sito The Washingtonian ha ascoltato Barton Gellam, che era a capo del team di giornalisti del WaPo che lavorò sui leak NSA e che insieme a Laura Poitras firmarono gli articoli su Prism. «Dissento fortemente con l'opinione dell'editorial board», ha detto Gellman. «Ci sono gravi e irrisolte questioni legali rispetto alla costituzionalità del programma Prism».
Infine, secondo WaPo l'unico programma che era giusto rivelare era quello dei metadati dei cittadini americani. Ma questo, cosa che l'editorial board dimentica ancora di sottolineare, non è stato pubblicato dal giornale americano ma dal Guardian.
Non ci sono prove che Snowden "abbia danneggiato la sicurezza nazionale"
Il WaPo cita a supporto della sua posizione il rapporto della Commissione parlamentare sull'intelligence – composta da 22 membri Repubblicani e Democratici che hanno tutti all'unanimità firmato il documento – che ha lavorato per due anni sul caso Snowden. Ma il rapporto si è rivelato pieno di errori ed è stato smontato punto per punto dal tre volte Premio Pulitzer Barton Gellam. Il rapporto accusa Snowden di aver danneggiato la sicurezza nazionale. Ma non c'è una prova concreta a sostegno di questa accusa.
Secondo il rapporto, Snowden ha mentito quando ha detto di aver lasciato l'esercito dopo essersi rotto una gamba, sul suo vero ruolo quando ha lavorato per la CIA (era un semplice tecnico, non un senior advisor), in merito alla sua formazione e altro ancora. Ma Gellam dimostra, fatti e dati alla mano, che la Commissione si sbaglia. Su una cosa però dice la verità: a supporto della tesi ("Snowden è un bugiardo") nel rapporto i membri della Commissione riportano che l'ex contractor della NSA ha mentito quando nel maggio 2013 ha detto al suo superiore che si sarebbe assentato per curare un peggioramento dell'epilessia. Beh sì, è vero ha mentito. Cosa avrebbe dovuto dire? «Mi assento perché sto portando via una mole di dati della NSA che saranno poi rilasciati pubblicamente?». Ovvio che in quel momento ha detto una bugia sui motivi della sua assenza.
Well, I think I may have to write something up. The HPSCI report on Snowden is aggressively dishonest. https://t.co/Ec5EuD0fBS
— Barton Gellman (@bartongellman) 15 settembre 2016
Il rapporto – 36 pagine, la maggior parte coperte da segreto e solo tre leggibili – risulta alla fine, secondo Gellam, fazioso, scorretto, sprezzante dei fatti. E fondamentalmente inutile.
Infine per chi accusa Snowden di aver in qualche modo aiutato con i suoi leak i terroristi nel cambiare le loro strategia, qui c'è uno studio indipendente che dimostra il contrario.
Snowden non poteva passare attraverso "canali specifici" per denunciare le illegalità
Dire che Snowden non è un whistleblower perché non si è rivolto ai canali governativi interni per denunciare le attività illecite non è sostenibile per due motivi. In quel tempo Snowden era un contractor, quindi non poteva usufruire della protezione per i whistleblower, riconosciuta ai dipendenti della sicurezza nazionale (al riguardo PolitiFact ha dimostrato che l'affermazione di Hilary Clinton in merito è sostanzialmente falsa).
In ogni caso Snowden non avrebbe potuto denunciare ai suoi superiori le attività illegali della NSA. Queste attività di sorveglianza erano approvate proprio ai piani alti. Questo significa che avrebbe denunciato una cosa che non solo i suoi superiori già sapevano ma che avevano addirittura autorizzato.
Snowden non è scappato in Russia e ne ha regolarmente criticato la situazione dei diritti umani
L'editorial board accusa Snowden di aver distrutto la sua credibilità in quanto paladino della libertà, accettando l'asilo concesso dalla Russia di Putin. Ma la ragione per cui Snowden è in Russia è che il governo statunitense ha revocato il suo passaporto mentre lui tentava di raggiungere l'Ecuardor, rimanendo così intrappolato all'aeroporto di Mosca. Snowden è stato costretto a rimanere lì, l'alternativa era finire in un carcere di massima sicurezza in USA.
Il whistleblower, inoltre, ha criticato aspramente la Russia sul piano dei diritti umani e delle libertà civili. Cosa riconosciuta dallo stesso ambasciatore americano (non certo uno pro-Snowden) in Russia.
.@Snowden makes a stronger statement about human rights regression in Russia than anything I ever said as Ambo. Wow. https://t.co/X6bwulGgpN
— Michael McFaul (@McFaul) 9 luglio 2016
Snowden non può portare il suo caso davanti a una giuria. Così come ha auspicato il WaPo parlando di "miglior tradizione di disobbedienza civile"
In un mondo ideale Snowden avrebbe la possibilità di tornare nel suo paese e raccontare la sua storia davanti a una giuria. Ma le accuse che gli sono state rivolte si basano sull'Espionage Act. Snowden è accusato di essere una spia, non di essere un whistleblower che ha dato informazioni alla stampa e questo non gli permette una difesa per il fatto di aver agito nell'interesse pubblico. All'ex contractor non sarebbe concesso un "giusto processo", come ha più volte spiegato lo stesso Daniel Ellsberg: non gli sarebbe permesso di spiegare a una giuria i motivi dei suoi leak, non potrebbe descrivere i benefici di quelle rivelazioni o discutere se quei leak abbiano davvero danneggiato la sicurezza nazionale.
A proposito dell'editorial board
L'editorial board che si occupa di esprimere le posizioni e le opinioni del giornale fa riferimento all'editore e al proprietario (in questo caso stiamo parlando di Jeff Bezos, che ha acquistato il WaPo nel 2013 per 250 milioni di dollari).
Secondo Mathew Ingram anche se editorial board e redazione sono separate e l'editorial board non parla a nome dei giornalisti della testata, si tratta comunque di un attacco alla stessa redazione, non solo un attacco a una fonte del giornale.
La redazione in ogni caso ha risposto proprio ieri con due pezzi di opinione: uno a firma di Margaret Sullivan (ex public editor del New York Times e ora media critic del Washington Post). Come fonte e come patriota Snowden merita la grazia presidenziale, dice Sullivan, ricordando anche la posizione critica del whistleblower nei confronti Wikileaks che negli ultimi tempi ha scelto la strada della pubblicazione dei leak senza una minima curation.
Democratizing information has never been more vital, and @Wikileaks has helped. But their hostility to even modest curation is a mistake.
— Edward Snowden (@Snowden) 28 luglio 2016
L'altro articolo è firmato da Katrina vanden Heuvel che spiega perché Snowden è il candidato perfetto per la grazia presidenziale.
«La redazione – dice sempre Gellman al The Washingtonian –, come ha sempre sostenuto l'Executive Editor Marty Baron, è immensamente fiera del lavoro svolto sui leak della NSA. I nostri colleghi lo hanno considerato un servizio pubblico. È una buona cosa per il Post, e per il giornalismo, che l'opinion staff non ha diritto di parola sulle scelte giornalistiche».
Qui la risposta di Amnesty al Washington Post.
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