Il ritorno del lavoro da casa: cosa succede in Italia e in Europa
8 min letturaCon il rilevante aumento dei contagi da nuovo coronavirus nell'ultimo periodo (anche per via della nuova variante omicron), il lavoro da remoto è tornato al centro del dibattito pubblico in diversi paesi.
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In Italia diverse sigle sindacali della pubblica amministrazione hanno chiesto al governo che il lavoro da casa torni a essere predominante e non l’eccezione, almeno fino al 31 marzo 2022, data che ad oggi sancisce la fine dello stato di emergenza. Dallo scorso 15 ottobre, infatti, come stabilito dal Dpcm del 23 settembre, la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle amministrazioni pubbliche è tornata a essere quella in presenza.
Come riportato da Rosaria Amato su Repubblica, Marco Carlomagno, segretario generale Flp (Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche) lo scorso 28 dicembre ha scritto una lettera al presidente del Consiglio Mario Draghi, al ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, a quello della Salute Roberto Speranza e al coordinatore del Cts Franco Locatelli, chiedendo che, alla luce della "forte accelerazione dei contagi registratasi nelle ultime settimane", venga riattivato "il lavoro agile emergenziale". "Il lavoro agile non è solo, a regime, uno strumento importante di conciliazione vita-lavoro e un fattore di modernizzazione delle nostre amministrazioni pubbliche, - scrive Carlomagno - ma in questa fase, ancora tutta da superare, è indubbiamente anche un momento fondamentale di contrasto alla pandemia e necessita quindi di misure urgenti, semplificate, che deroghino all'impianto complessivo dell'istituto, pensate per essere adottate in situazioni di normalità e non di eccezionalità".
Un’altra lettera al governo, con identica richiesta, è stata inviata da Tiziana Cignarelli, segretaria generale della Flepar, organizzazione sindacale rappresentativa CCNL ARAN – Avvocati e Professionisti della Pubblica Amministrazione: "In questi giorni di aumento esponenziale dei contagi è preoccupante che ci si ostini a rinviare o ritardare il rilancio del lavoro agile quale misura di prevenzione dal contagio". Anche la Fp Cgil (Funzione Pubblica Cgil), vista l’attuale situazione pandemica nel paese, ha comunicato di essere “favorevole al ripristino del lavoro agile generalizzato nella Pubblica amministrazione come misura di contrasto alla pandemia”.
Diversi esperti della salute hanno appoggiato queste richieste sul ritorno al lavoro da remoto generalizzato in questa fase della pandemia. Il virologo e docente della Statale di Milano, Fabrizio Pregliasco, ha dichiarato all'Adnkronos Salute: «Secondo me sarebbe una cosa assolutamente utile un ritorno massiccio allo smart working. Il pericolo maggiore con la variante Omicron ora è la facilità del contagio, quindi va ridotto il numero della gente in giro. L'alto numero dei casi, anche se è vero che per la maggior parte sono banali può diventare un problema». Della stessa opinione anche Walter Ricciardi, professore, ex presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) e consigliere scientifico del ministro della Salute, che intervistato dal Tg3 ha detto: «Lo smart working dovrebbe diventare in questa fase pandemica la struttura ordinaria dell’organizzazione del lavoro perché il virus viaggia con le persone e quindi quanto più le persone sono distanziate l’una dall’altra, magari però continuando a lavorare, tanto più si limita la circolazione del virus».
Su Radio Cusano Campus, Nino Cartabellotta, il presidente della fondazione Gimbe che da tempo analizza i dati della pandemia da COVID-19, ha dichiarato a inizio del nuovo anno: «Rischiamo di avere 300 mila contagi al giorno nelle prossime settimane e paradossalmente finiremo di contarli quando si saturerà la nostra capacità di fare tamponi sia antigenici, sia molecolari. E questa capacità è già in difficoltà in questi giorni. Quindi, dobbiamo far circolare il virus il meno possibile: bisogna limitare i contatti sociali e incrementare lo smart working, che è una delle misure già raccomandate a fine novembre dall’ECDC (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo della malattia). La cosa che un po’ mi preoccupa è l’attesa dei numeri per prendere delle decisioni: quando il virus cresce così velocemente, bisogna provare ad anticiparlo e adottare misure più tempestive». A metà dicembre Maria van Kerkhove, epidemiologa delle malattie infettive dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), aveva invitato i governi a non aspettare di agire contro l’aumento delle nuove infezioni e tre le misure proposte è stata anche consigliata quella «di facilitare il telelavoro».
Il 3 gennaio, poi, è arrivata la risposta contraria di un ritorno al lavoro da casa generalizzato nella PA da parte del Ministero della Pubblica Amministrazione, guidato da Renato Brunetta. Nella nota si legge: "La linea fin qui seguita dal governo, grazie alle vaccinazioni, al green pass e al super green pass, ha reso pienamente compatibile il massimo livello di apertura delle attività economiche, sociali e culturali con il massimo livello di sicurezza sanitaria. Con riferimento alla richiesta di smart working da parte di alcune sigle sindacali del pubblico impiego, ricordiamo che la normativa e le regole attuali già permettono ampia flessibilità per organizzare sia la presenza, sia il lavoro a distanza, tanto nel lavoro pubblico quanto nel lavoro privato. Le amministrazioni pubbliche, in particolare, sulla base delle linee guida recentemente approvate con il consenso di tutti (sindacati, Governo, amministrazioni centrali e locali), possono decidere la rotazione del personale consentendo il lavoro agile anche fino al 49% sulla base di una programmazione mensile, o più lunga. Ricordiamo, inoltre, che la maggior parte dei dipendenti pubblici (gli addetti della scuola, della sanità e delle forze dell’ordine, che rappresentano circa i due terzi dei 3,2 milioni totali) sono soggetti all’obbligo di vaccino e, in larghissima maggioranza, sono tenuti alla presenza”. Per questi motivi, continua il comunicato, “risulta incomprensibile l’invocazione dello smart working per tutto il pubblico impiego". In una comunicazione successiva lo stesso Ministero afferma che "chi sta invocando lo smart working generalizzato nella Pubblica chiede il ritorno alla situazione del lockdown di marzo 2020". A sostegno del ministro si sono schierate Forza Italia e Italia Viva.
Nel governo, però, esistono posizioni differenti sul tema. Fabiana Dadone, attuale ministra per le Politiche Giovanili nel governo Draghi ed ex ministra per la Pubblica amministrazione nel governo Conte II, ha dichiarato di faticare “a comprendere l’ideologia che contrasta lo smart working laddove nel lavoro è possibile, così come sarebbe incomprensibile impuntarsi nel non applicare ogni misura utile ad arginare una situazione che non può più ammettere esitazioni. Non basta trincerarsi dietro la mera ‘concessione’ di ampia flessibilità data dalle disposizioni di legge ad ogni amministrazione di ricorrere a questa modalità organizzativa. La PA, per non parlare delle realtà private, ha già dato dimostrazione di saper coniugare il lavoro agile con la performance lavorativa. Sostenere che l’economia non possa girare con un pubblica amministrazione in lavoro agile significa mentire sapendo di mentire. Fare di tutto per disincentivarne il ricorso non ha alcun senso, tanto più in questo delicato momento storico”. Dadone si riferisce alle recenti esternazioni del ministro Brunetta secondo cui il ritorno della piena presenza dei lavoratori in ufficio e la fine del del lavoro da remoto avrebbe portato alla crescita della ricchezza nazionale. Anche nella maggioranza che sostiene il governo Draghi non c’è una visione univoca sull’argomento: a fine dicembre, il segretario nazionale del Partito democratico, Enrico Letta, ha sostenuto il ritorno al lavoro da casa, così come il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, che ha parlato della necessità di tornare «a incentivare il lavoro agile in questi giorni di picco».
Nel Consiglio dei Ministri del 5 gennaio, nel quale sono state varate nuove misure di contrasto ai contagi, è stato alla fine deciso di adottare, dopo un'intesa tra il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando e quello della Funzione pubblica, "una circolare rivolta alle pubbliche amministrazioni e alle imprese private per raccomandare il massimo utilizzo, nelle prossime settimane, della flessibilità prevista dagli accordi contrattuali in tema di lavoro agile".
Con la circolare, per quanto riguarda la pubblica amministrazione, si spiega che "ogni amministrazione può programmare il lavoro agile con una rotazione del personale settimanale, mensile o plurimensile con ampia flessibilità, anche modulandolo, come necessario in questo particolare momento, sulla base dell’andamento dei contagi". Per il settore privato "la modalità di lavoro agile può essere applicata a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali". Viene così raccomandato, "visto il protrarsi dello stato di emergenza, il massimo utilizzo di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o a modalità a distanza, ferma la necessità che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause)".
Dal governo non è stato dunque predisposto un temporaneo e generalizzato ritorno al lavoro a distanza di emergenza, come richiesto da alcuni sindacati della PA, ma una raccomandazione a utilizzare maggiormente la flessibilità già prevista. «La circolare per il lavoro pubblico prevede ostacoli immotivati al lavoro agile emergenziale. Prevedendo contratti individuali e rotazione del personale, non tiene conto dell'esplosione della pandemia e della mancanza della fornitura dei dispositivi di protezione», ha dichiarato Marco Carlomagno, segretario generale Flp, a Repubblica. Cartabellotta di Gimbe, nel definire insufficienti le misure messe in atto dal governo, ha detto che«lo smart working viene liquidato con la semplice raccomandazione di "usare al meglio la flessibilità già consentita dalle regole vigenti"». Luigi Olivieri, esperto di diritto amministrativo, si domanda inoltre "che succede se un dipendente concordi uno smart working di 3 mesi, tra gennaio e marzo, per fronteggiare l’emergenza e, poi, in autunno, vi fosse un’ennesima ondata tale da consigliare altri 3 mesi, per un complessivo 50% e più di lavoro remoto?". Per Olivieri la risposta è che è evidente che l'idea che sta dietro alla circolare dei ministeri del Lavoro e della Funzione Pubblica "è solo una contingenza, che fida ancora nella fortuna e nella – auspicata da tutti – resa definitiva della pandemia".
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